Giustizia è fatta?

Lunedì 22, ore 15

Relatori:

Alfredo Biondi

Tiziana Maiolo

Antonio Patrono

Moderatore:

Vincenzo Vitalone

 

Vitalone: La vicenda giudiziaria di questi due anni ha determinato, come mai nella storia del nostro Paese, la vicenda politica, sociale ed economica. Ad opera della Magistratura si è affrontato un sistema di degrado della morale politica arrivata a livelli estremi. Accanto alle luci non mancano degli interrogativi sulle modalità con cui questo potere a volte viene esercitato, sui rapporti e sull’incidenza che esso ha sulla vicenda politica.

Alfredo Biondi, ministro di Grazia e Giustizia

Biondi: Di fronte al degrado della realtà politica, finanziaria ed al collegamento tra interessi privati e interessi pubblici che si è realizzato, la magistratura ha esercitato un grande ruolo. C’è da chiedersi se lo ha esercitato dovunque, perché non l’ha esercitato prima, perché si è verificata una capacità straordinaria, efficacissima di indagine e di verifica di situazioni su cui si vociferava da tempo. Certamente ad un certo punto si è verificata una più forte necessità di scoprire come stavano le cose. Partendo da un episodio marginale è nata una operazione di alta pulizia giudiziaria che ha scoperto un mondo che forse non era nemmeno misterioso o inesplorato, ma non era sicuramente stato valutato nella sua entità, che ha sgomentato tutti, perché nessuno poteva immaginare il livello dei coinvolgimenti. La giustizia procede attraverso accertamenti che riguardano i soggetti, le collettività. Eppure c’è stato un momento in cui era l’intera classe politica, indipendentemente dalle responsabilità, ad essere ritenuta nel suo insieme colpevole.

Il Parlamento poi è caduto, c’è stata una nuova fase della vita politica, e l’attività giudiziaria si è avvalsa certamente del favore popolare che ha realizzato. Il Magistrato non deve cercare il consenso per il consenso, ma se lo ha è più forte, però bisogna stare attenti a non avere quel senso di onnipotenza che la Costituzione non assegna alla Magistratura. Se all’indipendenza della Magistratura si frappone la sudditanza del potere politico, parlamentare e governativo, allora c’è un grave rischio di rottura di un saggio equilibrio di poteri.

La cosa importante è che siano rispettati il principio della inviolabilità della libertà della persona e della presunzione di non colpevolezza e che venga correttamente applicato il Codice di Procedura Penale il quale prevede un processo di parti: un pubblico ministero che sostiene una tesi, il difensore che la contrasta o la anticipa, raccogliendo le prove, e un giudice, tanto delle indagini preliminari quanto nell’udienza preliminare e nelle fasi successive. Io sono convinto che una indagine si può fare anche senza dovere per forza privare della libertà un cittadino. Occorre evitare che le misure coercitive anticipate costituiscano un acconto su una pena che non è stata erogata e che rappresentino, all’inizio, una specie di mezzo non per assicurare la prova, ma per garantire che la prova venga direttamente fornita attraverso la preoccupazione che chi è in carcere ha di uscire il più presto possibile purché confessi; allora non è più uno strumento che, come dice l’art. 874 e 875, diventa eccezionale rispetto ad una regola di garanzia, ma diventa uno strumento ordinario rispetto ad una regola che questa garanzia non accetta.

Tiziana Maiolo, presidente della Commissione Giustizia della Camera

Maiolo: Sono stata per 15 anni cronista giudiziaria al Palazzo di Giustizia di Milano e so come funziona il meccanismo del rapporto tra la stampa e la magistratura. C’è un rapporto di reciproca dipendenza perché la notizia, i modi ed i tempi con cui la notizia viene data, esatta od inesatta che sia, ormai è entrata a far parte delle indagini, cioè le indagini di un magistrato possono trarre impulso dal fatto che ha l’appoggio della stampa. Ne è prova il fatto che nelle inchieste di questi processi per reati contro la pubblica amministrazione, spessissimo la stampa anticipa dei provvedimenti di custodia cautelare, rendendosi complice di un reato, perché se sui giornali c’è scritto che il cittadino Rossi sta per essere arrestato, questi può essere indotto a sottrarsi alla cattura dall’apprendere questa informazione, eppure nessuno si scandalizza più di questo.

Ho l’impressione che queste anticipazioni di notizie servano come forma di intimidazione nei confronti della persona che sta per essere arrestata. Ormai questo tipo di imputato sa benissimo che se i suoi avvocati sono bravi a fare una trattativa con i magistrati, con l’aiuto della stampa che anticipa la notizia, forse può evitare il carcere. Ecco una procedura di cui i giornalisti si fanno complici rendendo la giustizia non uguale per tutti, perché ci sono dei cittadini nei cui confronti viene usato un altro trattamento. Vi siete mai domandati come mai i giornalisti e gli operatori televisivi siano così preveggenti da arrivare sul posto dove le forze dell’ordine faranno un blitz, proprio nel momento in cui il blitz dovrà avvenire? Ed il cittadino che quel blitz subisce, innocente o colpevole che sia, avrebbe o no diritto a non vedesi ammanettato e sbattuto dentro un televisore? Perché insieme con la libertà di stampa c’è anche la libertà dell’individuo, di non essere incarcerato se non è responsabile, libertà di andare ad un processo possibilmente in condizioni libere, ma anche la libertà di non essere sbattuto sulle prime pagine dei giornali come mostro o come corvo. La libertà è una parola troppo sacra per essere corrotta con concetti che sanno soltanto di corporativismo e di arbitrio.

Antonio Patrono, membro del Consiglio Superiore della Magistratura

Patrono: Sono qui in veste di componente dell’organo di autogoverno della magistratura che tende, istituzionalmente, a controllare che ogni magistrato faccia il proprio dovere nella miglior maniera possibile. Da questo punto di vista è pertinente il richiamo che mi si fa al tema dei rapporti fra magistratura e stampa. Ritengo che questo possa essere addirittura ampliato, alla più generale tematica su quello che deve essere l’approccio del magistrato, nel corso di una indagine giudiziaria, nei confronti dei fatti di cui si trova ad occuparsi, un approccio quasi computeristico, meccanico, oppure un approccio umano. Sono dell’idea che l’obiettività dei fatti non può farci dimenticare mai il rispetto della soggettività delle persone. Una delle poche norme del decreto Biondi su cui ero d’accordo era quella che riguardava i limiti della pubblicità della informazione di garanzia, proprio nell’ottica del rispetto della personalità dell’indagato, perché è chiaro che se da una parte il diritto di cronaca impone una conoscenza, dall’altro il rispetto della dignità umana lo vieta quando questa conoscenza non sia necessaria ad altri fini. Un persona arrestata può risultare poi innocente, comunque è una persona che sparisce dalla collettività sociale, dal suo ambiente di lavoro, dalla sua famiglia. Non si può accreditare un sistema di rapporti tra organi che impedisca la conoscenza di una notizia di questo genere, perché altrimenti noi avremmo un fenomeno preoccupantissimo che potrebbe paragonarsi a quello dei desaparecidos argentini: noi avremmo una persona sparita completamente, di cui nessuno potrebbe sapere nulla. Situazione del tutto diversa è quella dell’invio di una informazione di garanzia la quale informa che sono state avviate delle indagini in seguito ad una denuncia. Non so fino a che punto questo rientri nell’indispensabile diritto di cronaca. Sono posizioni di difficile equilibrio che però dobbiamo sempre considerare proprio nell’ottica del rispetto dell’uomo, perché quando io agisco come pubblico ministero debbo sapere che dalle mie azioni questa persona può subire un danno, praticamente irreparabile, quanto meno alla sua reputazione, che è qualcosa a cui è giusto che uno tenga ed uno ha il dovere, oltre che il diritto, di tenere. Quindi ai fini di rispettare sempre di più chi è indagato, ritengo che il magistrato abbia il dovere (e che il Consiglio Superiore della Magistratura abbia il diritto-dovere di vigilare affinché quest’obbligo sia rispettato), di usare la massima prudenza, il massimo rispetto, la massima discrezione possibile. C’è poi un secondo uomo che ognuno di noi ha davanti quando fa una indagine, cioè la vittima di un reato. La reputazione dell’indagato deve essere tutelata in tutti i modi, ma anche l’aspettativa di giustizia deve essere rispettata nella maniera migliore. È quindi necessario che le indagini, pur rispettando le facoltà e le garanzie difensive, siano svolte con gli strumenti tecnici più idonei per accertare la verità. Le istituzioni devono cercare di trovare un nuovo equilibrio più saldo per raggiungere l’armonia che li deve guidare per l’interesse di tutti.

Vitalone: Esiste un principio di giustizia, tipico del diritto naturale, sintetizzato nella frase: "A ciascuno il suo". Nell’ambito della giustizia questo "suo" è garantito da un provvedimento del giudice, in modo che non ci sia nessuna pena se non come esito di un giudizio.

Purtroppo, ma questo credo che sia un problema culturale prima che un problema politico, ci siamo sentiti appagati nel vedere il potente in manette, senza poi interessarci se fosse colpevole o no.

Quando un popolo è ridotto a questo punto è il segno che anche l’operatore di giustizia non tiene alla giustizia in quanto manifestazione culturale di un popolo ma forse ha anche altre preoccupazioni. Vorrei sapere, sig. Ministro, se concorda su questa tesi che è indispensabile il giudizio "perché giustizia sia fatta".

Biondi: La lentezza dei processi ha fatto spostare l’interesse della gente, anche a causa dei mezzi televisivi, sull’immediatezza della percepibilità dei fatti che vengono somministrati con una certa capacità di far corrispondere l’offerta alla domanda. Il baricentro oggi si è spostato da un equilibrio fra accusa, difesa e giudice ad una preponderanza dell’accusa. Nel caso di tangentopoli, la Magistratura ha dovuto adempiere ad un compito: là dove la politica aveva mancato di attendibilità la gente ha riversato sul giudice la speranza della giustizia, però la speranza della giustizia, lo dice la parola stessa, è una speranza. La certezza sta nel verificare se la speranza corrisponde ai fatti e la verifica la deve fare il giudice. Accelerare dunque i tempi; ristabilire un equilibrio tra accusa e difesa, e indipendenza, da opposte sollecitazioni, del giudice.

Vitalone: La massima virtù del giudice è la prudenza; non per altro l’attività del giudice si chiama giurisprudenza, cioè affrontare e leggere la realtà in tutti i suoi aspetti, l’atto di giustizia in tutte le sue conseguenze. Ma perché questo possa essere fatto occorre aiutare il giudice, dargli strumenti legislativi fatti bene, corretti e comprensibili, e che le leggi non cambino, specie le leggi penali, ogni sei mesi, facendo venire meno la certezza del diritto.

Maiolo: La certezza del diritto è una cosa importantissima, però le norme vanno prima di tutto applicate e ora se noi ci troviamo davanti alla necessità urgentissima di precisare meglio le norme sulla custodia cautelare, è perché c’è stata, e questo lo riconoscono tutti, una costante violazione di queste norme.

Dico questo non perché voglia criticare sempre l’attività dei magistrati; ma poiché io penso che in politica, anche in politica giudiziaria, il metodo sia tutto, e non ho mai creduto che il fine giustifichi i mezzi, non credo neanche che dalle rivoluzioni ottenute con il sangue possa nascere la democrazia, neanche quindi dalla "rivoluzione tangentopoli". Di conseguenza io penso che sia necessario fare delle riforme e spero che il Parlamento non abbia la magistratura contro mentre fa queste riforme. La riforma sulla custodia cautelare è stata necessaria soprattutto perché il codice Vassalli, che era un buon codice, non è stato applicato.

Quando una magistratura ritiene, attraverso l’applicazione delle leggi, di abbattere un regime, sta sbagliando e allora forse è giusto che intervenga il legislatore a precisare meglio la norma e a dire: "l’articolo 275 del Codice di Procedura Penale dice che il carcere deve essere l’ultima possibilità come forma di custodia o di strumento di cautela nelle indagini". Perché questi articoli vanno precisati o modificati? Perché sono stati disapplicati.

Patrono: L’onorevole Maiolo ha detto: le rivoluzioni fatte sul sangue non portano buoni risultati e poi ha fatto riferimento a tangentopoli. Non so se tangentopoli possa essere definita proprio una rivoluzione ma non è stata fatta con il sangue bensì con le leggi e a mio giudizio questo è un grande merito non della magistratura ma di tutte le istituzioni comprese quelle che avevano promulgato delle leggi che hanno consentito di fare forse la prima rivoluzione della storia senza versare una goccia di sangue, ma con il codice alla mano.