Martedì, 27 agosto

VISTO CHE LE STELLE NON STANNO A GUARDARE

partecipano:

Inos Biffi,

docente di Storia della teologia medioevale e moderna presso la Facoltà teologica dell'Italia Settentrionale (Milano).

Ernesto Dejaifve,

professore e direttore spirituale del Grande Seminario di Namur (Belgio)

Il cammino verso l'ideale è possibile perché l'ideale si è fatto carne e viene verso di noi. Le stelle non stanno a guardare impietosamente la sofferenza dell'uomo, il suo tentativo di riscatto: dalle stelle è giunta all'uomo una parola che si è fatta carne e può essere incontrata. I santi sono il segno di questa misericordia del cielo verso di noi, segni riferendoci ai quali è possibile camminare, senza essere sopraffatti dallo sgomento perla differenza tra la nostra capacità, così piccola, e la grandezza dell'ideale che la nostra stessa essenza umana ci propone.

I. Biffi:

...Quella del santo dev'essere l'avventura del cristiano comune che è in noi: perché il santo è il cristiano comune, che ha incominciato a cercare e non smette mai sino alla fine, consapevole della propria nativa debolezza e delle sue cadute ma confidente in una forza più grande che non viene da lui. Qui tracciamo il profilo di un santo: Tommaso Moro, che conclude la vita trovando il Santo Graal nel martirio del 7 luglio 1535: un martirio accolto con trepidazione e fiducia, nella discrezione di chi teme di fare l'eroe, ma anche nella fedeltà e perseveranza a rigettare tutte le fogge che la bestia tentava di assumere dentro e fuori di lui: in particolare a rigetta.re il potere. Tommaso Moro viene al mondo con una dote assai rara: il senso dell'humour, che non lo abbandonerà mai, neppure negli istanti estremi, quando raccomanderà al carnefice di avere riguardo per la sua barba, e gli chiederà di dargli una mano a salire sul patibolo, che a scendere si sarebbe arrangiato da solo. "Aperto alla simpatia e all'amicizia, e ad un sorriso lievemente motteggiatore - lo descrive Erasmo - è più portato alla giocosità che ad un contegno grave e severo, sebbene non conceda mai assolutamente nulla alla volgarità o al sarcasmo. Fin da piccolo ha sempre preso tanto gusto agli scherzi che si direbbe sia venuto al mondo per prendere in giro la gente: ma i suoi scherzi non sono mai sciocchi né crudeli". Tommaso Moro ha il gusto della vita; è sobrio, ma "non ha alcun pregiudizio contro i piaceri anche materiali quando non abbiano niente di disonesto" Dice ancora Erasmo: "all'età degli amori non fu insensibile alle fanciulle"; pensò seriamente al sacerdozio "e non avrebbe trovato in sé nessun ostacolo per consacrarsi a quella vita, se non il desiderio di sposarsi. Così, preferì essere un marito casto che un sacerdote impuro". Si sposò due volte:... la prima con una ragazza assai giovane, madre dei suoi quattro figli; la seconda con una vedova, che egli scherzosamente chiamava "nec bella nec puella",...Alice la quale confessava di non riuscire mai a capire quando Tommaso parlasse sul serio o per burla. Ma lasciamo questi aspetti del suo humour per riconoscerne un effetto più profondo, cioè il dono che lo humour gli conferiva, della lucidità e del realismo. Tommaso vive nel mondo, con le sue cariche; anzi raggiunge la prima dopo quella del re, quella di cancelliere, senza perdere il senso della misura e del distacco. E’ nota una sua preghiera: "Signore dammi una buona digestione e qualcosa da digerire. Dammi un corpo sano, e la saggezza per conservarlo tale. Dammi una mente sana che sappia penetrare la verità con chiarezza, e alla vista del peccato non si sgomenti, ma cerchi una via per correggerlo. Dammi un'anima sana che non si avvilisca in lamentele e sospiri. E non lasciare che mi preoccupi eccessivamente di quella cosa incontentabile che si chiama "io". Signore, dammi il senso dell'umorismo: dammi la grazia di cogliere uno scherzo per trarre qualche allegrezza dalla vita e per trasmetterla agli altri". Se Tommaso sa burlare e burlarsi è segno che non confonde il ridicolo col serio, che riesce ad avvertire le cose serie, che son poche, e le ridicole, che son molte. E se vogliamo subito dire quali sono le cose serie per Tommaso Moro, le riconosciamo nella,giustizia e nella verità, nella oggettività e nella coscienza che è l'organo in cui traspare la verità. Per queste cose serie, per questi ideali, che sono l'antitesi dell'astratto, senza fanatismi e senza protagonismi, Tommaso Moro morirà martire, in una grande solitudine, avendo come unici compagni d'avventura un vescovo .(Giovanni Fisher) e alcuni monaci certosini. Tommaso ha il gusto della regione, che è pur sempre amore per l'oggettività delle cose. Il suo umanesimo, prima che letterario, è riconoscimento dei valori naturali, bontà e bellezza, che devono segnare l'azione e la comunione degli uomini: ne fa fede l'Utopia, con le sue "scintillanti ironie", e con l'intenzione sotto di esse di mettere a nudo le irrazionalità e le sciocchezze della società del suo tempo, da lui valutata col criterio di chi possiede acuto il discernimento, e quel senso della relatività che non assolutizza ciò che è contingente e variabile. Qualcuno potrebbe sorprendersi di questa soddisfazione e di questo agio di Tommaso Moro nei valori della natura e nel mondo della ragione. In realtà questa sua visione convive nell'esperienza del cristiano, che la convalida e le conferisce equilibrio e possibilità: infatti sarà per lui atto di ragionevolezza suprema andare incontro alla morte piuttosto che tradire la coscienza. Il momento della deliberazione decisiva, quella dell'assunzione del Santo, ricercato ininterrottamente sotto le parvenze dell'animo ilare e festivo, si avvicina nell'esistenza di Moro via via che sale al potere, che egli non desidera affatto...La prima preoccupazione di Moro, mentre già il dramma sta per iniziare, è quella che il re -nell'affare del matrimonio con Anna Bolena - lo lasci libero di agire secondo la sua coscienza, guardando prima a Dio e poi al re. Così la fedeltà alla coscienza e a Dio, e la fedeltà al re, entrano nel cammino della passione. Solo tre anni dopo, senza urti e ribellioni, si dimetterà: i vescovi avevano capitolato e la convocazione del clero aveva concesso a Enrico VIII il titolo di "capo supremo della Chiesa d'Inghilterra". Con le dimissioni incomincia ad apparire tutto il contenuto dell'umanesimo cristiano di Tommaso Moro...La vicenda del re giunge all'estremo con l`Atto di Successione" e poi con l`Atto di Supremazia" che dichiarerà il re "il solo capo supremo in terra della Chiesa inglese". Moro rifiuterà di aderire e di prestare giuramento là dove era rinnegato il primato di Roma e partirà per il palazzo di Lamboth...A casa non sarebbe più tornato; per una quindicina di mesi sarebbe rimasto prigioniero alla Torre. E proprio dalle lettere scritte dalla Torre, dalle preghiere, dal Dialogo del Conforto e dalla Expositio passionis Domini noi possiamo seguire la passione stessa di Tommaso Moro, che non vuole tradire la coscienza e la verità... Soprattutto alla Torre la passione di Tommaso è di soffrire per la fedeltà alla voce della sua coscienza, per il dolore dei suoi cari, che non comprendono la sua irremovibile fermezza. Le lettere alla figlia Margherita ne sono la struggente e commovente testimonianza...Alla stessa Torre nascono le preghiere nella previsione della morte, compimento di quelle stesse preghiere che rivolgeva quando il martirio era lontano...Chi legge il Dialogo del conforto rimane sorpreso che lo spirito giocoso non si sia spento. Alla torre Tommaso "rimase chiuso quindici mesi: quindici mesi di snervante attesa di quella tragica conclusione che egli lucidamente prevedeva. Quindici mesi di resistenza paziente alle affettuose suggestioni e tentazioni e lacrime di chi gli voleva bene e che egli tanto amava. Quindici mesi di sofferenze di dolori fisici e morali, di privazioni sempre più umilianti e indegne che egli cercò di sopportare e di vincere con la preghiera, con il colloquio con Dio, con lo scrivere"; specialmente con la meditazione della tristezza di Cristo nell'orto degli ulivi, di cui abbiamo la documentazione nell'opera Nell'orto degli ulivi, rimasta interrotta perché gli vennero tolti tutti i libri, la penna, la carta e l'inchiostro, e poco dopo fu messo a morte. Tommaso medita l'umanità di Cristo nell'angoscia della morte, e in essa legge la propria angoscia e domanda conforto per la propria debolezza...Con il conforto della passione di Cristo, Tommaso Moro affronterà con coraggio il martirio. Le stelle all'apparenza erano state a guardare. In realtà la fede di Moro gli faceva percepire che proprio allora l'ideale diventava reale: la fede. L'uomo per tutte le stagioni, come fu chiamato, ci ricorda che solo la luce della fede ci avvia alla ricerca e alla scoperta del Santo Graal. Ci ammonisce che non con vaghe, improvvise avventure, ma modestamente, ogni giorno ci si avvicina non tradendo mai il santo vero. Tommaso Moro è l'uomo di tutte le stagioni perché ad ogni stagione dell'esistenza e della storia, ci offre la via della scoperta, della verità e della coscienza, la quale, talora, può trovarsi sola o unicamente in compagnia dell'ultima autorità. Per lui fu la compagnia della Chiesa universale e dell'unità della Chiesa contro il potere, contro la bestia e il superuomo.

E. Dejaife:

La santità cristiana è ricca della testimonianza di un popolo che è innumerevole. La storia conserva la memoria circostanziale di coloro che hanno brillato in modo particolare Attraverso questi giovani, il Signore ci annuncia che la santità è prima di tutto Sua iniziativa, non tributaria della durata ma dell'intensità, che è sempre una risposta libera alla sua proposta, impegno personale e incondizionale, e che l'età in cui un giovane pronuncia i due o tre "si" che determineranno il suo destino è ben appropriata a questo impegno esistenziale, come pure alle rinunce che esso comporta...Sebbene non ancora beatificato Pier Giorgio Frassati occupa fra questi un posto del tutto originale, perché egli fu un laico. E nella vita laica che ha risposto pienamente e magnificamente alla chiamata alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità. E nella vita laica che ha fatto le sue scelte cristiane e improntato la sua vita evangelica. La sua vita illustra chiaramente ciò che il Concilio Vaticano Il dirà nella sua costituzione sulla Chiesa ,a proposito dei laici e dell'appello universale alla santità. Cito due frasi che si applicano alla lettera a P. Giorgio: "i laici sono chiamati in particolar modo ad assicurare la presenza e l'azione della Chiesa nei luoghi e nelle circostanze dove essa non può senza di loro essere il sale della terra. Così dunque ogni laico, in virtù dei doni che gli sono stati fatti, è un Testimone e nello stesso tempo uno strumento vivente della missione della Chiesa. (L. G. 33)...Nato a Torino nel 1901, Pier Giorgio vi è morto nel 1925. Tutto è rapido, bello, intenso nella sua vita. Parlare di Pier Giorgio in pochissimo tempo ci obbliga a mettere in evidenza solo alcuni aspetti importanti della sua personalità e della sua testimonianza...E’ la secolarità che caratterizza essenzialmente il laico cristiano. Senza essere del mondo, vive nel mondo, è questo mondo che vuole evangelizzare nello stato che gli è proprio e con i mezzi che sono suoi. In quale mondo Pier Giorgio Frassati ha vissuto la sua vocazione e la sua missione battesimale? Per prima cosa, è nel microcosmo costituito dalla sua famiglia. Fino ai suoi ultimi istanti, Pier Giorgio non ha avuto altra abitazione che quella dei suoi genitori. E, in ogni momento, dimostrava il forte attaccamento a loro. Fu membro della sua famiglia in modo pieno, portando sempre di più la preoccupazione della sua unità, fino alla più squisita ed eroica carità. Coloro che egli ha amato di un amore privilegiato, sono suo padre, sua madre, sua sorella. Questo affetto profondo l'ha modellato e adattato man mano che maturava. Le scelte di vita che ha fatto hanno stupito e anche deluso i suoi genitori, che sognavano per lui e anche per se stessi, un altro destino. La sua generosa fedeltà alle scelte evangeliche non ha, da parte sua, modificato nulla della affezione filiale, che si è addirittura intensificata, evitando ogni rottura e ogni distinzione. Il mondo in cui Pier Giorgio ha vissuto la sua avventura evangelica, è anche l'ambiente studentesco, poi universitario, con i suoi doveri, le sue ascesi, le sue gioie, le sue solidarietà, il suo pluralismo, i suoi confronti con la famiglia... Nel cuore della sua testimonianza cristiana, si scopre in lui come un istinto, la messa in opera della sua carità costantemente pronta, che ne fa punto di riferimento per gli studenti in difficoltà morale o materiale. Per molti di essi, Pier Giorgio sarà un fratello provvidenziale. delicato, discreto, presente, efficace. Senza dubbio perché è fondamentalmente socievole e perché sa che il cristianesimo è una proposta comunitaria, egli sarà felice di diventare membro di movimenti studenteschi cattolici, principalmente della Federazione Cattolica dell'Università Cattolica Italiana. Ha bisogno di far corpo con gli altri. Ha anche molto da dividere con loro. Ogni partecipazione ad un gruppo o ad un movimento sarà sempre per lui estranea alla semplice iscrizione nominale. Sarà sempre un impegno personale e reale, con tutti i doveri e i diritti che implica... L'orizzonte di Pier Giorgio è espressamente ampio, la rete delle sue relazioni, delle sue amicizie, della sua carità, è estremamente vasta. Lo condurrà a riflettere, alla luce del vangelo e nel concreto, al problema delle relazioni internazionali e'ad operare all'installazione della pace vera, fondata sulla carità che viene da Cristo. Sarà membro attivo, generoso, entusiasta di 'Tax Romana", questa unione di studenti di diversi paesi attraverso i legami della fede cristiana. La sua carità non ne farà un pacifista, ma un ammirabile pacifico. Egli parla di ciò nelle sue lettere agli amici cittadini di paesi ancora recentemente nemici, dispiacendosi che i responsabili delle nazioni restino sordi agli insegnamenti del Cristo e della. Chiesa, ma senza essere in alcun momento uno spettatore che guarda e geme dall'alto del suo balcone... Il mondo nel cuore del quale Pier Giorgio cresce in umanità e cristianesimo, è ancora il mondo che vive un'epoca della sua storia. L'Italia, per prima, il suo Paese per il quale è pronto a dare la vita, il suo Paese con i rischi della vita politica per la quale vibra e nella quale si impegna quando prende forma quello che diventerà la Democrazia Cristiana, il Partito popolare di Don Sturzo, del quale egli ammirerà il progetto e gli obiettivi, riservandosi la libertà di criticare un giorno la pusillanimità di coloro che si accontentano di discorsi e mancano di coraggio per le realizzazioni. Questo mondo storico, è ancora l'Europa, un'Europa divisa dalle conseguenze della prima Guerra Mondiale. Nella biblioteca di Pier Giorgio, un certo numero di libri italiani, francesi, tedeschi, testimoniano che ha cercato di capire l'unità e i risultati della guerra, ma soprattutto l'insegnamento della Chiesa sulla Pace, l'azione della Santa Sede a questo proposito e i punti di vista cattolici di partiti avversi…Egli lottava, per carità, senza sosta, vegliando contro l'ingiustizia sociale, contro le oppressioni economiche che generano una classe di uomini, di donne, di giovani e di bambini sottosviluppati, non soltanto sul piano materiale, ma morale e spirituale. Fu questo il vero teatro della sua più dura battaglia contro se stesso, battaglia contro il tempo da trovare, battaglia per riunire dei soccorsi urgenti, battaglia per superare le reazioni che suscitava attorno a sé questa ossessione dei poveri da aiutare, del lavoro da trovare per i disoccupati, dell'alloggio da trovare per le famiglie sfrattate per morosità, di una scuola o di ' un patronato dove sistemare i bambini che erano prede facili di un circondario moralmente distrutto. Divenne membro successivamente di due conferenze di S. Vincenzo De' Paoli. Ma alle visite che gli erano attribuite, egli ne aggiungeva altre, per esempio durante i mesi estivi in cui doveva restare a Torino per sopperire alla mancanza di confratelli che andavano in vacanza, ma anche perché percorrendo le vie della sua città, con gli occhi e il cuore spalancati si accorgeva di gente in difficoltà, si avvicinava loro, prendendo il loro indirizzo e annotando i bisogni più essenziali, ai quali, al prezzo di sforzi immensi, rispondeva concretamente. Le testimonianze raccolte ne La carità di P. Giorgio abbondano...Nelle situazioni più sordide, nella miseria, egli portava, come hanno detto alcuni poveri da lui visitati, molto più che aiuti materiali: la sua amicizia, il conforto della sua fraterna attenzione, della sua parola, dei suoi consigli. Poiché, leggendo e meditando queste testimonianze, appariva chiaramente che era l'uomo nella sua globalità che P. Giorgio incontrav2 e voleva aiutare, l'uomo nella sua dignità spesso schiacciata, nella sua vocazione di figlio di Dio... Vive nel cuore del mondo, lo riceve così com'è, ma vuole sopprimere per quanto possibile i "contro-valori". Di questo ideale egli possiede l'essenziale come un tesoro ricevuto, l'inventa e lo concretizza in funzione degli appelli o delle "ferite" che incontra sulla sua strada. Concepisce solo la sua missione di testimone e di strumento vivente del Cristo...Si è detto che la sua vita fu sempre più una corsa contro il tempo, e che egli lottava su tutti i fronti in una mobilitazione sempre più totale. Questa guerra la portava avanti liberamente, sopportando critiche, rimproveri ma ancora sapendo all'occorrenza prendere una posizione contro le sclerosi che affliggono talvolta le organizzazioni più belle. Egli lascerà così una conferenza di San Vincenzo la quale decide di sopprimere gli aiuti ad una famiglia per il fatto che le figlie vivono sregolatamente. A quei cristiani -egli dice- bisognerebbe inviare della formalina perché si conservino meglio. Pier Giorgio non cerca protezioni, non fa calcoli, non giudica. Dirà un giorno: "Il Cristo mi visita ogni mattino nell'eucarestia; ed io, con i miei poveri mezzi, gliela rendo facendo visita ai suoi poveri".Dirà ancora: "vedete l'enorme importanza che può avere l'essere in buona salute come lo siamo noi! La nostra salute deve essere messa al servizio di quelli che non ne hanno, perché altrimenti, è tradire il dono stesso di Dio e la sua Provvidenza". La 'Lumen Gentium" dice: "Ogni laico, in virtù dei doni che ha ricevuto, diventa un testimone e uno strumento vivo della missione della Chiesa", dunque di Cristo. Niente apparentemente predisponeva Pier Giorgio alla vita che egli ha condotto generosamente e in un'armonia impressionante. Suo padre, fondatore e direttore della "Stampa" era agnostico. Sua madre viveva bene un cristianesimo puramente sociologico. Egli avrebbe potuto optare per l'uno o per l'altro di questi atteggiamenti filosofici o religiosi. D'altra parte, il suo futuro professionale era completamente tracciato: egli poteva succedere a suo padre. Ma non soltanto egli ha scelto gli studi di ingegneria mineraria per essere, sotto terra, con i più abbandonati del mondo operaio, ma si è impegnato risolutamente, con gioia e incondizionatamente sulla via di una vita cristiana puramente evangelica. Egli ha compreso che la personalità è lo svolgimento delle possibilità che sono nell'uomo, ma anche il dono di sé agli altri. Per essere, bisogna donarsi. L'uomo che non si dona non è. E questo. dono di sé comincia ad essere una chiamata fin dai primi anni della vita cosciente. Per comprendere questa chiamata nella vita di Pier Giorgio e la sua risposta sempre più totalitaria, bisogna cercare di cogliere la sua avventura interiore. In un ambiente familiare che non lo favoriva, il Cristo si è fatto vicinissimo a Pier Giorgio fin dal suo terzo anno... Il Cristo e il Vangelo sono diventati per lui, molto presto, il riferimento essenziale...Ascoltatore assiduo del vangelo, ha dovuto riflettere molto sulle scelte di Gesù nel deserto, scelte che il Cristo ha preso senza sosta durante la sua vita pubblica. Cristo ha scelto, contro l'Avere, che diventa così presto egoismo e rifiuto di condivisione, la Povertà; contro il Valere, che diventa così presto vanità e orgoglio, disprezzo degli altri, l'Umiltà; contro il Potere, che si tramuta così facilmente in manipolazione, il Servizio. Egli fu povero, dolce ed umile, e rimane tra noi come Quello che serve. £ per questo motivo che il suo Evangelo è una Buona Novella, esigente, ma gioiosa e liberatrice. Il santo spirito ha permesso che Pier Giorgio accogliesse e comprendesse questo evangelo e lo vivesse in modo pienamente umano...E’ anche per questo, come ha detto Papa Giovanni Paolo 11, che Pier Giorgio fu l'Uomo delle otto beatitudini che sono, nello stesso tempo, il ritratto di Cristo, il cuore della Buona Novella, le ancore di ogni vita che si vuole evangelica e la chiave della vera gioia. Pier Giorgio, giovane e adulto cristiano, ha potuto non soltanto vivere il Vangelo, ma annunciarlo con la sua vita, perché non ha mai smesso lui stesso di lasciarsi evangelizzare. Donandosi lui stesso da diversi anni, quando la morte gli si è avvicinata, inattesa, folgorante, a seguito di una malattia presa al capezzale di un povero malato che visitava, egli l'ha accolta semplicemente, senza lamenti, senza rimpianti, nella confidenza. Egli ha fatto il dono supremo di se stesso. E quando si legge il racconto commovente di Luciana Frassati su questi ultimi giorni, non si può che pensare che egli non è morto, ma è entrato nella Vita.