lunedì 27 agosto 1990, ore 11.00

DAGLI ORIENTAMENTI AGLI ORDINAMENTI

INCONTRO PROMOSSO DALLA COMPAGNIA DELLE OPERE

Partecipa:

Felice Crema

Ricercatore presso il Dipartimento di Pedagogia dell’Università Cattolica di Milano

F. Crema:

La scuola materna sta vivendo un processo di mutamento caratterizzato da una profonda ambiguità. Come spesso accade nei processi di riforma che riguardano il sistema scolastico, la linea di tendenza è quella di prendere in esame un particolare, sia pur importante, e di adattare a questo tutto il sistema percepito come "contenitore" di quel particolare. E questo sta accadendo con la proposta dei "Nuovi Orientamenti" La Commissione Ministeriale ha consegnato al Ministro la propria proposta: il Ministero potrebbe legittimamente trasformare o modificare il testo, poiché ha questo potere istituzionale. Difficilmente interverrà, poiché l’intervento comporta un’assunzione di responsabilità. I Ministri oggi preferiscono delegare ai tecnici, ma questo non rispecchia un atteggiamento diffuso in tutta la nostra cultura? Una cultura che investe il tecnico in quanto persona che "sa" di un potere decisionale e di scelta che dovrebbe invece sollecitare la coscienza d’ogni cittadino. Nella scuola rischiamo di avere uno stuolo d’esecutori di scelte culturali decise da pochi. Questo problema non riguarda solo la scuola materna, ma tutta la politica scolastica e dovrebbe farci riflettere come uomini e come cittadini. Dobbiamo imparare a porre domande e cercare di "stanare" qualcuno che risponda. In particolare la scuola materna, per la storia che ha caratterizzato in Italia il suo sviluppo, merita un discorso specifico. La scuola materna italiana è nata prescindendo dall’impianto statale. Dagli inizi dell’Ottocento, fino al 1968, questo ordine di scuola si è sviluppato e arricchito grazie alla libera iniziativa. Questa è una delle principali ragioni per cui il modello scolastico è articolato, vivo e complesso. Il Rapporto intermedio della Commissione Ministeriale tende a riportare tutto il sistema ad un modello unico. In questo caso quale sceglieremmo: quello di Torino, di Bologna, di Milano o un altro, e perché? Perché dopo molteplici valorizzazioni teoriche del pluralismo, si tende ad omogeneizzare tutte le esperienze? Gli aspetti pedagogici e psicologici delle questioni tendono a rimanere sullo sfondo, e viene portata in primo piano la cultura dell’omologazione. Si tende a ricavare il modello istituzionale da ciò che i tecnici pensano possa essere l’obiettivo primario dell’educazione: se la scelta cade come sembra sul potenziamento delle abilità funzionali e, quindi, su una programmazione per discipline, tutto il sistema si deve regolare su questa scelta e l’insegnante è vincolato al raggiungimento di queste abilità. Questo è un principio gravissimo: è come porre il baricentro della scelta fuori del soggetto. Il baricentro non è più l’uomo, poiché il soggetto è chiamato ad essere presente come contenitore di bisogni. Così si appiattisce la capacità di interagire con se stessi e con la realtà, di appassionarsi, interrogarsi, in una parola, vivere il rapporto educativo come responsabilità.