Ciò che abbiamo visto e udito.

I Vangeli: storia e fede

Mercoledì 26, ore 15

Seminario con

Ignace De La Potterie

Ignace De La Potterie è uno dei più insigni studiosi del Nuovo Testamento. E’ nato a Waregem, in Belgio, nel 1914. Sacerdote gesuita, dopo la licenza in teologia e filosofia conseguita nella facoltà dei Padri Gesuiti a Lovanio, ha frequentato, dal ‘47, l’Istituto Biblico di Roma, conseguendo la licenza in Sacra Scrittura e il Dottorato nel ‘64 con una interessante e corposa tesi sulla nozione di verità in San Giovanni, che costituisce uno dei temi fondamentali della sua ricerca. Dal 1955 è docente di Esegesi del Nuovo Testamento al Pontificio Istituto Biblico di Roma.

E’ inoltre membro consultore della Congregazione per la dottrina della fede. Autore di numerosi articoli di argomento biblico per riviste specializzate e dizionari, ha scritto, tra gli altri volumi, La verità secondo lo Spirito (1971), La passione di Gesù secondo il Vangelo di San Giovanni.

De La Potterie: "Ciò che era fin dal principio, ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita. E la vita si è manifestata e abbiamo visto e rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna che era rivolta verso il Padre è apparsa a noi. Ciò dunque che noi abbiamo visto ed udito lo annunciamo anche a voi, affinché anche voi abbiate comunione con noi e con il suo Figlio Gesù Cristo. La nostra comunione è comunione con il Figlio e con il Padre". E’ un testo di Giovanni straordinario che coglie in due o tre frasi tutto l’essenziale della visione giovannea su Cristo. Si passa qui dal tempo di Gesù al tempo della Chiesa, dal Gesù storico al Gesù vissuto della fede cristiana.

"Ciò che era fin dal principio": Giovanni parte dunque da un momento iniziale(1) l’esperienza dei testimoni: "ciò che noi abbiamo visto, udito, ciò che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato". E’ il testo fondamentale di Giovanni per una riflessione su ciò che è la tradizione cristiana, che ha un punto di partenza storico, quell’inizio, l’esperienza fatta dai testimoni e che poi viene presentato come oggetto di testimonianza e di annuncio nella comunità cristiana.

L’altro testo analogo è il prologo di S. Luca. Ricordiamo che Luca non era uno dei dodici, non era apostolo, però ha scritto uno dei vangeli. Nei primi versetti precisa da dove viene il materiale del suo vangelo. "Molti hanno intrapreso a comporre un racconto degli eventi che si sono svolti tra noi, conformemente a ciò che hanno trasmesso coloro che fin dal principio furono testimoni oculari di ciò che è accaduto tra noi. Perciò ho deciso, dopo essermi informato con cura di tutte le cose che fin dal principio sono state tramandate, di scrivere anch’io un vangelo, un resoconto ordinato, caro Teofilo, affinché tu possa sulle cose nelle quali sei stato educato da cristiano, conoscerne la verità". Entrambi fanno appello a dei testimoni oculari.

Come si passa dal Gesù storico al Gesù presente nei vangeli e a tutta la vita della Chiesa? Si diceva di solito nella vecchia apologetica: "I vangeli sono scritti da apostoli, vengono da testimoni oculari, ci riferiscono con precisione e con esattezza ciò che è accaduto". Non dico che è falso però se l’idea di fondo è giusta oggi non è più del tutto sufficiente come risposta. Si interpretava l’idea dei testimoni in un modo troppo materiale, solo ciò che avevamo visto: ma cos’è la vera testimonianza? E poi si ignorava, quasi del tutto l’importanza della tradizione orale.

Cercherò di mostrare che il testo biblico dei vangeli, secondo il mio punto di vista, non riferisce soltanto l’evento storico come tale. Quel testo, che risale all’origine, alla testimonianza dei testimoni oculari, raggiunge noi soltanto attraverso una lunga catena di credenti. L’annuncio viene kerigmatizzato, proclamato dopo Pasqua dal gruppo degli apostoli. Ciò significa che noi abbiamo nei vangeli il resoconto di questi uomini, però attualizzato dalla realtà apostolica. Da Gesù ai vangeli c’è dunque un cammino di tradizione.

Ai tempi degli studi a Lovanio un professore di Antico Testamento ha usato una formula molto felice: "che cosa sono i vangeli? Sono testimonianze della tradizione", la tradizione fondatrice cristiana, apostolica però sono testimoni privilegiati perché ispirati. Ecco una cosa di cui non si parla più oggi, che il testo scritto nella Chiesa, dopo Pasqua, è ispirato, dunque una lettura dell’evento alla luce però della Pasqua e sotto l’influsso dello Spirito di Dio.

1. La critica moderna: da Gesù ai Vangeli - Si può dire con una parola, sottolineata bene dal Cardinale Ratzinger in una conferenza sull’esegesi, che ciò che è più caratteristico per la critica moderna è la sottolineatura della discontinuità: da Gesù ai vangeli c’è la rottura totale: tra il Gesù storico, irraggiungibile, e il Cristo dei vangeli c’è un abisso. La prima tappa è costituita dal criticismo radicale (Scuola di Tubinga). Il Cardinale Ratzinger, in una conferenza sull’esegesi pronunciata a New York nel 1988, tradotta in italiano, comincia con un riferimento ad un’opera di Vladimir Solov’ev, L’Anticristo. L’Anticristo, il nemico escatologico del Redentore, si impone all’attenzione di tutti per aver ottenuto il proprio dottorato a Tubinga e aver scritto un’opera esegetica che gli vale il riconoscimento di pioniere in questo campo. "Solov’ev circa cento anni fa ha messo in luce l’ambivalenza che caratterizza la metodologia dell’esegesi biblica moderna. Essa aveva preso il suo inizio in un clima di immenso ottimismo che progressivamente si è logorato ed è andato in crisi, però all’inizio suscitava grande entusiasmo".

Strauss, uno dei principali autori della Scuola di Tubinga, verso il 1835 scrive una famosa Vita di Gesù; è lì che è cominciata veramente la crisi dell’esegesi moderna sui vangeli. Mi ha detto un amico inglese che esiste a Tubinga, nell’archivio della biblioteca, una lettera di quel tempo, dove due autori di quella scuola scrivono che se riescono a mostrare che nessuno dei quattro evangelisti fu testimone di Gesù, cioè se si opera una rottura totale fra Gesù e i vangeli, la via è libera per la scuola mitica. Se non c’è nessuno dei quattro evangelisti che ha conosciuto Gesù allora i vangeli sono frutto di una mescolanza con miti pagani: la scuola mitica è nata proprio in quell’epoca.

Sono due i problemi di fondo: la datazione dei vangeli e l’influsso dei miti. La datazione: a quel tempo si sosteneva che tra il Gesù storico, anni 30, e i vangeli c’è un tempo lunghissimo (si diceva che Matteo è stato scritto nella prima metà del II secolo, Marco verso l’anno 150, quindi 120 anni dopo Gesù, Luca dopo il 150 e Giovanni ancora dopo); in quel tempo lungo quasi un secolo tra Gesù e i vangeli si sarebbe collocato l’influsso dei miti pagani cosicché quasi niente sarebbe storico dei vangeli. Un esempio: Strauss dice che nel mondo pagano e anche egiziano in particolare, c’erano tanti miti che spiegano la concezione verginale. Ma un attenta ricerca sui miti pagani ha dimostrato che non esiste alcun esempio di concezione verginale. Un atto sessuale tra un essere umano e un dio, non era un patto verginale, bensì una ierogamia, una teogamia. Ho fatto questo esempio perché oggi, da pochi anni, Dewermann dice che il concepimento verginale di Gesù è preso da vecchi miti pagani.

Dopo la critica letteraria che studiava molto le fonti dei vangeli sinottici, si è arrivati, negli anni 1919-1921 ai due fondatori della Formgeschichte, Bultman e Dibelius. L’idea fondamentale di questi autori è che i vangeli sinottici non sono immediatamente il resoconto di una testimonianza, ma delle compilazioni di piccole unità che circolavano nella tradizione orale prima dei vangeli scritti, ma dopo Gesù. Dunque i vangeli sono nati nella Chiesa. Dopo la Pasqua è stato predicato il kerigma apostolico e da quel kerigma, da quella luce pasquale sono nati i vangeli. Tutta la ricerca critica, dopo quella scuola, insiste nel ricercare la preistoria della tradizione scritta, nella tradizione orale, il famoso sitz in leben della chiesa cattolica; i vangeli sono stati predicati prima di essere progressivamente messi per iscritto. All’inizio di tutto c’era la tradizione orale, il kerigma pasquale e la predicazione del messaggio alla comunità. In quell’ambiente lì si dà tutto il peso al kerigma e alla comunità e di ciò che era prima di Pasqua, cioè Gesù storico, non sappiamo niente.

Cito due brani dei due fondatori, Bultman e Dibelius. Nel suo Teologia del Nuovo Testamento Bultman mette Gesù tra i prolegomeni ai vangeli; Gesù non è un cristiano per Bultman, è un ebreo pio, edificante quanto si vuole, però il cristianesimo comincia a Pasqua; del Gesù storico non sappiamo praticamente niente, sappiamo che è esistito, ha predicato il regno di Dio, è morto crocifisso. Il Gesù storico è scientificamente irraggiungibile e teologicamente irrilevante, insignificante. Ciò che ha fatto Gesù, ciò che era Gesù interessa poco. Aggiunge Bultman in un altro passo: "Ciò che si è svolto all’interno di Cristo, la sua coscienza umana, non mi interessa, non voglio saperlo, perché il cristianesimo comincia con la fede pasquale". Faccio notare che l’affermazione che il vangelo nasce solo dalla fede è espressione di puro protestantesimo.

Riflessione analoga per Dibelius il quale ha lanciato lo slogan famoso: "All’inizio c’era il kerigma". Tutto è iniziato con il kerigma pasquale, il cristianesimo non comincia con Gesù, ma comincia con la Chiesa, viene dunque eliminata l’importanza della storia della salvezza. Quali sono gli effetti prodotti da quella scuola? Non si può dire che tutto sia sbagliato, perché non si può negare che fra Gesù storico e vangeli scritti c’è stato un movimento di tradizione, dunque l’importanza di quella scuola è di aver attirato l’attenzione sul fatto che i vangeli sono stati scritti nella Chiesa. Ripeto la frase di quel padre di Lovanio: "I vangeli sono testimoni della tradizione, tradizione primitiva, però testimoni ispirati". Quello che loro non dicono.

2. I documenti recenti della Chiesa su questo problema - Durante il Concilio, nel 1964 c’è stata una istruzione della Pontificia Commissione Biblica, Santa Madre Chiesa, sulla verità storica dei vangeli. In quel documento citato nella Dei Verbum al n. 19, si trova un’approvazione dei metodi moderni di investigazione, ma si precisa che essi devono essere ampliati con la rivelazione. Paolo VI stesso, nella quarta sessione del Concilio, il 22 settembre 1965, fece un intervento speciale perché fosse chiaramente affermata la storicità dei vangeli, preoccupato dalla tendenza in alcuni testi conciliari a diminuire il loro valore storico. A che punto siamo arrivati adesso? Dagli anni ‘50 in poi si nota sempre di più che i grandi schemi ideali della Formgeschichte debbono essere corretti in due direzioni opposte, a ritroso e in avanti.

A ritroso: si deve risalire non solo alla comunità primitiva, al kerigma post-pasquale, ma più in alto al Gesù storico, si deve riscoprire il Gesù storico. In avanti: oggi tutti concordano che i quattro evangelisti sono dei teologi, non hanno soltanto messo per iscritto ciò che veniva dalla comunità, ma sono veramente degli autori, dei compositori con una propria teologia. Dunque Gesù, tradizione orale, evangelisti e poi la Chiesa nostra: queste sono le tappe della tradizione.

3. Riflessione critica - Scrive Ratzinger che "oggi è diventato quasi un’ovvietà parlare della crisi del metodo storico-critico. Esso però aveva preso inizio in un clima di immenso ottimismo". Una volta uccisa la storia attraverso l’anatomia non è possibile che possa ancora parlare a me oggi una realtà vivente. Se Cristo deve diventare convincente per noi oggi occore innanzitutto che noi scopriamo un’armonia tra l’analisi storica e la sintesi ermeneutica, una unione tra il Gesù storico, la Chiesa primitiva e la Chiesa nostra. Tutto è dominato, dice ancora Ratzinger, dalla discontinuità e il compito primordiale che viene rischiesto prima da lui e poi da altri oggi è di riscoprire l’unità della scrittura, al di là delle fonti e delle tradizioni.

Dagli anni ‘50 si nota, dopo il tempo di Bultman la tendenza a ricercare di nuovo il Gesù storico. Il punto di transizione è una famosa conferenza del ‘53 a Marburg dove insegnava un discepolo di Bultman, Kasemann, alla presenza del vecchio maestro nella città dove egli insegnava. Secondo questa corrente, al di là dei vangeli scritti, al di là del kerigma pasquale, si deve risalire al Gesù prepasquale. Si sono elaborati, da 30/40 anni i cosiddetti criteri di storicità. Sappiamo che i vangeli sono frutto di una tradizione primitiva, però come si fa a risalire indietro? Un criterio è la discontinuità (ciò che non è giudaico, che non era pagano e che non è ancora cristiano deve risalire a Gesù). D’altra parte per il criterio di continuità, ciò che noi attribuiamo a Gesù storico deve essere in accordo con la problematica di Gesù storico. Faccio qualche esempio. Robinson, vescovo anglicano d’Inghilerra, ha scritto un libro, La nuova datazione del Vecchio Testamento, in cui sostiene che il Nuovo Testamento è da datare entro il 70. In un altro suo libro, La priorità di Giovanni, sostiene che Giovanni è quasi più antico nel materiale suo che non i sinottici (la geografia e topografia giovannea è la più precisa dei quattro vangeli, quindi la tradizione giovannea è molto antica).

P. Carmignac sostiene che i vangeli o almeno Marco e le fonti di Matteo sono stati scritti in ebraico subito dopo la morte di Gesù. Egli ha pubblicato quattro o cinque volumi di versione dei vangeli in ebraico fatti nel nostro tempo moderno da ebrei o anche cristiani per dire che se noi abbiamo dei testi in ebraico abbiamo buone probabilità di ritrovare la formula più o meno equivalente a quella che è stata storica, quella di Gesù o degli apostoli. La teoria di Carmignac è stata duramente criticata in Francia.

O’Callaghan, professore di papirologia al Biblico di Roma, ha studiato tutti i papiri greci e ha trovato, dice lui, che dal punto di vista dei criteri di datazione della papirologia scientifica il frammento da lui identificato non può essere posteriore al 50. Se nelle grotte di Qumran, nel 70, vengono nascosti manoscritti anche cristiani per essere al riparo dai romani e se tra questi vi è un testo di Marco, scritto prima del 50, ciò significa che siamo vicini a Gesù. Per quale motivo ha importanza il problema della retrodatazione dei vangeli? Quanto è più lungo l’intervallo tra il Gesù storico e i Vangeli scritti tanto più facilmente si cercherà di dire che sono frutto del riflusso dei miti pagani ecc. Invece se abbiamo nei nostri testi la presenza di testimoni oculari e anche a livello dei testi scritti una vicinanza cronologica con il Gesù storico, non c’è tempo per inserire questi miti pagani. Per quale motivo c’è stata tanta rabbia, tanto furore di fronte a queste nuove teorie? Queste nuove scoperte ora così pubblicizzate, mettono in crisi tutta una linea di pensiero egemone della recente teologia, e gli stessi presupposti dell’esegesi moderna, la quale nasce nell’ambiente del protestantesimo liberale di Tubinga, con l’idea di spezzare la continuità fra il Gesù storico e il Cristo della Fede e poi si prolunga nel nostro tempo con la scuola di Bultmann (rottura totale tra il Gesù storico e il Cristo della fede). Dopo la prima guerra mondiale, noi del mondo cattolico abbiamo fatto fatica a familiarizzare con lo schema bultmaniano e adesso i buoni esegeti cattolici devono in fin dei conti riconoscere che la via scelta non era, del tutto almeno, la via giusta.

Voglio mostrare come si può praticare oggi il metodo scientifico prendendo come esempio il miracolo della moltiplicazione dei pani, forse il più importante della vita di Gesù. Abbiamo sei racconti per quattro Vangeli, perchè Matteo e Marco lo raccontano entrambi due volte. Prendo come punto di partenza Mc 6, 30-56 e Mc 8, 1-10. Per Marco, questo evento della moltiplicazione dei pani è di fondamentale importanza. Lo ammette egli stesso come conclusione della prima parte del suo Vangelo, la famosa sezione dei pani. Ogni brano da 6 a 8 parla di pane e sbocca nel racconto della seconda moltiplicazione e poi viene la confessione di Pietro (8-31) che è la piattaforma girevole del secondo vangelo: "Chi dite voi che io sia?" domanda Gesù agli apostoli. "Tu sei il Messia", risponde Pietro. Dunque da 1 a 8 c’è la progressiva rivelazione di Gesù come Messia, ma subito dopo da 8 a 14, la seconda parte del secondo vangelo, Gesù insegna ai suoi quale sarà il suo vero messianismo, perchè nel contesto della moltiplicazione dei pani c’era un equivoco di fondo ancora. Allora la domanda è: ma storicamente cosa è stato questo Mistero? è possibile conoscerlo? cosa bisogna fare? Eliminare nel racconto elementi molto chiari di rilettura ecclesiastica (sono due, tre versetti in Marco dove è evidente la somiglianza con l’Eucarestia. Sapete bene che è stata istituita nell’Ultima cena; qui il pane del deserto viene già letto come pane eucaristico, che deve venire ancora. E in Giovanni la stessa cosa, il miracolo dei pani in Gv 6 viene messo accanto al grande discorso eucaristico, dunque lettura eucaristica dell’evento dei pani, una tipologia del pane del deserto, la manna ecc.). Per sapere il senso storico della moltiplicazione dei pani provvisoriamente devo eliminare queste riletture posteriori eucaristiche e verificare cosa trovo all’inizio e lì devo poi applicare criteri di storicità (criterio di continuità e di discontinuità). Qual era l’elemento primordiale della vita storica di Cristo? l’annuncio del Regno di Dio, un grande evento escatologico. Ora quando troviamo in un brano dei Vangeli questa risonanza dell’annuncio del regno e dell’apertura escatologica, siamo in campo storico. Attraverso questo miracolo Gesù viene scoperto come il Messia aspettato da Israele tanto che vogliono farlo re. Cosa fa Gesù? Dice ai discepoli di prendere la barca, di mandare via la folla e di passare dall’altra parte; Lui si ritira in montagna per pregare. Dopo la Resurrezione e l’Ascensione non c’era più tentazione di Gesù politico. Siamo in un contesto politico, storico, di messianismo ancora ambiguo: questo vuol dire il punto di partenza autentico. Il fatto storico autentico, la moltiplicazione dei pani ha fatto scoprire che Gesù era il Messia di Israele. Poi quel testo è stato riletto dalla tradizione, innanzitutto in senso eucaristico.

C’è continuità tra il Gesù storico ed il Cristo della fede. Dobbiamo interpretare la scrittura nello stesso spirito in cui è stata scritta, e cioè facendo tre cose: tenendo conto dell’unità di tutta la scrittura, Vecchio e Nuovo Testamento della tradizione viva di tutta la Chiesa, e dell’analogia della fede. Ecco il cammino delle Dei Verbum! Questa è una novità del Concilio, l’importanza della base storica dei dogmi. E qui posso soltanto raccomandare di interessarsi per quelli che sono più preoccupati di questi problemi a Blondel. Dice Blondel che questa storia che pure è scienza conosce solo il fenomeno esteriore ma rimane alla superficie delle cose. La vera storia sono delle persone: Gesù, Maria, poi i cristiani, una profonda esperienza spirituale formulata alla meglio nei testi dei vangeli, però i testi dicono solo la superficie delle cose. Ora la vera ricerca storica va al di là dell’apparenza. Cito qui improvvisando un po’ una metafora bellissima, recente, attribuita a Paul Ricoeur. Dove sta il senso di un evento? Nel detto o nel fatto? Ricoeur prende l’immagine di un mare agitato, in tempesta: chi è sulla nave cosa vede? delle onde e molta schiuma. Ma Ricoeur che ha riflettuto molto sul simbolismo, dice che usando solo il linguaggio (i testi) raggiungiamo unicamente la superficie. Il linguaggio razionale che racconta, afferra soltanto la schiuma della vita. Sotto la superficie c’è tutta la profondità dell’oceano e solo il simbolo, la lettura simbolica dei fatti, il significato profondo va al di là del detto puramente grammaticale. Interpretare vuole dire cercare il non detto del detto. Sotto il detto, il testo c’è tutto il Mistero. La formulazione di vangeli è vera, però fa pensare ad un Mistero più profondo che è il vero compito dell’interprete.

Nel prologo della prima lettera Giovanni parla dell’inizio. Ma quel principio, quell’inizio per i testimoni era il tempo di Gesù. Ma per i cristiani della seconda generazione (ciò che voi avete sentito fin da principio) quale era il momento cronologico del principio per loro 50 anni dopo? Esistenzialmente è la stessa cosa. Il Cristo predicato nella Chiesa è il principio del Cristianesimo. La cosa formidabile in Giovanni è la quasi convergenza-identità tra l’esperienza degli apostoli, testimoni, e l’esperienza dei cristiani che si sentono predicare quella testimonianza. C’è comunione tra tutti nella stessa fede in Cristo. Il cristianesimo comincia dall’incontro con Cristo in momenti cronologimente diversi e questo è l’unità di tutta la tradizione.

 

NOTE

(1) Notiamo bene che questo versetto di Giovanni è molto diverso dall’introduzione del prologo del IV vangelo: "In principio c’era il Verbo": siamo a livello trascendente, invece nella lettera siamo a livello storico.