INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

Invito alla lettura

26/08/2011 - ore 19.00_x000D_ La guerra contro Gesù_x000D_ Presentazione del libro di Antonio Socci (Ed. Rizzoli). Partecipano: l'Autore, Giornalista e Scrittore; Massimo Borghesi, Professore Ordinario di Filosofia Morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Perugia._x000D_ A seguire:_x000D_ La ragazza che guardava il cielo. Storia di una grazia inattesa_x000D_ Presentazione del libro di Alberto Reggiori (Ed. Rizzoli). Partecipano: l'Autore, Medico; Veronica Asaba, Operatrice sociale, Responsabile del Meeting Point di Hoima, Uganda.

La guerra contro Gesù
Presentazione del libro di Antonio Socci (Ed. Rizzoli). Partecipano: l’Autore, Giornalista e Scrittore; Massimo Borghesi, Professore Ordinario di Filosofia Morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia.
A seguire:
La ragazza che guardava il cielo. Storia di una grazia inattesa
Presentazione del libro di Alberto Reggiori (Ed. Rizzoli). Partecipano: l’Autore, Medico; Veronica Asaba, Operatrice sociale, Responsabile del Meeting Point di Hoima, Uganda.

 

CAMILLO FORNASIERI:
Siamo giunti all’ultima proposta di “Invito alla lettura” di questo Meeting… sì… con i due migliori libri. Bene, abbiamo già salutato il caro amico Antonio Socci, giornalista, volto e penna conosciuta che, per la Casa Editrice Rizzoli, ha scritto con un faticoso lavoro, in mezzo alle tempeste della vita, La Guerra contro Gesù, un libro corposo che raduna molte notizie, molti racconti anche sulla storicità di questo Uomo – Dio – Gesù Cristo, collocandoli all’interno delle reazioni, o meglio della guerra, come dice il titolo, che attorno a questo caso serio della storia è iniziata ad accadere, con una forza di persecuzione diversa rispetto al passato. Il libro riporta tutta la documentazione storica, le prove certe che esistono attorno alla esistenza di Gesù Cristo e alla sua pretesa di essere il Dio. Nelle prefazioni diverse, che adesso volevo solamente accennare, c’è una frase di Tommaso d’Aquino, che dice: “Come è compito specifico del sapiente meditare ed esporre ad altri la verità, è anche suo compito impugnare la falsità contraria”. Questo libro si apre con una prefazione dedicata a Shabhaz Batti – abbiamo avuto qui il suo fratello, tra noi, in questi giorni – questo testimone, questo martire dei nostri giorni, di cui riporta il commovente testamento. Perché questa partenza? Perché mentre cadono sotto i nostri occhi in ogni angolo del mondo i nostri fratelli, colpiti per nessun altro motivo se non quello di essere legati e amanti di Cristo, assistiamo ad un assordante silenzio; mentre c’è un vociare incredibile del politically correct, verso qualsiasi minoranza, anche quella dei delfini o dei piccioni, assistiamo invece a questo tiro al piccione, come documenta Socci, nell’altra prefazione, attorno a questo caso serio. Ecco, da qui parte un percorso che vede coinvolti anche nomi illustri del nostro illuminismo europeo contro la figura di Cristo, contro la sua pretesa, contro la sua grandezza, contro il suo semplice desiderio di esistere e continuare ad esistere come notizia e come vita, tanto è vero che la vita, per non farla parlare, viene tolta. Ma non mi dilungo oltre. C’è con noi Massimo Borghesi, che salutiamo, filosofo e docente di filosofia a Roma, che è stato con noi in questi giorni. A lui la parola. Grazie.

MASSIMO BORGHESI:
Sì, è con vivo piacere che sono qui a presentare il volume di Antonio, di Antonio Socci, a cui sono legato da antica e profonda amicizia, La guerra contro Gesù, edito da Rizzoli. Con Antonio avevamo parlato anche a lungo della gestazione di questo volume. Il testo è l’ideale continuazione dell’altro, Indagine su Gesù, edito da Rizzoli nel 2008. Sono due volumi che costituiscono una appassionata difesa della figura di Cristo, così come descritta dai Vangeli, difesa rispetto alla critica corrosiva che nel corso degli ultima 50 anni è diventata egemone, anche all’interno delle Facoltà Teologiche. Noi non ci rendiamo conto quanto dentro le Facoltà Teologiche attualmente questa critica dei Vangeli abbia una capacità di distruggere la fede cristiana. Ve lo dico per esperienza, avendo insegnato anche per molti anni, e ancora insegno, dentro le Facoltà teologiche romane. Gli studenti studiano il biennio di filosofia, e tutto va bene, passano al triennio di teologia e progressivamente perdono la fede. Quindi c’è un problema interno, diciamo così, al punto da offrire gli argomenti con cui il pensiero laico contemporaneo combatte il cristianesimo. Sono i teologi che danno le armi con cui gli intellettuali laici poi distruggono la credibilità del cristianesimo. Cito gli studi più noti, quelli che hanno riempito le librerie nel corso degli ultimi anni, gli studi di Augias e Pesce, Inchiesta su Gesù, della Mondatori; Augias-Cacitti, Inchiesta sul Cristianesimo; Augias-Mancuso, Disputa su Dio. Augias ha trovato il filone aureo con cui realmente arricchirsi in maniera strepitosa sulla distruzione del fatto cristiano. Indubbiamente può essere criticato su molti versanti, ma non su quello dell’astuzia, è davvero abile. Da ultimo, viene il volumetto, molto smilzo, di Paolo Flores D’Arcais, il direttore di Micromega, che ha pubblicato Gesù, l’invenzione del Dio cristiano. Ultimo arrivato esprime bene la vulgata, cioè Gesù non è cristiano, che è la tesi di fondo che viene circolando, e vi leggo la brevissima sintesi fatta dallo stesso Flores d’Arcais sul suo volumetto. Cosa dice Flores? “Gesù non era cristiano, era un ebreo osservante, che mai avrebbe immaginato di dare vita a una nuova religione e meno che mai di fondare una chiesa. Non si è mai sognato di proclamarsi il messia e se qualcuno degli apostoli ha ipotizzato che fosse Cristo, lo ha fulminato di anatema. All’idea di essere considerato addirittura Dio vero da Dio vero, sarebbe stato preso da indicibile orrore. Gesù era un profeta ebreo itinerante, esorcista e guaritore, che annunciava il vangelo apocalittico del regno incombente, ha predicato quasi esclusivamente in Galilea, per pochi mesi, al culmine dei quali, recatosi a Gerusalemme, avendo provocato qualche disordine viene condannato alla crocifissione per sedizione, storicamente (guardate, questa è la cosa più importante) una figura di minore importanza rispetto a Giovanni che battezzava e ad altri predicatori apocalittici del suo tempo”. Insomma Gesù, un ebreo errante, di quasi nessun significato, che, però, caso strano, avrebbe provocato poi tutto quel pandemonio che è venuto dopo. Questa è la tesi di Flores, non è certamente l’unica. Flores ha un obiettivo polemico, i due volumi di Benedetto XVI su Gesù di Nazareth. Voi sapete che il Papa, da Papa, ha scritto questi due volumi, pur non vincolandoli all’autorità del Papa, Gesù di Nazareth. Dal Battesimo alla Trasfigurazione e Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Resurrezione. Perché uno che fa il Papa si preoccupa di perdere il tempo a scrivere due libri? Non so se c’è qualcuno che si pone questa semplice domanda. Evidentemente il Papa ha a cuore un problema per tutta la Chiesa universale, altrimenti non perderebbe il suo tempo a scrivere dei libri su Gesù di Nazareth. Qual è il problema o meglio la pretesa del Papa? Che il Cristo della fede sia il Cristo storico, che ci sia perfetta coincidenza tra il Cristo narrato nei Vangeli e il Cristo della storia, il Cristo quale realmente fu. Ebbene sia pure nelle vesti di un dilettante allo sbaraglio- Flores è un dilettante allo sbaraglio, Antonio lo può confermare, Flores ha incominciato tre o quattro anni fa a interessarsi di studi teologici ed di esegesi, non ne sapeva nulla, fino ad allora – Flores coglie un aspetto essenziale e lo scrive lui stesso. Scrive Flores D’Arcais: “Vincere anche in coerenza logica e sapere critico le pretese della cultura storica dominante, utilizzando i suoi stessi strumenti metodologici e i materiali d’indagine, questa è l’orgogliosa convinzione dell’idea cattolica di Ratzinger, che ritiene la Chiesa anche paladina di un corretto illuminismo, una convinzione – aggiunge Flores D’Arcais – da prendere sul serio, una sfida a cui la cultura laica non può sottrarsi, visto che viene chiamata ad un confronto sul terreno che più gli è proprio, quello della valutazione critica di tutti i dati disponibili”. Cioè Flores D’Arcais, nel suo laicismo intransigente, capisce che il Papa si muove intelligentemente sul terreno dell’illuminismo. Non accetta la mitologizzazione della fede, non accetta, come molti preti o teologi dicono, “sì, ma si parla di fede, che c’entra con la realtà?” No, il Papa vuole identificare il dato di fede con il dato reale e quindi con il dato storico. Flores capisce quindi che la posta è il terreno storico, cioè il terreno che l’illuminismo usa per distruggere il cristianesimo, perché l’attacco che l’illuminismo porta è sul terreno storico: il cristianesimo è realmente accaduto in quella forma narrata dai Vangeli o è frutto della interpretazione degli evangelisti, o dei teologi o dei preti e così via? Quindi Benedetto XVI rifiuta la mitologizzazione del cristianesimo, fonda la legittimità della fede sull’esperienza di fatti realmente accaduti. Il vero nodo con cui il cristianesimo può rispondere all’illuminismo è nella dimostrazione della legittimità della fede, ma non in senso astratto, in senso concreto e reale. La fede ci restituisce la realtà di quello che è accaduto o deforma idealizzando i fatti storici, costituisce la riabilitazione di un lutto, come dice Flores e tanti teologi? Siccome Cristo era morto in croce, non si rassegnavano alla sua morte, non si rassegnavano e hanno pensato che era risorto. Questa è la dinamica con cui spesso viene spiegata la nascita della Chiesa e l’idea nel Cristo Risorto. La fede costituisce la riabilitazione di un lutto o si fonda sull’evento inatteso, inaspettato della risurrezione è una visione mistica o è una visione reale? E’ chiaro che se si parte dalla prima versione del dilemma, cioè come lente che deforma, allora il Cristo reale, storico non può più coincidere con quello della Chiesa. La stessa narrazione evangelica diventa l’esito filtrato di una visione idealizzante, che fa di un uomo, Gesù di Nazareth, un messia divino, il figlio di Dio: il Cristo della fede non coincide più con il Cristo della storia. Questa dissociazione non è una cosa recente, è il risultato di una corrente di esegesi razionalistica che inizia nella seconda metà del ’700 e che Antonio mostra molto bene nel suo volume e che arriva fino a noi. Io cito i nomi più illustri, Reimarus, Strauss, Bultmann; l’idea di fondo è ritrovare il Cristo reale, al di là di quello idealizzato, tramandato dai Vangeli e dalla Chiesa. E’ una idea illuminista che parte dall’idea che il Cristo storico non può che essere un uomo, un semplice uomo, allora miracoli, prodigi, resurrezione diventano elementi spuri, aggiunti posteriormente dai redattori dei Vangeli. La decostruzione del testo evangelico parte, come si vede, da un pregiudizio: il divino non può accadere così. Questa è l’idea di fondo che sta dietro il razionalismo nella interpretazione dei testi evangelici, si parte da un pregiudizio a priori, non è possibile che Dio agisca così, così umanamente, con questo spessore umano, che si coinvolga nella carne, dietro l’illuminismo sta una forma di gnosi, il divino non può contaminarsi con la materia, quindi Cristo non può che essere un semplice uomo, non può essere Dio, perché Dio non può essere così. Questa è la pregiudiziale filosofica che sta dietro montagne di carte e di esegesi in questi ultimi due secoli. E’ chiaro che se io parto da un pregiudizio così, il Cristo storico è quello senza i miracoli, è quello senza i prodigi, è quello senza la resurrezione, è ovvio, lo dice molto bene uno dei più grandi, grandi per modo di dire, di questi studiosi, teologi, razionalisti tedeschi dell’Ottocento. Strauss scrive una Vita di Gesù nel 1835, che avrà una importanza enorme nella cultura tedesca dell’Ottocento, pensate che tanta parte dei filosofi tedeschi tra Ottocento e Novecento hanno perso la fede per la lettura della Vita di Gesù di Strauss, perché se Gesù è quello, non è più possibile credere. La filosofia presuppone l’esegesi dei Vangeli, se io dico che la narrazione evangelica è una narrazione costruita a distanza, idealizzata, deformata, allora la fede non è più possibile. Dice Strauss: il divino non può essere accaduto così, in modo rozzo – dice lui – o ciò che è accaduto così non può essere divino. Questo è il postulato che sta dietro. Questo non poter essere non è un punto di vista critico, è una pregiudiziale, Antonio lo scrive bene, ma sono pochi a dirlo, perché la maggior parte dei teologi non ha un background filosofico che gli permetta di capire queste cose elementari, non capisce che l’esegesi tra l’Ottocento e il Novecento è mossa da una pregiudiziale filosofica, non basta fare esegesi e teologia, bisogna capire le categorie che stanno dietro: il risultato è un punto di vista ateistico. Ebbene, in realtà questa separazione chirurgica tra il Cristo della fede e quello della storia, per quanti tentativi si facciano, non riesce, ed è qui l’interesse del libro di Antonio, perché non riesce? Non riesce, perché io, se escludo a priori l’idea che il Cristo possa essere quello dei Vangeli, se io escludo a priori quest’idea, che possa essere il Verbo, allora la figura e il destino di Gesù diventano incomprensibili. Perché diventano incomprensibili? Perché primo, non si capisce più perché Gesù sia autorevole: se Gesù è quello detto prima da Flores d’Arcais, meno importante di Giovanni Battista, un ebreo marginale che non ha fatto nulla di rilevante, ebbene perché tanta autorità, perché le folle gli vanno dietro? Se è solo un maestro ebreo osservante della legge, se è una figura di poca importanza – e non è solo Flores d’Arcais a dirlo ma anche diversi altri – come si spiega la sua incidenza? Secondo: se è un ebreo normale, perché viene condannato a morte? Flores in maniera – lasciatemelo dire – veramente stupida, dice perché ha creato un po’ di disordine. Ma santo Dio, è una spiegazione? Perché è uno zelota? Non regge. Pensate che lo studio di Pesce ed Augias dice – vi ricordo che questo Pesce è un teologo studioso di esegesi, che va per la maggiore in Italia, ebbene questo ha studiato una vita i testi e dice: ma perché lo hanno condannato a morte? Perché l’autorità romana si è sbagliata, perché pensava che fosse un tipo pericoloso e ha preso un abbaglio. Quando ho letto questo, mi sono cascate le braccia. Ma si può essere più stupidi di così, ma che è, una spiegazione critica questa? E’ una ipotesi, ma tu come fai a sapere che l’autorità romana si è sbagliata, hai la confessione di Ponzio Pilato che ti ha detto che aveva preso un granchio? Ma poi – voglio dire – questa è una spiegazione scientifica, ma che significa sostanzialmente questa cosa qua? Se Lui non si è autoproclamato Dio, perché viene mandato a morte per questo, allora perché viene condannato? Terzo punto: perché la fede, dopo la sua morte? Se era un ebreo marginale o normale, perché questi credono? Un caso unico nella storia di Israele, la divinizzazione di un uomo, perché qui non siamo né in Grecia, né a Roma, siamo in Giudea, siamo in Palestina, dove a nessun ebreo poteva venire in mente di farsi Dio, era la massima delle bestemmie, non siamo alla corte di Tiberio o di Nerone dove gli uomini si divinizzano, qui siamo nel luogo dove il monoteismo è rigido e dove per un uomo era empio farsi Dio. Com’è possibile, se quell’uomo non si è mai autoproclamato Dio, la fede che presuppone la divinizzazione di un uomo? Come è possibile la fede se Cristo muore e basta, se non c’è il Risorto? Questi sono problemi reali, che interrogano ogni tentativo razionalistico di capovolgere il senso dei Vangeli, ed è qui che l’esegesi razionalistica, nel tentativo di colmare il vuoto tra il Gesù morto e la fede pasquale, si arrampica sugli specchi. Nel Vangelo realisticamente si parla di scandalo di fronte alla croce, c’è la fuga, c’è il dubbio, tra la morte e la Pentecoste deve essere accaduto qualcosa perché la fede sia possibile; la fede è effetto non è causa, l’ipotesi razionalistica parte invece dall’idea che la fede sia causa, cioè che idealizzi qualcosa che non c’è, invece nella concezione cattolica e cristiana, la fede è l’effetto di qualcosa che accade, non è la causa di qualcosa che non c’è; per la filosofia del non accadimento al contrario la fede diviene la causa, la disposizione psicologica che immagina che il morto torni vivo, una autosuggestione, un’ipotesi che non regge e lo riconosce anche Vito Mancuso. Scrive Mancuso: “L’inoppugnabile dato storico della fede dei discepoli non prova nulla, beninteso, ma è un fatto di cui lo storico deve cercare la causa e l’autosuggestione o il furto di un cadavere non mi sembrano portare molto lontano. Tutti gli apostoli, salvo Giovanni, risultano essere morti martire ed è poco plausibile pensare che una decina di uomini diano la vita per una truffa da loro stessi ideata”. Lo dice Vito Mancuso, che non è il teologo più ortodosso di questa terra. Se così è, allora l’ipotesi che sorregge il razionalismo storico-critico risulta essere meno plausibile di quella che motiva la legittimità della fede secondo la tradizione della Chiesa. Per motivarla bisogna allora spostare i Vangeli molto in avanti e Antonio mostra ad abundantiam nel suo testo questo tentativo di dire che i Vangeli sono scritti tardi, tardissimo, perché se i Vangeli sono scritti a ridosso dei fatti accaduti, non possono che essere veritieri, perché sarebbero stati confutati dai testimoni oculari e per dire che invece i Vangeli idealizzano, bisogna spostarli in là, sempre più in là. E’ in questa alternativa – un minuto e termino – che prende forma il libro di Antonio Socci. Quello che Socci contesta con coraggio e con passione è la razionalità del razionalismo esegetico, lui contesta la razionalità del razionalismo; come nel caso di Benedetto XVI, la sua è una contesa sul terreno stesso dell’illuminismo, lo fa da par suo, da giornalista non da teologo, ma dove sono i teologi in questa discussione? Chi tra gli esegeti ha raccolto la provocazione del Papa è lo ha sostenuto? Il silenzio è assordante. Socci non è un teologo, è un appassionato polemista, con una fede autentica, non è però un dilettante, attenzione, il suo interesse per la questione del Cristo storico viene da lontano: chi andasse ha rileggere la raccolta Vangeli e storicità: un dibattito del ’95, a cura di Stefano Alberto, cioè di don Pino, che raccoglie articoli e interviste sul Sabato e su 30Giorni tra il 1991 e il ’94, uno dei testi che Giussani riteneva un testo chiave di quegli anni, ebbene troverebbe il suo nome tra i più presenti. La sua competenza nasce da lì, dal dibattito sugli studi di Carmignac di O’Callaghan e a questi poi si sono aggiunti altri studiosi John Robinson, Marta Sordi, Ilaria Ramelli, Tiede, José Miguel Garcìa, sono le colonne che sorreggono la sua indagine dotta e brillante ad un tempo, preziosa, l’unica in grado di contendere il campo, nel contesto mediatico attuale, ad Augias and company: laddove i chierici tacciono, sono i laici, come diceva Péguy, che restituiscono dignità alla fede. Personalmente lo ringrazio per questo suo impegno, tra i libri che ha scritto, a parte quello commovente ed unico – ritengo – su Caterina, ritengo i due su Gesù trai più importanti, qui si dirime la questione decisiva: “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede”, le parole di Paolo sono più attuali che mai.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie davvero a Massimo Borghesi, una lettura attenta che ha tenuto conto di tutti gli aspetti. Antonio raccontaci anche come è nato questo desiderio di dare un corpo così solido a questa indagine su Gesù.

ANTONIO SOCCI:
Ma diciamo, per riprendere uno degli ultimi temi toccati da Massimo, è nato dall’accorgermi che il razionalismo sta alla ragione più o meno come la polmonite sta al polmone. E quindi chi fosse tentato di considerare scientifica la paccottiglia oggi in circolazione, ma che poi ricicla temi che hanno più di 200 anni, deve stare attento perché si abbevera a sorgenti avvelenate. Io vorrei provare a fare un piccolo test. Voi in realtà siete un pubblico privilegiato, molto probabilmente conoscete anche tante questioni relative all’origine del cristianesimo, ma normalmente non è così fra gli stessi sacerdoti che frequentano non solo i seminari ma anche le università pontificie, le università teologiche, fra gli storici del cristianesimo, fra coloro che divorano i libri di Augias, di Odifreddi, che ovviamente mi concederete di ignorare, perché non si può rispondere a uno che scrive un libro sostenendo che i cristiani sono dei cretini per motivi etimologici, o a un Augias che non si vergogna di affermare che i martiri cristiani sono come i terroristi di Al Qaeda, testualmente, o di scrivere che Santo Stefano è stato ammazzato dai cristiani. Qui siamo ovviamente nelle barzellette che si confutano da sole, che non stanno letteralmente in piedi.
Però, alle spalle di queste barzellette, c’è un imbroglio ideologico che ha duecento anni e che ha occultato le tracce di Gesù e che ci ha sottratto la concretezza della sua presenza storica dalla nostra storia e dalla storia umana. Io ieri sera sono stato colpito e commosso dalla fila ininterrotta che c’era fino alle ventidue alla mostra su Cafarnao. In fondo una mostra che fa vedere alcune povere cose, la stanza dove Lui è stato, secondo le scoperte archeologiche che hanno ritrovato il villaggio, la stanza della casa di Pietro, quando Gesù dopo l’inizio della predicazione di Gesù decide di andare ad abitare a Cafarneo, la casa dove alcuni distrussero il tetto, addirittura, per fare arrivare un paralitico davanti a Gesù; la casa dove viveva Pietro con la suocera che Gesù aveva guarito; quella spiaggia sassosa dove una mattina Gesù passando, mentre Pietro, Giacomo e Giovanni stavano rassettando le reti, dice venite con me. Sono tracce che parlano al cuore, che parlano di un Dio che ci è venuto a cercare, che è insieme a noi, che è con noi. Ma potrei citarvi un’altra decina di casi di scoperte archeologiche degli ultimi trent’anni come questa, anche più commoventi di questa, che nessuno conosce. Faccio una fila di argomenti, vediamo se alcuni di voi è riuscito a superare la cortina della censura.
Il senato consulto di Tiberio dell’anno 35, con il quale l’imperatore, appena cinque anni dalla morte di Gesù, porta in senato la proposta di riconoscere come Dio il figlio del falegname di Nazareth, chi conosce una cosa di questo genere? Probabilmente voi, perché grazie al cielo trafficate, diciamo fra il samizdat, tra quella letteratura libera che piano, piano si fa strada. Ma chi conosce una cosa del genere? E chi conosce l’epistolario tra Paolo e Seneca, quando Paolo nei primi anni 50 arriva a Roma e Seneca è letteralmente sconvolto, lui che per tutta la vita aveva sognato un sistema morale che rendesse uomo l’uomo e incontrando Paolo trova che questa cosa non è una filosofia ma una vita che vede in lui? E si scambiano dodici lettere e addirittura Seneca, nel periodo in cui è ancora precettore d Nerone, in cui Nerone non era ancora ostile ai cristiani prima dell’anno 62, prima che lasci la moglie Ottavia per Poppea, addirittura fa leggere alcune lettere di Paolo a Nerone. O chi di voi ha sentito parlare, dopo la svolta persecutoria del 62, di quella stele conservata al Musée National de France, la stele di Nazareth è chiamata, che è una stele con un editto imperiale scritto di mano dello stesso Nerone, una stele ritrovata a Nazareth, con la quale Nerone proibisce il furto di cadaveri dalle tombe e la loro adorazione come dio? Sono fatti archeologici, notizie, che di per sé, essendo fatti, dovrebbero essere conosciuti, noti, dibattuti, invece sono pericolosissimi! Capite che se viene fuori che nell’anno 35 addirittura l’imperatore considerava il figlio del falegname di Nazareth fra le divinità nel Patheon romano, che per Tiberio era soltanto una mossa politica, perché il suo tentativo, anche nei confronti della Siria Palestina, era quello di stabilire buoni rapporti politici con popoli, gruppi, etnie… però tuttavia il figlio del falegname Gesù veniva considerato Dio. Questa è una cosa dell’altro mondo, tanto è vero che tutta la letteratura razionalista ha avuto bisogno di inventarsi la divinizzazione leggendaria postuma, ha avuto bisogno di inventare, senza una minima pezza di appoggio storica, che Gesù si sarebbe cominciato a considerarlo divino dopo molti anni, passate molte generazioni, quando, come dire, i fatti storici sono passati, sono ormai sfumati e tutto comincia ad aver la colorazione mitizzante della leggenda. Invece qua siamo di fronte ad una cosa folle, il figlio di un falegname, un uomo, un uomo che camminava per quelle strade, che era sulle spiagge di Cafarnao, che abitava a casa di Pietro, che conoscevano a centinaia, a migliaia, sul lago di Tiberiade, e che veniva considerato da alcuni, e da cinque anni già cominciavano ad essere tanti, la verità fatta carne, l’onnipotente fatto uomo. E’ una cosa totalmente inaudita. Noi siamo così abituati a vivere in un contesto cristiano, che di fronte all’enormità di questa affermazione non avvertiamo nessuno scandalo, come invece era per la mentalità ebraica.
C’è un passo di don Giussani che mi ha sempre colpito, che dice: “se c’è un delitto che una religione può compiere è quella di dire io sono l’unica strada, o io sono la verità”; è esattamente ciò che pretende il cristianesimo e, aggiunge don Giussani: “non è ingiusto sentirsi ripugnare davanti a questa affermazione, ingiusto sarebbe non domandarsi il motivo di tale pretesa”. Cioè don Giussani ci insegna a porre la domanda in maniera diversa, non chiedersi se una cosa è giusta o non è giusta, secondo i nostri schemi, ma se una cosa è accaduta o non è accaduta. E conclude: “infatti se fosse accaduto, questa strada sarebbe l’unica perché l’avrebbe tracciata Dio”. Ora il problema che si pone leggendo tutta questa paccottiglia, che è appunto iniziata 200 anni fa, in maniera anche filosoficamente e teoricamente fondata e poi si degrada mano a mano arrivando alla panphlettistica moderna, non è che tutti questi autori siano stati scettici, ma che non lo siano stati veramente, non siano stati scettici fino in fondo. Perché un atteggiamento scettico va a vedere l’eventuale imbroglio e lo smaschera, fatti alla mano. Invece tutta questa scuola di pensiero ha avuto bisogno di rimuovere i fatti per fare andare avanti le sue opinioni, rimuovere tutto, rimuovere perfino citazioni esplicite dei Vangeli contenute nelle lettere di San Paolo. C’è un passo di San Paolo che parla di Luca, che nel momento in cui scrive stava con Lui e stava facendo la colletta per la Chiesa di Gerusalemme, e ne parla come l’autore del Vangelo negli anni 50! Questa cosa qua è una bomba! Perché se negli anni 50 aveva già scritto il Vangelo, sapete cosa vuol dire? Vuol dire intanto che c’erano già almeno tre vangeli, e che tutti i fatti narrati circolavano già nella Gerusalemme di Gesù, vivi i suoi persecutori e i suoi nemici, vivi i testimoni! Nei vangeli le persone sono chiamate per nome, non sono favolette come nei vangeli gnostici, in cui tutto è vago, non si sa mai dove una cosa accade, a chi accade, quando accade: i vangeli sono un manuale di giornalismo. Anche nella pulizia della scrittura. Per cui il fatto che i vangeli potessero essere già stati scritti nei primi anni dopo la vicenda di Gesù, senza che nessuno potesse sbugiardarli, senza che nessuno potesse dire “ma cosa raccontate? Venite qua guardate il sepolcro è quello, e dentro c’è un corpo che marcisce”, nessuno ha mai potuto dire questo! Anzi, le fonti pagane ed ebraiche confermano tutto quello che nel vangelo è scritto!
Nel Talmud si parla di Gesù come uno che compiva miracoli! Celso, il primo autore pagano che firma un libello anticristiano, parla di Gesù come uno che compiva i miracoli! Capite! Ovviamente dà un’interpretazione negativa di Gesù, Celso dice: “ha imparato la magia quando è andato in Egitto”. Nel Talmud gi autori ebrei come dicono anche nel vangelo, parlano di un commercio fatto con il diavolo, di prodigi di origine diabolica. Ma di Gesù, questi fatti storici narrati nei vangeli, che la letteratura razionalista contesta, sono riportati e confermati dalla letteratura avversaria dei cristiani. Addirittura nel Testimonium Falvianum, c’è un testo bellissimo di Giuseppe Flavio. Giuseppe Flavio è il grande storico del popolo ebraico, ufficiale ebreo, che aveva partecipato alla rivolta antiromana e che poi diciamo diventa romano lui stesso e, adottato direttamente dall’imperatore stesso, diventa membro della famiglia flavia di Tito, Vespasiano, Domiziano, quindi un membro, quindi un membro della famiglia imperiale, che nell’anno 93, parlando nelle sue opere storiche sulla storia del popolo ebraico, ha questa pagina impressionante che rivoglio leggere: “Visse in questo tempo Gesù, uomo sapiente seppure lo si deve definire uomo, infatti egli compiva opere straordinarie e fu maestro di uomini che accolgono con gioia la verità e così ha tratto a sé molti giudei e anche molti greci, egli era il Cristo. Anche quando, per denuncia di quelli che tra noi sono i capi, Pilato lo fece crocifiggere, quanti dapprima lo avevano amato non smisero di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui, tutto ciò e mille altre meraviglie. Ancora oggi sussiste il genere di quelli che da Lui hanno assunto il nome di cristiani”. Tenete presente che Giuseppe Flavio era di famiglia sacerdotale, gerosolimitana, cioè che suo padre, suo nonno erano famiglie che facevano parte del Sinedrio, facevano parte del clan sadduceo che decise anche la sorte, la condanna di Gesù; cioè conosceva i fatti in maniera diretta, non per interposta persona. Scriveva queste cose nella Roma dell’anno 93, nella Roma del 93. L’imperatore, alla cui famiglia Giuseppe Flavio apparteneva, perseguitava i cristiani. E’ stata una delle persecuzioni più dure quella dei primi anni 90. Ebbene questo che è un autore ebreo, non è un cristiano, parla così di Gesù Cristo e parla così dei cristiani. Capite, erano anni per cui era perfino pericoloso parlare così dei cristiani. Ci sono delle satire di Marziale che sono state decodificate come satire contro le condanne dei cristiani, scritte in maniera molto cauta, molto prudente, perché in quegli anni era pericoloso!
Ecco queste sono parti del Testimonium Falvianum che ovviamente per tanto tempo è stato immediatamente rimosso, interpolato, come se le frasi più compromettenti fossero state interpolate dai cristiani, non fosse che tutti i codici a noi arrivati riportano esattamente questo testo, e soprattutto gli ultimi studi recenti di uno studioso francese dimostrano che questo è letteralmente il testo scritto da Giuseppe Flavio, ed è spiegabile parola per parola nella mentalità di un ebreo del tempo. Si potrebbero citare mille altri documenti, mille altri fatti del primo secolo, che dimostrano quanto sono falsi tutti gli assunti del razionalismo che vogliono che i vangeli siano stati scritti addirittura nel secondo secolo. Sapete che il Padre Ignace de la Lotterie, che era uno dei più grandi esegeti, esperto del vangelo di San Giovanni, mi diceva: “quando frequentavo il seminario, arrivavamo ad un certo punto del capitolo del vangelo di San Giovanni dove si parlava della piscina con cinque portici e ci dicevano “questo è un simbolo pitagorico””; perché la vulgata, il pensiero dominante era convinto che il vangelo fosse scritto non da San Giovanni ma da degli gnostici, dei platonici, nell’anno 205 circa, perché la scuola di Tubinga data al 200 o anche dopo il vangelo di San Giovanni. Senonché poi, negli ultimi decenni, tutti gli scavi archeologici fatti in Palestina, confermano dal primo all’ultimo, alla lettera, le cronache dei vangeli: è stata ritrovata la famosa piscina con cinque portici. Proprio quella! Hanno ritrovato la piscina non il simbolo pitagorico, con i cinque portici come la descrive Giovanni. E Giovanni la descrive in un capitolo che comincia così “vi è a Gerusalemme”, attenzione non vi era ma vi è. Attenzione allora, qual è il problema, che questa piscina è stata distrutta dai romani negli anni 70; allora se vi è nel momento in cui Giovanni scrive, vuol dire che il vangelo di Giovanni è addirittura anteriore al 70, la distruzione di Gerusalemme, capite! Salta tutto, salta tutto! Il famoso prologo di San Giovanni, “il Verbo si è fatto carne”, che è ritenuto un pensiero così sofisticato, così elevato, così alto, l’idea che il logos, che la razionalità che salva tutto l’universo dall’assurdo, sia diventato un uomo e che noi l’abbiamo toccato con mano, noi abbiamo vissuto con lui…questa roba qua, che non è concepibile, non è ammissibile, altrimenti bisognerebbe veramente dire che Gesù è Dio, tutta questa roba qua è stata scritta proprio da Giovanni, che c’era, che ha visto e che ha toccato con mano e che l’ha scritta in anni in cui erano vivi tutti i nemici di Gesù, che infatti hanno continuato a perseguitare gli apostoli fino a portarli tutti alla morte. Massimo citava prima il martirio degli apostoli, tra l’altro ci sarebbe da discutere sul martirio di Giovanni: a Giovanni hanno cercato di fargli la pelle e non è chiaro bene come sia morto, a Roma… no… ma scusate, ma c’è un fatto piccolo ma molto semplice, il solo fatto, il semplice fatto che Pietro sia morto martire a Roma è la prova patente, logica, ovvia che Gesù, il 9 aprile dell’anno 30, è risorto! Perché Pietro, noi lo conosciamo, Simone figlio di Giona, è quel pescatore che abitava in quella casa lì, un uomo molto concreto, col problema della suocera, col problema delle tasse, l’opposto del fanatico o del facinoroso che vuole andare incontro alla morte. Tanto è vero che quando arrestano Gesù è terrorizzato, non vede l’ora di scappare da Gerusalemme, un uomo, padre di famiglia, assolutamente realista, ecco, a un uomo così, con questa esperienza di paura e di terrore, d’improvviso gli esplode dentro una tale temerarietà per cui sfida tutte le autorità che lo arrestano, lo frustano, lo minacciano, le autorità del tempio, poi a Roma, dove sfida perfino le predizioni di Gesù che gli aveva profetizzato che lo avrebbero ammazzato, che accetta di andare morire… questo è un uomo concreto…Ma scusate, chi di voi accetta di buttare al macero la propria casa, la propria famiglia, mettere in pericolo i propri figli, lasciare i proprio lavoro per andare incontro ad arresti a torture e alla morte sicura, se non uno, che quelle cose che diceva, le ha viste, “non per essere andato dietro a favole artificiosamente inventate ma per aver visto la potenza di Gesù”.
Potremmo aggiungere molti altri fatti, per esempio a me ha colpito tantissimo la storia di questo grafico, non so se forse qualcuno di voi lo conosce, il Sator, che è stato ritrovato nelle rovine di Pompei, questo scritto enigmatico, perfettamente palindromo, che contiene un anagramma che poi viene sciolto con un incrocio di Pater Noster con Alfa e Omega, pensate, siamo nei primi decenni cristiani, e anche lì un paradosso assurdo: i cristiani già hanno quella sapienza di Gesù come Alfa e Omega dell’universo, origine e destino di tutte le cose, che questi famosi razionalisti ritenevano assolutamente impossibile ai primi cristiani, perché non potevano nei primi anni aver considerato Dio Gesù, doveva essere una leggenda posteriore, tarda.
Io allora mi sono chiesto una cosa. Si è armato un tale esercito di correnti filosofiche, poi di poteri accademici, editoriali, anche politici, perché questo attacco alle Sacre Scritture e ai Vangeli non inizia a caso nel ’700, perché per 1700 anni nessuno si è sognato di mettere in discussione la storicità del vangeli, nemmeno gli autori pagani, nemmeno Celso. Non inizia a caso in quel periodo lì. In quello snodo lì, ’500-’700, ci sono interessi economici e politici planetari, colossali, che sono legati alle scoperte dei nuovi continenti, alla possibilità di usare mano d’opera schiavistica, come usavano ai tempi antichi (a parte la parentesi cristiana), quindi interessi enormi di corone, di stati ecc. e l’unico ostacolo nell’Europa, nel mondo, era la Chiesa Cattolica, che continuava a tuonare, a definire “manutengoli di Satana” coloro che ritenevano che le popolazioni indigene, americane, non fossero esseri umani veri. Invece la Chiesa mandava i missionari e li battezzava per far capire che erano essere umani. La chiesa è entrata come un granello dentro questa colossale corsa al potere e alle ricchezze, perché il nuovo mondo, tutti i nuovi continenti racchiudevano ricchezze colossali e li è iniziato l’attacco alla Sacra Scrittura e poi ai Vangeli. Tutto l’attacco di Voltaire e dell’illuminismo contro la genesi, contro il monogenismo, ha la sua base, la motivazione ideologica in questo interesse a utilizzare i negri africani e gli indios americani come schiavi. Voltaire aveva bisogno di far capire che gli uomini non sono tutti figli di Adamo e Eva, altrimenti sarebbero tutti fratelli, la Chiesa, prima gli Ebrei e poi la Chiesa, hanno imbrogliato il mondo, le cose non stanno così, tutte le turpitudini che Voltaire dice su i neri, sugli ebrei e compagnia bella. Ecco ci sono questi colossali interessi dietro, non è una cosa banale, la Chiesa si trova aggredita da poteri politiCI, che sono anche poteri economici e compagnia bella. Allora io mi sono chiesto, perché hanno avuto bisogno di contrastare la storicità delle cronache evangeliche e di quello che la Chiesa per 1700 anni aveva annunciato con la manipolazione dei fatti? Guardate, si è trattato di una sistematica manipolazione dei fatti, sistematica, in una maniera, secondo me scandalosa – io ho provato a dimostrarlo nel libro, di polemica in polemica, di fatto in fatto. Secondo me, il motivo è questo, provo a dirvi in sintesi la conclusione a cui io sono arrivato, ve la dico con una frase di Pio XII contenuta nella Enciclica Humani generis, che è una delle encicliche più importanti del suo pontificato. Pio XII va oltre l’affermazione contenuta nella Dei Filius del Concilio Vaticato I che dice: “l’uomo può arrivare con le sue capacità razionali a riconoscere l’esistenza di Dio”; Pio XII scrive: “anche con la sola luce naturale della ragione, si può provare con certezza l’origine divina della religione cristiana”, poi aggiunge: “ma l’uomo, sia perché guidato da pregiudizi, sia perché istigato da passione e di cattiva volontà (io avrei aggiunto anche interessi), non solo può negare la chiara evidenza dei segni esterni, ma anche resistere all’ispirazione che Dio infonde nelle nostre anime”. Io, quando ho letto questa pagina, ho fatto un salto per aria, perché mi è sembrato di capire qualcosa in più, per esempio ho capito questi episodi misteriosi che ci sono nel vangelo… avete presente quegli episodi in cui, quando Gesù va a guarire un indemoniato, ci sono questi demoni che gli urlano “tu sei il figlio di Dio”… sono cose strane e misteriose, però in fondo fanno capire, fanno pensare che Satana sa perfettamente chi e Gesù, che Gesù è il figlio di Dio, ma il fatto di saperlo non lo converte affatto: è possibile saper riconoscere che Gesù è realmente figlio di Dio odiandolo, perché la fede è amarlo e seguirlo. La fede è amarlo e seguirlo, tanto è vero che tutti chiediamo il dono della perseveranza, perché pur sapendo chi è Gesù, questo amore, questa sequela potrebbe venir meno. Io mi sono appuntato queste cose bellissime del Concilio di Orange, che dice: “amare Dio è completamente un dono di Dio. Di propria iniziativa lui, non amato, amando, ha dato di essere amato, siamo stati amati quando non eravamo amabili”. Tutta la dottrina della Chiesa fa capire sempre, è sempre ad esortare la domanda di essere attratti da Gesù. Gesù nel vangelo dice “nessuno può venire a me se non è attratto da me”. Però allora, scusate, cerco di riassumere velocemente, se andando anche a studiare le fonti, anche all’origine del cristianesimo, perfino Harnack dice “l’origine del cristianesimo è un miracolo, anche se non ci fossero stati i miracoli di mezzo, è un miracolo esso stesso”, se la storia cristiana è il segno, è il documento di un mistero che è entrato nella storia, che non è spiegabile umanamente, razionalmente, si è costretti a riconoscere in Gesù la verità di quello che lui dice di sé, di essere Dio. Per questo la lotta contro Gesù non è combattuta con le armi della ragione, è combattuta con il pregiudizio, con la censura e con la manipolazione di documenti. Questo è il motivo per cui da 200 anni abbiamo a che fare con una sistematica censura e rimozione delle tracce di Gesù, delle sue tracce storiche, dei documenti che parlano di lui, che parlano delle opere che lui ha compiute, che manifestano un potere così vasto, così enorme, capite, e che spiegano il perché di questa censura. C’è questa pagina di Karl Adam che volevo leggervi: “Di fronte ai grandi intellettuali greci, platonici, che cercavano la verità nell’iperuranio delle idee, oppure agli gnostici che condivano di astruse immaginazioni i loro testi, i cristiani invece non volevano saperne di questi sogni, con tutta serietà professavano la loro fede in un carpentiere di Nazareth, in un uomo vissuto poco tempo prima, crocefisso come un malfattore da Ponzio Pilato. Essi confessavano che questo uomo è il salvatore divino e tutto questo costituiva per i pagani qualcosa di incredibile, una follia, una stoltezza. No, né i giudei, né gli ellenisti avrebbero mai potuto con i proprio mezzi arrivare a quella figura di Cristo che brilla e rifulge nei vangeli. La teoria che vuole cercare l’origine dei vangeli nella forza creatrice della comunità cristiana, risulta storicamente falsa e ingannatrice. Aggiungiamo, se la commuovente realtà, la singolarità di questa avvenimento indicibilmente sublime della vita di Gesù non si fosse manifestata con evidenza sul suolo di Galilea, nessun cervello umano avrebbe mai potuto pensare una tale vita, nessuna ingegnosità avrebbe mai potuta comporla. Impossibile inventare questo tutto santo, questo Solus Sanctus, che è compagno del pubblicano e del peccatore, che si lascia coprire di profumi da una ragazza malfamata. Chi avrebbe saputo inventare questo risorto, questo signore della gloria che bacia il traditore, che tace quando gli si sputa in volto? Né un giudeo, né un romano, né un greco, né un germano, avrebbe saputo e potuto sognare un’immagine siffatta del salvatore. Questa idea del messia dei vangeli non ha origine terrestre, è impossibile spiegarla adducendo paralleli della storia delle religioni o è piuttosto impossibile eliminarla. Il Cristo dei vangeli si presenta al nostro secolo come una figura inquietante, un tremendum misterium, un enigma che esige una soluzione, una risposta”. E Kierkegaard: “il Cristianesimo non soltanto ha in sé qualcosa che l’uomo non si è dato da sé, ma contiene cose che mai sarebbero venute in mente all’uomo, neppure come desiderio ideale”. Grazie

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie ad Antonio Socci, il libro è davvero da prendere, da leggere. Voglio condividere un pensiero, brevissimo del suo intervento. Non è con le armi della ragione, ma con quelle della manipolazione, della falsificazione… è proprio vero, la ragione è qualcosa che scatta di fronte ai fatti, di fronte alle cose. Quei fatti, come i fatti di oggi, come il fatto del cambiamento visibile sotto gli occhi di tutti, è qualcosa con cui la ragione si implica, ma i fatti non sono qualcosa in cui c’è scritto “è vero”, occorre il nostro cammino per guardare quei fatti, tanto è vero che guardare i fatti dei vangeli, delle lettere, di tutto il contesto che lui ha descritto di quella storia, è guardare le domande, le testimonianze di uomini, le situazioni create, i dubbi, cioè entrare nel vivo di una ragione che viveva in quel momento lì, storico. Cancellare tutto questo è togliere l’esperienza umana della conoscenza. Abbiamo fatto il Meeting sulla certezza, ecco, io direi che dobbiamo ringraziare di essere nel solco della tradizione. La tradizione non è un mausoleo ma un invito continuamente a verificare. Karl Adam che lui ha citato alla fine: se voi andavate nella biblioteca di don Giussani, c’era Karl Adam e tutti questi grandi maestri di quella indagine storica, per cercare i fatti, confermati di tutto ciò che potentemente si vedeva come vivo sotto i nostri occhi, sotto i loro occhi. Ecco, questo è il solco della tradizione in cui noi siamo, e dentro c’è il giornalismo così vissuto, con la passione di una storia personale come quella di Antonio, con tutta la storia, che ha ricordato Borghesi, delle battaglie fatte, con i grandi maestri che abbiamo incontrato da de la Potterie, fino ai nostri amici, Garcia e non dimentichiamo Carrón, che viene da questi studi e che abbiamo conosciuto così, nel ’95, a Milano. Quindi grazie di tutto questo e viviamo questa sfida della storia. Grazie a Massimo Borghesi. Chiamo gli altri amici del prossimo libro.
Prego di sedersi con velocità, perché dobbiamo fare le cose con ordine. Bene, l’ultima proposta, sempre di casa Rizzoli, è di Alberto Reggiori, che ha scritto La ragazza che guardava il cielo. Storia di una grazia inattesa. Alberto Reggiori, lo salutiamo, qui alla mia sinistra, è medico chirurgo, proviene dalle Prealpi lombarde, da Varese, credo, e la sua vita si è legata alla storia che condividiamo e si è legata al Paese dell’Africa, quando nel bellissimo accenno della partenza del libro dice: “potemmo seguire alcuni amici che erano partiti per ll’Uganda e vedevamo, io e mia moglie, realizzarsi il sogno della giovinezza, cioè stare vicino all’uomo, all’uomo, a quell’uomo che soffriva, che viveva in quelle terre, con tutta l’aspettativa della nostra vita di fare cose grandi”. Le cose grandi erano queste e lui le continua a fare, perché ogni mese, come racconta Socci nella prefazione al libro – e Antonio è stato un incontro recente per lui ma vivo e che ha anche portato alla nascita di questo libro – le sue ferie le dedica continuamente in questi ultimi anni a missioni in Uganda e anche in altri Paesi come il Sudan, dopo essere stato dieci anni e aver vissuto e fatto famiglia in quegli anni in Africa. Il libro racconta di una storia, di una storia che ci mostra la grazia inattesa, ci mostra il senso e ili significato di quello che noi possiamo immaginare sia il fatto cristiano, in un luogo che noi non conosciamo e di cui sappiamo pochissimo. Le notizie che abbiamo sono queste notizie, sono le notizie di queste storie, di questi fatti da cui capiamo che il nostro movimento, il fatto cristiano cambia l’uomo ovunque. E’ qui con noi Asaba Veronica, che salutiamo, ma io non la presento perché poi racconterà insieme ad Alberto la sua storia che è qui raccolta. Prima interviene Reggiori, il suo intervento sarà in traduzione simultanea, quindi teniamo silenzio visto che all’esterno c’è un po’ di caos.

ALBERTO REGGIORI:
Buonasera e grazie. Vorrei ringraziare prima di tutto voi che siete qui, gli organizzatori del Meeting per l’opportunità datami, la casa editrice Rizzoli. Un grazie particolare a due persone: Antonio Socci, grazie al quale tutto questo è stato possibile (leggere la prefazione immeritata per credere), e finalmente Veronica, il cui amore per la vita e per la verità di se stessa ha reso piena di speranza ed esemplare questa storia. La ragazza che guardava il cielo è, come dice il sottotitolo, la storia di una grazia inattesa, e questo forse spiega ancor meglio il titolo stesso, che peraltro descrive una vita attenta e sensibile anche alla dimensione più umana che è quella di ricevere significato da qualcosa di oltre, il cielo appunto.
Una grazia inattesa ma anche attesa, desiderata pur nella apparente negazione e nel buio più assoluto, desiderata perché il cuore umano è definito dal desiderio.
La storia, brevissimamente, è appunto quella della vita di Zamu (questo è il nome che aveva Veronica prima del battesimo).
Una bambina nata nei giorni dell’indipendenza dell’Uganda dagli inglesi, nel 1962, figlia di un potente capoclan islamico, destinata giovanissima, secondo tradizione, come terza moglie ad un uomo sconosciuto e molto più anziano di lei. Poi I’avvento della dittatura di Amin, la guerra civile, la fuga in Sudan a piedi nella savana e la morte del marito, proprio mentre si accorge di aspettare un figlio. Poi di nuovo la fuga verso casa, a piedi, tra mille pericoli: soldati, fame, animali feroci, malattie… Alla prima vedovanza ne segue una seconda, la morte di un figlio ed infine l’impatto con quella che è stata definita la peste del XX secolo: l’Aids.
Da qui in poi la vicenda personale di Zamu si inserisce nel quadro di questa tragedia di dimensioni bibliche, che ha provocato oltre 30 milioni di morti solo nel continente africano: è una storia personale che si inserisce in un destino di popoli. In questi anni (la fine degli’ ’80 e l’inizio dei ’90) anch’io e mia moglie Patrizia siamo in Uganda a lavorare in un progetto di cooperazione di AVSI e veniamo travolti da questo terribile realtà, dapprima qualcosa di indefinito e non ben compreso (si chiamava slim disease e non era chiaro che fosse la stessa malattia chiamata AIDS in America ed Europa), le nostre corsie d’ospedale e le capanne dei villaggi erano stipate di giovani adulti e di bambini magri come scheletri, spesso abbandonati a se stessi o addirittura nascosti per la vergogna, che morivano in pochi mesi, poi la terribile verità. E noi come medici non potevamo fare assolutamente nulla, se non trattare minimamente i sintomi senza poter cambiare il decorso della malattia. In questo periodo Zamu si scopre siero-positiva, perde numerosi parenti ed amici e teme la fine di tutto. Ma l’indomabilità del suo cuore e questa grazia inattesa di cui dicevamo, le permettono ciò che era tanto desiderato ma ritenuto impossibile: I’incontro esistenziale, quotidiano e concreto con la speranza, con il senso e con ciò che rende la vita utile e piena di frutti e rende anche la morte non più definitiva. Questo incontro è avvenuto con noi medici italiani e con le persone del Meeting Point, l’associazione che si dedica alla cura dei malati di Aids, persone che giocano e verificano la propria fede cristiana nelle incredibili prove cui la vita li sottopone, sperimentando comunque una positività. Il Meeting Point è nato dalla decisione personale di una persona ormai vicina alla fine della sua vita, segnata dalla morte di una figlia e della moglie, Elly Ongee, che, dopo l’incontro con Padre Alfonso Poppi ed altri volontari italiani, acquista la forza per uscire allo scoperto e rompere il muro di vergogna che copriva tutte le vittime dell’ Aids. “Noi siamo più grandi di questo malattia e la nostra dignità sale sino al cielo, al cospetto di Dio”. La forza della verità, quando è presente in una persona si impone da sola e spazza via ogni menzogna, ogni parzialità. Le persone del Meeting Point hanno cominciato a prendersi cura delle persone malate quando ancora non esisteva alcuna cura, non hanno avuto come scopo il risultato della guarigione, allora impossibile, ma l’accoglienza totale e ricca di carità delle persone.
Di questo periodo, speso con alcuni amici qui presenti, quali Pippo, Luciana, Eugenio, Caterina, Maurizio, Cristina, Marisa e tanti altri, ricordo con nettezza questo incontro e la figura di Veronica, allora Zamu, la sua curiosità ed assenza completa di pregiudizio, il suo quotidiano chiedere conto a Patrizia e ad altri della vita, dei suoi aspetti più umani e profondi. Quasi ogni giorno, o in ospedale, o a casa nostra, o sotto l’ombra dei manghi dell’ ufficio del Meeting Point, Veronica domandava, chiedeva, faceva una sorta di catechismo, di approfondimento del senso religioso e della novità della fede cattolica, sino ad arrivare alla decisione seria e coraggiosa di chiedere il battesimo e di dedicare la propria esistenza alla cura ed alla compagnia delle persone malate. Per lei, figlia di un capoclan islamico, non era certo la scelta più conveniente o comoda, ma la sua convinzione e verità avevano persuaso il padre, che aveva accettato in nome della libertà così connaturata al cuore africano.
Ma non voglio entrare oltre nei dettagli della vita, li racconterà Veronica stessa nel suo intervento e potrete leggerli poi nel libro; quello che vorrei dire qui è che la decisione di scrivere questo racconto vero, romanzato, è nata dal fascino che questo vicenda ha suscitato in me, perché la storia di Veronica è una storia paradigmatica, cioè di confronto e di esempio per la vita di ciascuno di noi, non è una cosa africana lontana da noi migliaia di chilometri, è per noi, non fosse altro che per la conoscenza necessaria di queste situazioni regolarmente dimenticate ed ignorate in questi anni di crisi economica. Ma certo non solo per informarci di più sull’Aids.
E’ paradigmatica anche per il suo percorso, il percorso di una conversione, di chi, pur nelle condizioni esistenziali più tremende e non certo volute, riconosce la verità e “decide nel suo cuore il santo viaggio”, come recita un versetto biblico. Cioè decide di perseguire, di aderire, di arrendersi al vero, sapendo benissimo che solo qui troverà risposta, non soluzione ai problemi o comodità o convenienze pratiche, ma risposta attiva a quella sete di assoluto che ha sempre avvertito e responsabilità di una risposta.
Una grandezza di cuore da apprezzare e la grazia di una certezza immensa a cui aderire.
Raccontando questa vita attraverso i vari passaggi, attraverso i dettagli che non sono mai casuali o insignificanti, ci si imbatte nella bellezza, la bellezza della natura africana, di un cielo stellato o arrossato da un tramonto, della nascita di una nuova vita o di una foresta misteriosa, ma soprattutto la bellezza di un’amicizia, o di un canto evocativo, di una vita piena di significato. La bellezza così importante solo per chi ha un cuore capace di coglierla.
L’ultimo aspetto che mi ha colpito in questa vicenda africana è l’aver verificato che la stirpe, o meglio la persona umana, è una, unica, ha lo stesso cuore, lo stesso desiderio e le stesse domande, è fatta della stessa pasta; certo la cultura e la storia contano molto, ma quello che unisce è questo cuore: non esagero nel dire che ho verificato la verità del fatto che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, cioè ogni uomo ha in sé un pezzo di Dio. Vale più delle stelle…
Questo è il motivo per cui valeva la pena fare tutto questo, ma devo dire che per me ha avuto un grande gusto spendere tante sere scrivendo al computer questo storia: il fascino della bellezza ed il gusto di raccontarla valgono più della stanchezza,
La conclusione del tutto si può riassumere nella penultima pagina del libro, nelle parole che Veronica dice a suo padre, poco prima della di lui morte: “Padre, lascia che ti dica anch’io un’ultima cosa che ho imparato da poco. Il regalo più bello che la vita può fare a un uomo o a una donna non sono i soldi, o la salute, o un grande potere, arrivati a un certo punto della vita il regalo più dolce è potersi girare indietro, vedere gli anni trascorsi, quelli solitari e tenebrosi, quelli senza stelle e senza compagnia e poter sorridere di quell’amaro tempo passato, guardarlo con tenerezza, con affezione magari, capire che tutto quel dolore non era inutile, anzi, era necessario. Da lì partiva il sentiero per arrivare qui, adesso, dove sono lieta, piena di pace, con i miei figli e con voi miei amici, malata ma certa del nostro buon comune destino”. Beati l’uomo e la donna che possono raccontare questo, che possono girarsi indietro e sorridere a qualcuno. Grazie

VERONICA ASABA:
Desidero rivolgere a tutti voi un sentito benvenuto e sono molto felice di essere qui con voi questa sera. In particolar modo desidero rivolgere i miei ringraziamenti ad AVSI, perché AVSI è stato per me il punto di inizio di tutto. AVSI mi ha aiutato e in AVSI ci sono le persone che più mi sono state a fianco, ci sono le persone che hanno portato avanti la missione in Uganda, quindi vorrei ringraziare sentitamente l’AVSI per il lavoro che è stato svolto in Africa, grazie, grazie mille.
Ancora una volta mi voglio presentare: mi chiamo Veronica Asaba e in particolar modo questa sera vorrei ripercorrere con voi una piccola parte della mia storia e in particolar modo vorrei parlarvi della parte della mia vita in cui mi sono resa conto che la mia vita era una realtà. Sono nata nel 1962 da una famiglia islamica, mio padre aveva contratto ben tredici matrimoni e aveva avuto quarantasei figli. Questo era uno dei motivi per cui mio padre decise di non tenermi in famiglia. In particolar modo, raggiunta l’età maggiorenne, fui obbligata a contrarre matrimonio con una persona molto più anziana di me. In particolar modo dovetti recarmi in una città distante, in un villaggio molto distante da quello in cui ero nata, ad una distanza di quasi 200 chilometri. Inizialmente la mia vita è stata molto difficile, perché mi ero dovuta recare proprio nel villaggio che aveva dato i natali all’attuale Presidente dell’Uganda e qui era scoppiata la guerra civile e quindi ero stata costretta a trasferirmi in Sudan e in quel periodo mio marito morì. La vita diventò ancora più dura, fui costretta a ritornare in Uganda. Ma, mentre ritornavo in Uganda, in primo luogo io non condividevo la lingua delle persone, non appartenevo alla loro stessa tribù, quindi, sostanzialmente mi sono trovata di fronte a tutta una serie di difficoltà e in quel periodo non c’era nessun veicolo che poteva spostarsi fra il Sudan e l’Uganda, proprio in virtù della guerra civile, quindi stavo cercando un modo per poter raggiungere l’Uganda, nuovamente. E in quel periodo ero gravida e durante il mio percorso, attraverso la savana, ho incontrato numerosi animali, tra cui scimmie, giraffe, e ad un certo punto mi trovai dinanzi ad un grosso leone… e quindi ho visto questo grande leone e a quel punto decisi di mettermi da una parte e di voltarmi e dissi: adesso è arrivato il momento, o me ne scappo via correndo, o me ne rimango qui ferma. Però poi ho ragionato e ho detto: se mi metto a correre, allora questo leone mi seguirà, se invece rimango ferma allora sicuramente il leone capirà che ho paura, quindi mi decisi a spostarmi molto lentamente e poi mi sono voltata lentamente e mi sono resa conto che il leone mi stava guardando. Ho continuato, ho proseguito nel mio lento cammino e poi voltandomi mi sono resa conto che il leone si era voltato e stava andando altrove. Sono quindi riuscita a raggiungere l’Uganda, nuovamente e finalmente sono anche riuscita a dare i natali al mio primogenito. Dicevo, il mio primo marito era morto, quindi mi spettava la possibilità di contrarre un secondo matrimonio, cosa che feci. Dal secondo matrimonio ebbi due figli, un maschietto e una femminuccia; il secondo marito morì a sua volta, ma allo stesso tempo anche i miei fratelli e le mie sorelle si ammalarono e quindi, come conseguenza, morirono. E qui cominciò a diffondersi una grande paura, la paura dell’Aids. Nel 1991 mi resi conto che anche io avevo lo stesso problema, non riuscivo più a parlare, ero dimagrita e quindi mi dovetti recare all’ospedale. Ricordo che il dottor Eugenio è la prima persona che incontrai in ospedale, la prima persona con la quale mi confrontai. Feci una analisi del sangue e mi disse: tu hai il virus. E mi disse anche che non c’era nessuna cura, ero sieropositiva. Questo chiaramente mi ha investito di una grandissima paura; e se… immaginate che cosa può accadere se ti dicono “hai un virus” e non esiste nessuna cura. Chiaramente si è tutti disperati. Mi sono recata alla clinica, all’AIDS Clinic e qui ho ricevuto i primi alimenti e ovviamente non sapevo come comportarmi, non sapevo se potevo portare gli alimenti con me a casa oppure no. Il primo giorno non ho ritirato gli alimenti. Il secondo giorno mi sono recata alla clinica e ho portato via con me gli alimenti e poi però dovevo raccontare a Marisa e a Mara la situazione; ho dovuto spiegare loro il problema nei confronti della mia famiglia, nel fatto che dovevo portare a casa questi alimenti e che cosa ho fatto allora? Ho portato Marisa con me e l’ho utilizzata per spiegare ai miei genitori che mi era stato dato del cibo, che mi erano stati dati degli alimenti e in questo modo mio padre accettò il fatto che io avessi preso questi alimenti dalla clinica. Poi dovetti spiegare anche a mia madre l’intero problema, le dovetti spiegare che mi ero recata in ospedale perché non stavo bene e mia madre voleva che io fossi molto chiara sul fronte delle informazioni e a sua volta dovetti informare mio padre.
Come sapete, la mia famiglia era molto grande, quindi questa informazione fu presto comunicata a tutti i membri della famiglia. Era molto difficile capire cosa fosse questo problema, l’HIV. Tutti mi rifiutarono, mi misero da parte, ero considerata come quella persona, come quel figlio, quella figlia all’interno della famiglia che aveva l’HIV. Quindi questo è stato il rifiuto della famiglia. Quando poi sono ritornata, Patricia si è subito resa conto che la mia vita era diventata molto triste e quindi voglio veramente ringraziare tantissimo gli italiani, che hanno lavorato ad Hoima in quel periodo, perché mi hanno guardato e, chiaramente, non era possibile capire immediatamente che ero sieropositiva, però guardandomi hanno capito la mia sofferenza, hanno capito il mio dolore e da allora hanno iniziato ad amarmi. Avevo perso tutta la speranza, mi ero resa conto che avevo sostanzialmente perso tutto il mio valore di fronte alle altre persone. Ma questi italiani mi hanno abbracciato, hanno iniziato a venirmi a trovare a casa, quindi ho ricominciato a sentirmi un vero e proprio essere umano, perché – ve lo ricordo – la mia famiglia, mio padre, tutti i membri della comunità avevano cominciato a rifiutarmi, perché io ero quella con il virus. Questi amici italiani, invece, hanno saputo farmi riapprezzare il mio valore. Quindi, dicevo che, io mi chiamavo Zamu inizialmente, e appartenevo ad una famiglia mussulmana. E però i membri della mia famiglia mussulmana non mi hanno dato assolutamente nessuna forma di supporto, quindi avevo perso qualsiasi tipo di percorso all’interno della mia vita e questi amici, invece, mi hanno risollevato, mi hanno preso per mano e mi hanno condotto lungo un nuovo percorso. E mi hanno portato in Chiesa, però io non sapevo come comportarmi, perché io non ero cattolica, non sapevo che cosa si facesse in Chiesa, però io li ho seguiti, perché loro erano miei amici.
Mentre ero lì con loro, mi sono detta: queste persone non fanno parte della mia famiglia, però mi hanno accolta, mi tengono per mano; bisogna tenere presente che in quel periodo c’erano più di 250 sieropositivi ricoverati in quell’ospedale e lo stigma in quel periodo era molto percepito. Quindi 250 persone che non erano – appunto – accettate. E abbiamo deciso di costituire il Meeting Point, con il supporto di Eugenio, di Alberto e di Maurizio e di tutti gli altri amici Italiani. E’ nato quindi il Meeting Point. Ci hanno supportato e ci hanno dato una prospettiva di vita. Quindi abbiamo iniziato a recarci nelle scuole, a spiegare quale fosse la nostra esperienza, per spiegare quanto ci fosse accaduto. E quindi molto lentamente questa storia è stata diffusa. E mi sono resa conto quindi che questi amici erano collegati da una unità molto diversa e questo è quello che proprio mi ha colpito. Una unità che io non conoscevo. E quindi mi sono detta: c’è questa unità forse perché vengono tutti dall’Italia? Forse perché hanno un diverso colore della pelle? Forse perché stanno tutti assieme? Ma si comportano veramente come fratelli e sorelle. Quindi all’interno di questo processo, recandomi in Chiesa, una volta sentii un prete, mentre teneva un’omelia. E si parlava di concetto di perdono in questa omelia. Questo era un concetto che per me era estremamente stupido, perché nella religione islamica è un concetto che non esiste, perché siamo tutti peccatori, perché tutti pecchiamo, quindi perché si deve chiedere perdono per qualcosa che si è fatto? Quindi percepii tutto ciò come qualcosa di estremamente errato. E Patricia mi ha accompagnato in questo mio percorso. Esposi a lei le mie remore e mi spiegava che non era esattamente così come io pensavo, comunque la nostra amicizia ha continuato. Poi ho cominciato a leggere un libro sul senso della religione e in questo caso mi sono resa conto che io, come essere umano, aveva ancora un valore e potevo ancora nutrire delle speranze. Questo libro sul senso della religione mi ha consentito di avere una nuova prospettiva di vita e quindi ho detto a Patricia: io devo stare con te, perché l’unità di cui tu ti fai portavoce non è solamente un’altra unità, è un’unità che accomuna tutti i tuoi amici italiani, ma c’è un qualcosa di ancora più grande che va oltre tutto ciò.
Sapete come si è comportata, no? Mi dice: sì, ti racconterò. Quindi non mi diede la risposta giusta immediatamente e quindi capii che forse diventare cattolica poteva essere interpretato come una grande, grande grazia. Quindi, continuai a parlare con Patricia e le dissi: io voglio diventare cattolica, mi voglio convertire. E Patricia mi disse: ma come? Ne sei sicura? E poi il quarto giorno ne parlai con degli amici, io parlai con questi suoi amici e reiterai la mia richiesta: vorrei convertirmi al cattolicesimo. Però ovviamente mio padre non poteva accettare questa decisione, quindi i miei amici italiani proposero di venire con me da mio padre per poter presentare a lui questa notizia. Quindi abbiamo veramente creato una sorta di squadra che si è recata in missione da mio padre. Mio padre però era un uomo duro e quando ci trovammo di fronte a lui, nessuno voleva più parlare e quindi è stato difficile prendere la parola. E quindi mi ricordo che molti non fumavano, però sembrava che in quel momento tutti, per certi versi, dovessero cercare una pausa per andarsi a fumare una sigaretta; quindi Eugenio è stato il primo che si è alzato e ha detto: io devo dire qualcosa. E allora mio padre fece finta di non avere capito. E allora Eugenio ha detto: ok, io vorrei dire qualcosa. Noi siamo amici di sua figlia, vogliamo che lei sia felice e quindi le chiediamo di accettare che lei si converta al cattolicesimo, in modo tale che la sua vita sia piena di significato. A quel punto mio padre pose una domanda: ma vuoi che lei diventi cattolica o la vuoi sposare? E allora Eugenio rispose: no no, noi siamo tutti sposati, vogliamo solo che si converta al cattolicesimo. E allora Eugenio ha mostrato l’anulare con la fede e a quel punto mio padre ha creduto che si trattasse di una persona sposata. Allora ho spiegato che era un desiderio che veniva dal profondo del mio cuore, un desiderio che mi rendeva felice. E quindi mio padre mi ha chiesto: quindi sei felice? Allora io ho detto: sì. Allora mio padre ha accettato e quindi mio padre mi ha detto: va bene, puoi andare e ti puoi preparare a diventare cattolica. Quindi nel 1993 sono stata battezzata con il nome di Veronica. Però mio padre pose una condizione: tu diventerai cattolica ma non voglio che i miei nipoti divengano cattolici, voglio che rimangano mussulmani. Quindi tu hai scoperto qualcosa che renderà la tua vita bellissima ma non voglio che i miei nipoti diventino cattolici. La mia famiglia è sempre stata mussulmana e rimarrà mussulmana. Quindi sono rimasta accanto ai miei figli, ho pregato con loro, non li ho obbligati ad andare in Chiesa, ma anche loro hanno perso la traiettoria, hanno perso la rotta. Quindi io non li forzavo ad andare alla Moschea, non li forzavo ad andare a Messa. Solo questo era la cosa che io potevo fare con loro, pregare ogni giorno. Quindi ho pregato con loro ogni giorno e lentamente si sono resi conto di quello che io stavo provando nella mia esperienza di vita e l’anno scorso mi hanno detto che appunto, volevano essere battezzati e quindi convertirsi al cattolicesimo. Io però ho detto loro che avevo promesso ormai a mio padre, che questa era una promessa e quindi non poteva realizzarsi; quindi è stato deciso che potevano convertirsi, che erano comunque sufficientemente grandi e quindi l’anno scorso a gennaio sono stati battezzati anche loro, si sono convertiti.
Adesso vorrei sottolineare un aspetto importante della mia storia. La parte più importante è stato l’incontro, l’incontro con Dio; se non ci fosse stato questo incontro con Dio, la mia vita non avrebbe avuto un senso. La mia vita ora ha un significato. Io, vi dicevo, avevo perso la speranza. E a partire da questo incontro con Dio mi sono resa conto che c’era una Presenza, c’era un qualcosa che mi poteva rendere felice. Quindi ho iniziato a incontrare degli amici e questo mi ha consentito di condurre una vita piena di significato. Ho iniziato a seguire l’attività del Meeting Point, a vedere degli amici, ho sopportato la sofferenza di altri figli e di altri bambini e quindi è una sofferenza che possiamo avere dentro di noi, ma anche una sofferenza non costituisce la fine della vita, è un qualcosa che ci spinge verso il nostro destino. Se dentro di noi diciamo un forte sì, un sì chiaro e forte dal profondo del nostro cuore, allora si può continuare a condurre una vita piena di significato. Sì, sono Veronica, sono sieropositiva, ma ho comunque il diritto, come tutte le altre persone, di essere una persona felice. Questo è stato possibile perché lo scoprire di essere sieropositiva non è stata la fine della mia vita, ho portato avanti, comunque, la mia vita e ancora una volta voglio rivolgere i miei ringraziamenti agli amici, agli amici italiani. Non li posso ricordare tutti nome per nome. Li vorrei ringraziare tutti nome per nome, ma non si può. Quindi grazie, grazie mille e vorrei ringraziare anche l’opportunità di essere qui al Meeting di Rimini, quindi grazie per tutto il vostro amore, per il vostro abbraccio. Grazie mille.
Desidero inoltre rivolgere i miei ringraziamenti alla mia hostess Elsa, non avevo mai incontrato prima d’oggi una ragazza così splendida, qui a Rimini non sono stata una visitatrice, sono stata veramente coccolata, come se fossi una figlia. Grazie mille.

CAMILLO FORNASIERI:
Io non voglio aggiungere nulla, se non che siamo verso la fine del Meeting, che ha registrato tantissime presenze, un incremento di presenze agli incontri, ma anche una percentuale visibile di diminuzione dei consumi. Questo lo dico per invitarvi a consumare soprattutto alla libreria, perché, se questo indica che stiamo diventando più affamati di verità, di conoscenza del vero e dell’esperienza, questa è una occasione decisiva. Ringrazio Alberto Reggiori. Mi ha colpito la sua sottolineatura dell’indomabilità del cuore, che cerca sempre di capire le ragioni di quello che gli si mostra come un’esperienza nuova, che ad un certo punto anche Veronica, Zamu, ha desiderato per sé. Grazie, grazie a voi. Il libro è già di grande successo. Diffondetelo.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

26 Agosto 2011

Ora

19:00

Edizione

2011

Luogo

eni Caffè Letterario D5
Categoria
Testi & Contesti