INNOVAZIONE E COMPETITIVITÀ

Innovazione e competitività

25/08/2011 - ore 19.00_x000D_ In collaborazione con Lombardia Informatica. Partecipano: Marco Arzilli, Segretario di Stato all'Industria della Repubblica di San Marino; Ossama Bessada, Amministratore Delegato di Wind Spa; Giuseppe Biesuz, Amministratore Delegato di Trenord; Luca Ferrarini, Presidente del Gruppo Ferrarini-Vismara; Carlo Camnasio, Presidente e Amministratore Delegato di Philips Italia; Alberto Daprà, Vice Presidente di Lombardia Informatica. Introduce Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle Opere.

In collaborazione con Lombardia Informatica. Partecipano: Marco Arzilli, Segretario di Stato all’Industria della Repubblica di San Marino; Ossama Bessada, Amministratore Delegato di Wind Spa; Giuseppe Biesuz, Amministratore Delegato di Trenord; Luca Ferrarini, Presidente del Gruppo Ferrarini-Vismara; Carlo Camnasio, Presidente e Amministratore Delegato di Philips Italia; Alberto Daprà, Vice Presidente di Lombardia Informatica. Introduce Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle Opere.

 

BERNHARD SCHOLZ:
Buonasera a tutti, benvenuti a questo incontro “Innovazione e competitività”. Io faccio subito una premessa: si parla tantissimo di innovazione, si parla tantissimo di competitività, si dicono tante parole, si scrivono tanti articoli, si scrivono tantissimi libri, si fanno miliardi di interviste, però spesso rimane a livello del “si dovrebbe, bisognerebbe, sarebbe bello se”. Quindi l’innovazione rimane un po’ lì, come una grande intuizione, un grande desiderio, ma non si realizza. Però noi abbiamo bisogno di realizzazione di novità, perché l’innovazione non è un’idea, non è un pensiero; l’innovazione è la realizzazione di un’idea evidentemente, o di una invenzione, che è tale se alla fine qualcuno riconosce questo pagando sul mercato, altrimenti non è innovazione. E quindi noi abbiamo voluto questo incontro per sentire esempi di realizzazione, di innovazione, non per farvi imitare, o pensando che imitando si possa arrivare da qualche parte. Imitare vuol dire limitare. Ma noi crediamo che sia fortemente interessante paragonarsi con esempi di innovazione, perché dentro il paragone scopriamo, dentro noi, dentro le nostre imprese, dentro le nostre esperienze, possibilità di innovazione che forse prima non avremmo visto. Adesso faccio un esempio molto, se volete un po’ troppo esagerato, ma per conoscere se stessi come persona bisogna conoscere altri, bisogna incontrarli. Un’impresa, per conoscersi, deve conoscere altre imprese, perché solo vedendo altri come si comportano sul mercato, come innovano il processo, se stessi e così via, io divento più cosciente di me e del mio potenziale. Questo il lato più positivo della concorrenza, che vuol dire correre insieme, perché permette paragoni che permettono alla fine che io, se sono aperto, desideroso d’imparare, di paragonarmi, diventi migliore.
Bene, per fare questo abbiamo invitato Marco Arzilli, segretario di Stato all’Industria della Repubblica di San Marino, perché anche uno Stato, non solo un po’, ma deve innovare, e di questo sentiremo; Bessada Ossama, Amministratore delegato di Wind; Giuseppe Biesuz, Amministratore delegato di Trenord; Luca Ferrarini, Presidente del gruppo Ferrarini-Vismara; Carlo Camnasio, Presidente Amministratore delegato di Philips Italia; Alberto Daprà, Vicepresidente di Lombardia Informatica. Scusate se faccio ancora una osservazione. Adesso sentirete grandi aziende che parlano dell’innovazione e questo permetterà alle piccole e medie anche di paragonarsi, come tante grandi aziende si paragonano anche con piccole e medie imprese, che sono loro clienti o loro fornitori, perché non è un problema di grandezza, è un problema di impostazione, un problema di coscienza, il fatto che bisogna innovare per restare forti, per rimanere sul mercato in modo duraturo.
Mi permetto solo di farvi osservare che quando uscirete, vedrete a destra, all’uscita, otto aziende, opere, associate alla Compagnia delle Opere e vi faccio tre esempi che sembrano non c’entrare nulla con l’innovazione, ma quando vorrete incontrarli, vedrete che sono fortemente innovativi. C’è un’azienda che si chiama Vita Rimoldi che ha integrato nel suo processo produttivo una cooperativa sociale, che permette a persone disagiate di produrre in un modo molto innovativo prodotti per il mercato internazionale. Mi sembra anche questo una cosa estremamente interessante dal punto di vista dell’innovazione, che addirittura è una innovazione sociale. Vedete un’azienda, Florabella, della Sicilia, che ha creato una rete così potente, che agricoltori della Sicilia, che prima non sapevano neanche dove andare, adesso possono esportare in un modo molto forte sui mercati. Ultimo, non meno interessante da un altro punto di vista, una azienda cilena, della quale, se volete, potete incontrare l’imprenditore. Questi ha raccontato che quando lavorava con le persone normali “fra virgolette”, la sua azienda arrivava fino a un certo punto, da quando ha cominciato a lavorare con ragazzi disagiati, ha delle persone così motivate in azienda che è ancora più competitivo di prima. Questo per dire che l’innovazione è veramente un termine assolutamente non riduttivo, ma aperto a tantissime esperienze, che si possono incontrare in diversissimi modi, anche durante questo Meeting.
Però, adesso mi fermo e passo subito la parola a Ossama Bessada.

OSSAMA BESSADA:
Parlare di innovazione come tema che… è sempre difficile e ciò deriva anche dall’idea che c’è una differenza fra innovazione e creatività. Nel nostro mestiere, credo, l’innovazione è un approccio quotidiano. Due anni e mezzo fa abbiamo scelto… abbiamo deciso di optare per uno slogan che è: WIND più vicini. E questo significava che avevamo l’esigenza di essere molto più vicini ai nostri clienti. E questo implicava un processo di pensiero in cui l’innovazione era necessaria, in caso contrario questa promessa sarebbe stata come qualsiasi promessa che si può vedere in una qualsiasi pubblicità. Come abbiamo tradotto questa esigenza in un approccio più innovativo? Per la nostra industria e per il mercato italiano? La prima cosa che abbiamo cercato di fare è stata espandere la nostra rete di vendita al dettaglio. E ciò ha posto necessità su due fronti: mettere i negozi nei posti giusti, in modo da essere davvero più vicini ai clienti – ciò ha implicato un intero processo di pianificazione adeguata, entrare in rapporti di partenariato con diversi imprenditori, estendere anche il rapporto con i nostri grossi commerciali, che ci avrebbero anche aiutato ad espandere la nostra capacità di raggiungere città o cittadine che sono persino sotto i cinquemila abitanti. E in più decidemmo che avevamo bisogno che il nostro servizio clienti fosse a sua volta più vicino ai nostri clienti. Così noi abbiamo rinnovato il nostro concetto di negozio in modo da non essere solo un outlet per le vendite ma anche un punto di servizi – e abbiamo dovuto decidere quali fossero i principali servizi che erano necessari nel negozio – e oggi i nostri negozi li rendono disponibili. Sul versante delle operazioni riguardanti i clienti ci siamo ancora una volta concentrati sull’essere più vicini al cliente attraverso quella che chiamiamo una risoluzione che chiamiamo “prima chiamata”. Intendiamo dire che abbiamo tentato di risolvere il 90% dei problemi dei clienti nel corso di quella chiamata – quindi non diciamo al cliente “per favore chiami di nuovo”, “si rivolga al nostro e-mail”, “faccia questo o quell’altro”, “aspetti”. E questi sono solo alcuni esempi che ci hanno aiutato ad essere davvero più vicini ai nostri clienti e ora pubblicizziamo che siamo realmente “più vicini” ai nostri clienti e credo che siamo stati ricompensati dal fatto che siamo ora l’unico operatore in crescita da almeno due anni a questa parte e ci stiamo avvicinando ad avere 24 milioni di clienti. Così, saltando da questo e considerando la nostra idea di associarci a imprenditori, dal mio punto di vista di straniero che vive in Italia e veramente può vedere le cose in modo un po’ differente, credo che gli imprenditori e gli imprenditori italiani siano una forza chiave del Paese e siano, di fatto, lo strumento chiave per l’innovazione che avanza. E in questo senso credo che abbiamo bisogno di rafforzare questa imprenditorialità / forza imprenditoriale, per aiutarla a crescere veramente e fare ulteriori sforzi. E, in questo senso, la cosa in cui crediamo come industria di telecomunicazioni, è che il nostro ruolo nel futuro per aiutare l’innovazione stia nell’aiutare Internet e servizi di banda larga a raggiungere gli innovatori, tutti…. Perché siamo persuasi che l’ecosistema di Internet è un terreno molto fertile per migliorare l’innovazione. E crediamo che investire in infrastrutture aiuti veramente a spingere l’economia e crediamo che chi legifera, le istituzioni debbano essere ben consci di questo fatto e che il potere di muovere la comunità e l’Italia in avanti stia proprio nel promuovere più infrastrutture e non in misure di austerità. Credo che questo sia il mio senso… grazie molte.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie a Ossama Bessada, che ci ha dimostrato che l’innovazione si fa da soli, ma è qualcosa che avviene dentro un dialogo con gli enti, coi fornitori, un dialogo continuo, aperto, perché chi innova, aiuta direttamente o indirettamente anche gli altri a innovare. Grazie, la parola a Giuseppe Biesuz.

GIUSEPPE BIESUZ:
Grazie Presidente. Buonasera a tutti. Noi con l’innovazione andiamo a braccetto, perché abbiamo costituito solo il tre di maggio di quest’anno una azienda importante come Trenord, che è la fusione tra il trasporto pubblico locale su ferro di Ferrovie Nord e la parte regionale di Trenitalia della Lombardia. E quindi devo dire che già l’innovazione per noi è stata l’idea di costituire questa società. Ma non è questo secondo me il tema da sviluppare oggi. Certamente un’azienda che sposta seicentocinquantamila cittadini tutti i giorni, che fa 2200 treni al giorno, che gestisce 1920 Km di ferrovie con 350 treni tutti i giorni che girano in Lombardia, è una azienda che, dal punto di vista tecnologico, dal punto di vista dell’innovazione, dal punto di vista dei processi, c’è ed è avanzata. Ma la cosa importante è che noi abbiamo messo insieme due aziende che venivano da culture completamente diverse, il che vuol dire che se noi avessimo puntato solo ed esclusivamente sull’integrazione dei processi, dei sistemi tecnologici, probabilmente non avremmo mai raggiunto il risultato che ci aspettiamo, cioè quello di migliorare la vita dei cittadini lombardi. E allora da questo punto di vista mi viene in mente una frase che Lerry Summer, nel film “The social network”, che è un film che ha avuto grandi riconoscimenti, dice alle matricole di Harvard, cito testualmente: “Mettetevelo in testa, qui i ragazzi non vengono per trovare lavoro, vengono per inventarsene uno”. È questa secondo me la vera rivoluzione che dobbiamo fare. Io come manager vorrei poter andare a dire ai miei 5000 dipendenti tutti i giorni, vorrei potergli dire: “Nel vostro ambito, in quello che dovete fare, nel perimetro delle vostre competenze, inventatevi il lavoro, inventatevi qualcosa di nuovo per fare crescere queste aziende”. Perché chi inventa non fa altro che innovare e questo secondo me è il fatto fondamentale. Non basta più venire al lavoro per prendere uno stipendio, per avere una occupazione, per avere una posizione sociale o quant’altro. Non basta più all’uomo, non basta più questo. Bisogna essere in azienda ogni giorno per dare del valore aggiunto all’attività che si fa. Credo che sia qui la questione vera. La questione vera è che non basta essere innovativi dal punto di vista dei processi, cioè essere all’avanguardia, ma bisogna essere innovatori, bisogna andare alla radice delle cose e dare senso al cambiamento che facciamo tutti i giorni. Questo io lo considero un fatto fondamentale. È certo che non c’è sviluppo senza innovazione, ma non c’è neanche innovazione senza un’idea diversa del nostro approccio e delle nostre cose in azienda. L’innovazione non è solo tecnologia, io di questo sono assolutamente convinto. La tecnologia è arida, è, mi permetto di dire, quasi banale, c’è chi se ne occupa, ma sono le persone che cambiano le aziende. Tanto che secondo me la responsabilità di un manager oggi consiste proprio nel guidare il cambiamento mettendo tutti nelle condizioni di sentirsi di essere dei protagonisti, di essere degli innovatori. Io sono convinto che gli innovativi sono avanti, ma gli innovatori fanno andare avanti, che è completamente diverso, è un concetto completamente diverso. Il professor Luigi Campiglio, che viene spesso qui al Meeting, dice una cosa secondo me estremamente centrata, lo cito perché non voglio banalizzare il suo pensiero, dice: “Il punto centrale è che in una economia moderna l’aumento della produttività del lavoro è tipicamente il risultato dello sforzo congiunto e complementare di una comunità di lavoratori e manager, il che è tanto più probabile quanto maggiore è la motivazione per raggiungere un obiettivo comune”. Questo resta per me il punto. Noi siamo innovatori se ciascuno è responsabile del cambiamento che deve fare ed è protagonista di quello che fa in azienda tutti i giorni. Si crea il lavoro e lo si fa diventare centrale rispetto alle politiche aziendali. È vero, la tecnologia poi è fondamentale, noi stiamo investendo molto in tecnologia, in sistemi, ma stiamo investendo molto di più nella formazione. Io credo che l’innovazione vera sia la formazione che dobbiamo fare dei nostri lavoratori. Vi faccio un esempio, voglio fare anche una provocazione da questo punto di vista: è più importante che io investa in sistemi di sicurezza, videosorveglianza o quant’altro per cercare di evitare che ci siano vandalizzazioni sui miei treni o è più importante che io riesca a fare capire alle persone che non si deve distruggere un bene comune che serve a tutti? Allora la tecnologia mi porterebbe a fare la prima scelta, il lavorare sulle persone mi porta a fare la seconda e io sono sicuro che è la seconda quella vincente. Lo dimostra il fatto che noi, nelle nostre reti, abbiamo 4000 telecamere a circuito chiuso e abbiamo un treno al mese completamente distrutto. Il che vuol dire che in un anno noi spendiamo diecimilioni di euro per andare a sistemare ciò che la gente ci distrugge. Più o meno il valore, qui ci sono dei produttori di treni, più o meno il valore di un treno ogni anno nuovo che ci viene tolto. E quindi è questo il messaggio che io voglio lasciare questa sera, voglio lasciare il messaggio che l’innovazione ha al centro l’uomo. Se l’uomo non è in grado di gestire un processo di innovazione e di essere innovatore di per se stesso, la tecnologia non può fare niente. Io non voglio andare oltre il Presidente, perché so che i tempi sono abbastanza stretti, però questo è quello che volevo dirvi questa sera.

BERNHARD SCHOLZ:
È anche un segno di innovazione capire che in poco tempo si possono dire cose importanti. Infatti la tecnologia è uno strumento che di per sé non raggiunge ancora l’obiettivo, dipende da chi la genera e poi da come viene utilizzata. Una delle cose che più mi colpisce è che Lisbona nel 2000, nell’Unione europea, ha detto che la competitività dell’Europa dipende dalla conoscenza che genera. Di questo si fa poco uso, è ancora una grande intenzione, una grande dichiarazione che aspetta ancora di essere presa sul serio da più persone ancora. La parola a Carlo Camnasio.

CARLO CAMNASIO:
Buonasera a tutti. Io intanto ringrazio dell’invito per questa tavola rotonda di questa sera e voglio dire che fa sempre piacere essere qui al Meeting e gustare un po’ con tutti voi questo gesto così pieno di significato, che è sempre ogni anno più interessante. Io volevo partire, prima di entrare nel merito dell’argomento della discussione, un pochino da una provocazione che il titolo del Meeting ha fatto a me quest’anno personalmente, anche nei confronti della mia attività professionale. Quando si parla di certezza, io vorrei dire che in tutti questi anni di attività lavorativa, una delle cose che ho imparato, è che la certezza, anche di fronte all’attività professionale, non è data soprattutto dalla sicurezza o dalla giusta strategia, ma è data dalla possibilità di mettersi in relazione adeguata con la realtà. Questo è un fatto molto importante, che dà anche le linee guida dell’approccio e dell’affronto del fatto innovativo. Quindi lasciarci stupire da quello che accade, lasciarci stupire dalla realtà. E vorrei dire così: che nessuna società, anche nel senso più ampio del termine, quindi non solo le aziende, può crescere se manca il desiderio di fare cose grandi, e per fare cose grandi bisogna essere certi. Nella mia esperienza, io ho notato che ci sono due cose che fanno costruire anche la propria attività lavorativa, imprenditoriale, e sono da una parte l’impegno che viene dalla razionalità, dalla ragione, e d’altra parte, allo stesso modo, la passione, quindi il cuore con cui si fanno le cose. Ci tenevo ad iniziare con questo punto fermo. Poi vorrei dire, prima di entrare nel merito di alcuni esempi, qual è secondo me l’origine del fatto innovativo. E devo dire che partecipare alla vita di un’azienda come quella che qui rappresento, Philips, che ha sempre avuto nel suo DNA questo fatto dell’innovazione, mi dà la possibilità di dire a voi questa sera alcune cose che penso siano interessanti. La prima è questa affermazione: che l’innovazione costituisce sicuramente nello scenario economico uno degli elementi decisivi per la competitività. Senza innovazione non si compete. E oltretutto è proprio un’esigenza delle aziende, non è un qualcosa che si aggiunge, è un’esigenza, è una condizione perché le aziende vadano avanti. E vorrei dire che è fondamentale innovare per crescere. Lasciatemi dire questo: io credo che anche nel panorama economico attuale, dove si parla continuamente di manovre grandi e piccole, possiamo fare tutte le manovre di questo mondo ma se non si cresce, le manovre che faremo non saranno sufficienti. Per fortuna l’Italia ancora oggi dal punto di vista manifatturiero ha una situazione importante, siamo ancora il secondo Paese a livello europeo, dietro la Germania. L’importante è che non scendiamo giù, soprattutto nei confronti dei Paesi emergenti, a livelli ancora più bassi. E’ importante innovare anche per mantenere una presenza nel mercato attuale internazionale, globale, almeno ad un livello sufficiente. Quali sono le due parole che secondo me indicano l’origine dell’innovazione? Da una parte io credo che la prima parola sia proprio la conoscenza, perché la conoscenza pone al centro del dibattito di tutta la dinamica innovativa l’uomo, come si diceva anche prima, la persona. C’è bisogno di un soggetto che innovi, l’innovazione non si fa da sé. E’ un approccio nuovo che irrompe dentro la realtà. Quindi la prima parola è proprio la conoscenza. E la seconda parola, guarda caso, è proprio la certezza. E qui vi consiglierei, se non l’avete ancora fatto, di visitare la bellissima mostra che c’è qui al Meeting che s’intitola “Atomo: indivisibile?”, perché fa capire questa cosa, fa capire cosa vuol dire la certezza anche in ambito scientifico e tecnologico. Se andate a vedere la mostra, vedete che Rutherford, che scoprì l’atomo 100 anni fa, non vide mai l’atomo: lui l’atomo non l’ha mai visto. E’ un insieme di indizi che convergono tutti verso una spiegazione di una realtà che non sempre vediamo, che ci fa essere ragionevolmente certi. Quindi si parla di ragionevoli certezze. La scienza e la tecnologia vanno avanti perché ci sono uomini convinti di alcune cose, senza magari averne tutti gli elementi in mano. Ma si rischia, si va avanti, si fa un passo in più. Quindi la certezza, vorrei dire così, non è un automatismo, ma è un dialogo tra l’intelligenza e la realtà, e questo è ciò che deve essere utilizzato anche nelle aziende per promuovere l’innovazione, per portarla avanti, per svilupparla, per far la ricerca. Questi due concetti devono essere essenziali, perché l’intelligenza è predisposta verso la realtà e la realtà è aperta all’intelligenza e così si fa conoscere. Questo è un po’ il primo punto che vi volevo dire, cioè quali sono le origini dell’innovazione. Ma entrando più nel merito io vorrei parlare qui delle tecnologie medicali, che sono quelle che ho seguito da trent’anni e che conosco di più, e farvi degli esempi di come questo metodo viene utilizzato. Per esempio, se parliamo di tecnologie nel settore medicale, dobbiamo tener conto dello scenario dentro cui ci muoviamo, quindi non possiamo inventare, metter sul mercato cose che poi non sappiamo se sono utili o no. E per sapere questo, bisogna partire da tre considerazioni: uno, che cosa serve prima di tutto al paziente, il quale ha bisogno di avere davanti a sé la possibilità di una guarigione, di un benessere, e quindi l’elemento umano deve guidare questo processo innovativo; cosa serve al paziente, cosa serve al medico, e quindi le aziende che cosa possono fare da questo punto di vista. Io credo che per capire questo dobbiamo capire anche la realtà in cui ci muoviamo, quindi qual è lo scenario e lo scenario deve tener conto della situazione demografica che sta cambiando. Noi tutti invecchiamo molto più lentamente, e quindi si presentano delle malattie che magari sono diverse da quelle che erano così importanti nel passato. Ora ci sono più malattie croniche che malattie urgenti. Qui bisogna adeguarsi a risolvere questo tipo di problema, altrimenti noi investiamo, inventiamo cose che alla fine però servono poco. Perché, come dicevo ai pazienti, serve poter avere il meglio, serve poter avere tecnologie diffuse, fruibili, poco invasive e molto efficaci. Quindi queste devono dare le linee guida per l’innovazione. E qui faccio due esempi. Il primo riguarda tutto il settore che in questi anni si sta sviluppando nella tecnologia medicale, soprattutto nella diagnostica, con la creazione di – vengono così chiamate – apparecchiature sistemi ibridi. Fino ad oggi, quando si voleva guardare l’interno del corpo umano, tutti sapete, si usava la radiologia, i raggi x che vanno a vedere bene come sono fatte le ossa, quali sono i problemi, e poi le risonanze magnetiche, cha fanno vedere bene quali sono gli organi all’interno del corpo umano, e poi altre tecnologie, come la medicina nucleare, che fa vedere bene, invece, quali sono i flussi dei mezzi di contrasto e quindi la funzionalità. Ma tutto ciò veniva fatto uno per volta. Oggi l’impegno nello sviluppo è quello di creare dei sistemi che permettano di unire tutte queste cose; sono appunto i sistemi ibridi, che permettono in un solo atto di vedere immediatamente l’interno del corpo umano secondo tutte queste sfaccettature, quindi portando un grande beneficio per il paziente, il quale si deve sottoporre ad un unico esame invece che a più esami, e per il medico, il quale può risolvere il problema diagnostico in modo più rapido e veloce e con un effetto dal punto di vista della cura molto più interessante, molto più rapido. Pensate addirittura a questi sistemi ibridi quando vengono unificate con apparecchiature di tipo diagnostico insieme ad apparecchiature di tipo terapeutico. Quindi poter vedere immediatamente, dopo 10 minuti da quando viene fatto l’esame, se quel trattamento terapeutico ha avuto effetto o no, senza aspettare settimane e mesi. Soprattutto nel settore dell’oncologia, per la cura del cancro, questo è una cosa fondamentale. Un altro esempio è quello – io lo chiamo – dell’intervenzionistica guidata dalle immagini. Fino ad oggi l’intervenzionistica, nel settore medicale, veniva fatta col chirurgo che apriva, metteva le mani dentro, adesso, invece, con tutte quelle apparecchiature legate soprattutto all’endoscopia ma anche all’utilizzo delle immagini per centrare bene l’attività del chirurgo. Tutto ciò viene fatto in modo molto più rapido, preciso e senza neppure aprire talvolta il paziente e quindi con vantaggi veramente molto importanti. Ma per ricollegarmi anche al primo punto che diceva Scholz all’inizio, anch’io sono convinto che l’innovazione non è solo tecnologica, non è solo sui prodotti, ma è anche su come vengono utilizzati i prodotti, come vengono resi fruibili. Per cui anche qui faccio un altro esempio. Quelli che noi chiamiamo, all’interno dell’ospedale, i sistemi ambient experience, sono la possibilità di installare queste attrezzature in un modo tale che permetta, ad esempio per la cura dei bambini in pediatria, di fare in modo che questi bambini siano curati, sia per diagnostica che per terapia, in luoghi e in ambienti che non mettano loro paura. Per cui, ad esempio, in una sala dove è installata la risonanza magnetica, noi abbiamo anche ideato un sistema per cui attraverso una proiezione di immagini, di suoni, di cartoni animati, i bambini vengano distratti. Questo non è solo per ridurre la paura ma anche per evitare per esempio la sedazione dei bambini – i bambini devono essere sedati per fare certi esami – in questo modo questo viene evitato, quindi con dei risultati interessanti anche proprio dal punto di vista pratico. Quindi devo dire che c’è una grossa trasformazione nel settore dell’healthcare, che richiede una grande attenzione proprio in questi mesi, in questi anni, perché non possiamo ridurlo solo ad un cambiamento di tipo tecnologico, di prodotto, ma deve tener conto di un cambiamento strutturale, di processo, di gestione di quello che è oggi l’ambiente della sanità. Io oserei dire così: dal punto di vista dell’innovazione tecnologica siamo nel XXI secolo ma ancora lavoriamo in strutture organizzative che sono rimaste nel XX secolo. Allora bisogna lavorare per questo. Non possiamo investire soltanto nel prodotto nuovo ma dobbiamo investire anche nel cambiare il modo di lavoro e le organizzazioni dentro cui poi questi sistemi vengono messi in gioco.
Ancora due considerazioni finali. Io credo che sono stati fatti veramente passi da gigante in questi anni per quanto riguarda l’innovazione. Se io penso a mio padre o mio nonno, neppure potevano pensare cosa voleva dire il mobile phone, la connessione continua che adesso possiamo avere, o a Internet. Però io credo che innovare non significhi solo inventare qualcosa di nuovo ma significhi anche cambiare ciò che abbiamo e renderlo disponibile, fruibile nel modo più adeguato. E questo avviene attraverso una – detto in inglese – una open innovation, una innovazione aperta. Non esistono più oggi le grandi multinazionali che si tengono i segreti nel cassetto. Questo non paga più. L’innovazione deve essere aperta, condivisa, gestita in rete con altre strutture, con altre società, con le università. L’ultimo punto che vorrei dire è che tutto ciò ha senso nella misura in cui è utile, porta benefici e porta anche risparmi. Da questo punto di vista, due esempi piccolissimi: nel settore dell’illuminazione, che a me sta molto a cuore, tutta l’attività che sta avvenendo in questi anni di messa al bando delle lampade a incandescenza. Ormai anche la Comunità Europea, modello per modello, sta facendo questa azione e nei prossimi anni tutte le lampade a incandescenza saranno fuori mercato, sostituite con le lampade led che portano dei vantaggi molto importanti, sia perché non riscaldano, come queste che invece ci stanno riscaldando tutti qui questa sera, ma anche perché danno dei vantaggi di utilizzo di luce dinamica in un modo molto interessante. Addirittura le lampade led organiche, che permetteranno in futuro di raccogliere sulle nostre finestre della nostra casa la luce durante il giorno e di emetterla poi, se noi vorremo, durante la notte. Io ho fatto soltanto veramente pochi esempi ma per dire che l’innovazione e la tecnologia sicuramente ci possono portare in futuro, se gestite bene, a vivere in un luogo più bello e forse dove diventa anche più semplice vivere. Grazie

BERNHARD SCHOLZ:
Se è vero, come dicevi, che l’innovazione non sono le cose che possiamo fare, le cose che servono, se l’anno prossimo ci porti i led qua ti siamo molto grati, si suda un po’ di meno. Alberto Daprà di Lombardia Informatica.

ALBERTO DAPRÀ:
Grazie, grazie Bernhard e grazie agli organizzatori del Meeting per questo invito ripetuto, che consente di vivere questo Meeting che è sempre una straordinaria fonte di stimoli, e quindi di innovazione, di idee, di incontri, quindi per me sempre molto affascinante. Ma siccome Lombardia Informatica, come forse alcuni di voi sanno, è la società della Regione Lombardia che si occupa di tecnologie, pur essendo totalmente d’accordo con quanto detto finora, devo spendere qualche parola in più sul tema delle tecnologie, e in particolare sul tema delle tecnologie informatiche, che indubbiamente hanno cambiato la vita e stanno continuamente cambiando la nostra vita e il nostro modo di lavorare. E’ indubbio che le tecnologie informatiche hanno avuto, hanno un beneficio quasi sempre – non sempre – sull’aumento della produttività, sul cambiamento dei servizi, sull’innovazione sia di prodotto che di processo, a patto che, come è già stato detto e quindi non mi ripeto, vengano messe insieme quelle tre componenti che si dicevano: le tecnologie, i processi organizzativi e le persone, che poi sono l’anello di congiunzione fondamentale. Ecco, volevo fare qualche esempio su questo, in particolare applicato alla pubblica amministrazione, in questo caso al governo regionale, dove un utilizzo combinato di questi tre elementi ha consentito e sta consentendo di ottenere dei benefici molto significativi in termini di riduzione della spesa. Si parla moltissimo in questi giorni di riduzione della spesa ma raramente io ho sentito citare la possibilità che può venire utilizzando bene le tecnologie. Riduzione della spesa e/o miglioramento dei servizi, che sono due aspetti fondamentali, due sfide che la Pubblica Amministrazione di qualunque contesto italiano e non solo italiano è chiamata ad affrontare. Primo esempio che vorrei fare riguarda la centrale regionale acquisti. In Lombardia è stato istituito tre anni fa un gruppo, un organismo centrale che è gestito da Lombardia Informatica, che ha il compito di centralizzare la maggior parte degli acquisti della sanità lombarda. Non solo centralizzarli ma anche supportarli con tecnologie di aste on line, di partecipazione alle gare on line, di analisi dei fabbisogni, dei requisiti on line, a cui tutti possono partecipare, quindi un insieme di nuove tecnologie supportate da una profonda revisione dei processi di acquisto, che nel campo della sanità lombarda ha un budget di 17 miliardi di euro. Sono cifre che riguardano il personale e riguardano gli acquisti. Quindi la revisione dei processi degli acquisti, la centralizzazione di questi acquisti supportate da nuove tecnologie, ha portato nel giro di due anni a risparmi che sono quantificabili, rispetto alla spesa storica, in oltre 100 milioni di euro. E siamo soltanto all’inizio di questo processo. Il secondo esempio che vorrei fare riguarda l’evasione fiscale, chiamiamola così. Da due anni la gestione della tassa auto, come forse molti lombardi sanno, non è stata tassata dalle competenze dell’ACI alle competenze della Regione. E questo ha comportato il rifacimento completo del sistema di supporto, con una serie di problemi e anche di disfunzioni, come sempre succede nei sistemi quando partono, quando iniziano. Però la pulizia delle banche dati, la riorganizzazione dei processi, un diverso modo di relazionarsi con l’utente finale – per esempio la famosa letterina che arriva per ricordare che entro tot gironi scade il pagamento della tassa auto – insomma tutta una serie di aspetti hanno portato ad un maggior gettito che sfiora i 100 milioni di euro in due anni. Quindi questo, anche dal punto di vista del recupero fiscale. Non è che chi non paga la tassa auto è evasore – io mi dimenticavo sempre, adesso mi dimentico un po’ meno. La possibilità di pagarla in qualunque punto, in tutte le tabaccherie, di pagarla on line … insomma il miglioramento del servizio, unito alla pulizia delle banche dati, unito a un diverso modo di interfacciarsi con l’utente, ha portato a un maggior gettito di quasi 100 milioni di euro, che sono una quantità di soldi significativa. Terzo esempio che voglio fare, però non riguarda la Lombardia, ci dicono che siamo troppo lombardo-centrici, riguarda il Trentino. Il Trentino, a proposito del tema dei comuni di cui si è discusso anche nell’incontro di stamattina, dei piccoli comuni, il Trentino ha lanciato un progetto per fornire a tutti comuni, tramite questa tecnologia che sicuramente alcuni di voi avranno sentito nominare, che adesso si chiama “Cloud”, la possibilità di accedere via rete all’utilizzo dei servizi, di accedere da parte di tutti i comuni allo stesso set di servizi, utilizzabili per gestire tutte le pratiche. Questa evidentemente è una grandissima semplificazione, è una grandissima fonte di riduzione e di eliminazione delle enormi diversità e di spese inutili che ci sono in ennemila sistemi e che molti tipi di comuni non possono permettersi. Ecco, oggi, la tecnologia, unita ad una revisione dei processi di gestione dell’amministrazione comunale, consente, consentirà, quando questo progetto, ci auguriamo, sarà felicemente concluso, a tutti i comuni, semplicemente con una connessione internet, di accedere a tutta una serie di servizi innovativi di gestione, per migliorare a loro volta i servizi ai loro cittadini, che non avrebbero mai potuto permetterselo. Quindi, l’ultimo esempio, ma siccome ne ho già parlato altre volte lo cito soltanto, riguarda le gestioni informative socio-sanitarie della Regione Lombardia, su cui la Lombardia ha investito tantissimi soldi, negli anni, che però, a regime, si valuta che porti un beneficio, sia in termini di diminuzione dei costi che di miglioramento, che si aggira intorno al 5% del budget regionale. E vi ho già citato prima il numero del budget regionale della sanità, e quindi si capisce che stiamo parlando di un impatto estremamente significativo, sia sulla riduzione dei costi, sia sul miglioramento dei servizi. Tutto questo, solo se, e solo se, quelle tre componenti sono adeguatamente gestite, se si fa quindi un investimento, non una spesa, ma un investimento corretto nelle tecnologie, nei processi della formazione, può comportare dei miglioramenti significativi, delle diminuzioni di costi significative, che avrebbero una potenzialità, diciamo, di dare un contributo non trascurabile alla sfida che in questo momento la Pubblica Amministrazione è chiamata a – speriamo – a vincere, o comunque a giocare. Quindi, queste buone pratiche che vengono fatte in alcune regioni, se potessero, se fossero diffuse – così come sono, perché la legge sul fatto che tutte le regioni devono avere una centrale acquisti è stata fatta credo due anni fa, ma le regioni oggi che hanno una centrale acquisti si contano forse sulle dita di una mano- queste buone pratiche se fossero diffuse e utilizzate da tutti gli altri enti già potrebbero comportare un cambiamento significativo, e darebbero un grande contributo alla sfida che la Pubblica Amministrazione deve affrontare.
L’altro tema che volevo affrontare brevissimamente, che è un tema indotto da questo, riguarda invece proprio la potenzialità del settore delle tecnologie e dell’informazione a livello delle imprese. È un settore, questo, che, lo conoscete, negli Stati Uniti ha dato origine alle più grandi imprese che conosciamo. È recente, credo, la notizia che le due grandi imprese più capitalizzate del settore AIT, Google e Apple, sommate insieme hanno una capitalizzazione superiore alla Borsa italiana. Voglio dire, questo settore ha delle potenzialità straordinarie, e, in Italia, ci sono centinaia, migliaia di imprese AIT, che possono davvero dare un contributo straordinario allo sviluppo, innanzitutto perché sono imprese che comportano alta occupazione qualificata, poi perché sono imprese che richiedono relativamente poco capitale per essere lanciate. Quindi c’è una potenzialità nel settore AIT e in particolare nel settore del software dei servizi, di alta competenza, di capacità di innovazione, che secondo me è una risorsa, una grande risorsa dell’Italia, che andrebbe valorizzata il più possibile e sostenuta il più possibile, anche nelle sue criticità, che peraltro ci sono. Però, voglio dire, il fenomeno internet, oggi, è molto più … sta creando molte più opportunità di business di dieci anni fa, quando era un sogno; oggi non è un sogno, oggi ci sono imprese negli Stati Uniti nate due o tre anni fa, quattro anni fa, che hanno creato possibilità di sviluppo, di innovazione e di occupazione. Quindi, questo settore secondo me ha delle potenzialità straordinarie, che bisognerebbe poter cogliere, in modo da dare un contributo allo sviluppo. Finisco con due velocissime osservazioni sul tema dell’innovazione più in generale. Tra tutte le definizioni che ho sentito – ce ne sono tantissime, ognuno ha quella che preferisce – io sono molto affezionato a una definizione di Peter Drucker, che dice “L’innovazione è il cambiamento della customer’s experience”, cioè dell’esperienza del cliente. La parola esperienza è una parola cara, e comunque il cambiamento dell’esperienza tiene dentro tutto: tiene dentro il prodotto, il processo, la formazione. È un modo diverso di relazionarsi, da parte del cliente o del cittadino. Quando questo cambiamento accade, questo ha un impatto positivo su tutta la realtà e, ultimissima cosa, nella mia esperienza, ma l’ha già detto Camnasio, quindi non lo ripeto, l’innovazione è davvero una disciplina, non è soltanto diciamo uno spunto di creatività, ma una disciplina che si può imparare ed insegnare, è una disciplina ed è un processo collaborativo, che ormai sempre di più riguarda clienti, fornitori, partner delle aziende. Ma c’è un punto chiave, comunque, l’ho già detto ma lo ripeto, ed è l’investimento in capitale umano, è l’investimento sulle persone, è l’investimento sui giovani. Io, personalmente non ho nessun titolo, ma quando mi chiedono cosa sarebbe utile fare per rinnovare la pubblica amministrazione, con un po’ di presunzione ingegneristica, ma metto dentro negli ingegneri anche tutti i tecnici, dico che se si assumessero i giovani, tecnici, laureati in ingegneria, in informatica, in discipline tecniche, sicuramente questo porterebbe un contributo significativo anche alla crescita e allo sviluppo.

BERNHARD SCHOLZ:
Speriamo che una parte della manovra possa essere sostituita con un miglioramento della pubblica amministrazione. Parleremo dopo ancora di pubblica amministrazione, ma prima parliamo di un’industria agroalimentare. La parola a Ferrarini.

LUCA FERRARINI:
Stavo pensando nei giorni scorsi a quello che sta accadendo in questo torrido agosto, torrido sotto molti punti di vista: il downgrade degli Stati Uniti, con il conseguente crollo delle borse; agenzie di rating che dall’altra parte del mondo giudicano in un modo sterile, senza conoscere le famiglie, senza conoscere il Paese, senza conoscere la storia, giudicano l’Italia, giudicano la Spagna, giudicano; il conseguente crollo delle borse e la corsa ai ripari, cioè a manovre finanziarie e manovrine per cercare di arginare questa fuga dai capitali. Politici, giornalisti, media, tutti raccontano la loro e tutti danno giudizi, danno pensieri eccetera. In tutto questo si è dimenticato di una figura che non è dimenticabile, che è quella dell’imprenditore; allora mi è venuta una piccola crisi di coscienza, siccome appartengo alla terza generazione di imprenditori in casa mia, e mi occupo di Jurassic Economy, mentre voi lavorate con delle cose molto più sofisticate. Allora sono andato a vedere il termine imprenditore. Le prime tracce del termine imprenditore risalgono nel nostro Paese intorno al XIV° secolo ed è questa la definizione: l’imprenditore è la persona che esercita professionalmente un’attività economica organizzata ai fini della produzione, dello scambio di beni e di servizi. Un’altra ancora, sono andato a prendere il nostro Codice Civile e l’articolo 2082 del Codice Civile Italiano recita: è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata, al fine della produzione e dello scambio di beni e di servizi. In questa sala ci sono moltissimi imprenditori, perché il termine imprenditore non è solo di chi ha migliaia di dipendenti; il termine di imprenditore sta a chi fa un‘attività, a chi si dà da fare. Quindi da chi non ha un dipendente, a chi ne ha quindici, a chi ne ha mille, a chi ne ha 500.000, a chi ne ha un milione: tutti siamo imprenditori e tutti condividiamo una grandissima difficoltà di questo Paese. Aggiungo un altro termine, cioè in che modo, secondo il codice anglosassone, viene definito l’imprenditore: è imprenditore una persona che ha possesso di un’impresa, di un’attività rischiosa o di un’idea ed è responsabile dei rischi inerenti e del risultato di un prodotto. Un imprenditore in inglese è un termine applicato a una persona che desidera sostenere il lancio di una nuova attività, di un’impresa e accetta la completa responsabilità del suo esito. L’imprenditore è colui che mette il patrimonio in quello che dice e quello che fa. Noi viviamo in un Paese dove nessuno o pochi mettono un euro solo in ciò che dicono e in ciò che parlano; questa è aria fritta. Sono andato un po’ più in là e sono andato a vedere nel nostro gruppo, ma quando dico nostro dico di tutti voi anche, quindi tutte le imprese, sono andato a vedere con quali enti noi ci rapportiamo, con quanti enti dello stato noi lavoriamo. Mi sono venuti i capelli dritti: noi lavoriamo (noi tutti) con trenta enti. Velocemente vi leggo i nomi. Lavoriamo e ci rapportiamo con l’Agenzia delle Entrate, con l’ANAS, con l’ARPA, con l’ASL, con l’Autorità del Bacino del Po, con la Banca d’Italia, con la Bonifica Emilia Centrale, con la Camera di Commercio, con i Carabinieri, con il Catasto, con i Comitati di Quartiere, con il Comune, con la Comunità Montana, con il Consorzio della Bonifica, il Consorzio Fito-Sanitario, la Dogana, l’ENASARCO, le Guardie Forestali, la Guardia di Finanza, l’INAIL, l’INPS, l’Ispettorato del Lavoro, l’ISTAT, Laboratorio Geo-Tecnologico, Ministero dei Beni Culturali, Prefettura, Garante della Privacy, Provincia, Regione, Vigili del Fuoco. Troppi, non si può lavorare con trenta enti! Non è finita, sono andato a vedere (questi non ve li posso leggere altrimenti mi sparate) a quanti uffici corrispondono questi trenta enti; corrispondono a ottantuno uffici, ai quali noi dobbiamo produrre documenti, carta e quant’altro. Come ho detto ve li risparmio; ci sono anche delle sigle a me sconosciute. Altri commenti che vengono da questo sistema è che la tendenza è all’aumento continuo delle pratiche da presentare; i tempi non vengono mai rispettati; ci sono delle diversità di interpretazione delle norme da ufficio a ufficio, anche dello stesso ente; la documentazione continua a essere richiesta in formato cartaceo e non in formato informatizzato. Gli sportelli unici ancora non funzionano, le pratiche vengono istruite con un metodo che abbiamo chiamato Matrjoschka; cioè vengono interrotti i termini per avanzare l’osservazione poi, una volta contro dedotta l’osservazione, vengono avanzate altre osservazioni. È veramente molto, molto difficile. Io non sono ovviamente un anarchico, però dico che tutti questi enti potrebbero, quando vengono da noi, e domattina potrebbero venire tutti in una volta, perché possono farlo, venire non sempre con quel criterio di controllore, ma anche con il criterio di consigliere, per fare crescere anche la nostra società, per fare crescere le nostre imprese, per fare crescere il nostro modo di lavorare, per dare tutta quella cultura che il collega prima diceva. Tutto nasce (l’evoluzione, la crescita) da una germinazione naturale, nulla nasce dal caso. Mi stavo chiedendo: secondo voi per quanto tempo ancora questo personaggio avrà voglia di alzarsi al mattino per andare a fare tutte queste cose? Avrà voglia di confrontarsi in continuazione con questa gente? Avrà voglia di continuare a fare questo mestiere? Questo è il problema che noi abbiamo. Qualche matto, io ne faccio parte, in mezzo a voi c’è sicuramente, continua ad andare avanti perché questa è la nostra storia. La storia non la si inventa, la storia ce l’abbiamo dentro, ce l’anno regalata, la portiamo avanti. Qualcun altro si stanca e dice: ma io trasloco, vado da un’altra parte, faccio la mia fabbrica fuori da questo Paese. Allora dobbiamo raccontare ai signori politici che non serve scrivere “made in Italy” quando facciamo scappare i cervelli migliori. Non serve più a niente. Il made in Italy è un qualcosa che non abbiamo fatto noi, lo hanno fatto tante generazioni prima di noi. Da cristiano e da cristiani quali siamo, sappiamo perfettamente che non abbiamo il dono dell’eternità; noi veniamo da una generazione, prendiamo delle cose in prestito, le dobbiamo migliorare per passarle a un’altra generazione; questo sarà quello che dobbiamo fare. Parlando di sviluppo e di innovazione, in tutti gli anni che ci siamo visti al Meeting, abbiamo parlato per tantissimo tempo di tutte queste cose. Vorrei, se mi permettete, citare una frase di Steve Jobs, che è scritta nel suo ultimo libro. Steve Jobs dice che solo coloro che sono così folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano veramente. Lui è riuscito a cambiare il mondo per il suo settore, noi, secondo me, dovremmo cercare per tutto quello che possiamo, in ogni momento della nostra vita, senza l’ansia e senza lo stress, ma con la voglia e spinti da quel messaggio che sta dietro di noi, di fare meglio e di più domani, fare qualcosa per migliorare. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Evidentemente è in crisi anche la competitività in questi lacci e laccioli di cui spesso parliamo, però, avendo avuto notizie positive da parte della Pubblica Amministrazione, speriamo che qualcosa possa anche cambiare. La parola al Segretario di Stato Arzilli, perché la Pubblica Amministrazione può ostacolare ma può anche favorire la competitività delle aziende che ci sono.

MARCO ARZILLI:
Grazie, buona sera a tutti, ringrazio anch’io il Meeting per avermi dato questa opportunità di essere qui. Il Meeting penso che sia il primo esempio di innovazione continua che viene fatto ogni anno, da parte di questa meravigliosa struttura che mette sempre in discussione, pone sempre temi sul tavolo che aiutano il percorso della natura umana. Mi riallaccio a quello che diceva prima Luca, che ha dato tanti stimoli: è proprio nella natura umana che c’è l’innovazione. L’innovazione nasce da quando noi cominciamo il nostro percorso e purtroppo spesso e volentieri questo viene messo in difficoltà e viene messo in dubbio dalla stessa società, che tende in tanti modi a interrompere questo percorso. Anche la stessa negazione dell’essere umano non aiuta certo a innovare; ma se noi riusciamo a ragionare su quello che si diceva, che il nostro essere qui è un passaggio, allora la nostra presenza nella società serve anche per portare l’innovazione in tutti i settori. È ovvio che l’innovazione applicata a quello che è il sistema economico, sul tema che è stato proposto in questa serata, mi ha fatto venire in mente un economista che avevo studiato tanti anni fa all’università, che era Schumpeter. Schumpeter aveva individuato quella che era l’applicazione dell’innovazione nell’economia, ovvero che l’innovazione è l’applicazione nell’economia dell’invenzione. Però poneva un problema: se non c’è un sistema che possa evitare che l’innovazione mini la concorrenza perfetta, l’innovazione può essere rischio dell’impoverimento delle altre imprese a vantaggio di questa impresa. Qui si porrebbe l’esempio migliore nell’applicazione della sussidiarietà nel mondo delle imprese e anche dell’innovazione. Perché dico questo? L’idea dell’innovazione è una cosa che si applica solo nell’impresa; questa era la teoria dell’economia, ma l’innovazione non si applica solo nell’impresa. La Repubblica di S. Marino (molti di voi la conoscono), nei suoi 1700 anni di storia ha usato la sua innovazione fondamentale per rimanere stato sovrano e indipendente. La sua idea di democrazia, di libertà, di difesa della libertà a tutti i costi, ha permesso a questa piccola realtà di 60 chilometri quadrati, di 30.000 abitanti, di rimanere libera, di rimanere con la sua identità ed ha permesso a noi di essere qui oggi a rappresentare uno Stato che si devo confrontare con l’esterno. Dunque la libertà, che è anche un principio dell’uomo, la libertà, l’essere liberi, sono alla base dell’innovazione. Quello che invece non è successo e non sta succedendo nell’economia in questo momento, è che l’economia mondiale, dopo quattro anni di percorsi difficili, dopo una crisi importante, è ricaduta nella stessa tentazione: non ha saputo innovare, non ha saputo mettere al centro l’impresa, l’uomo, ha ricominciato a ragionare freddamente con i numeri, con un’economia fatta di fredde sequenza, dove non c’è al centro la dignità dell’uomo; ha rimesso in difficoltà i Paesi, perché gli stati avevano cercato di salvare l’economia, erano intervenuti, e oggi ci ritroviamo ad aver avuto un agosto caldo in tutti i sensi, mina quella che è la crescita degli Stati. Però andiamo sempre a impoverire l’uomo, andiamo sempre a impoverire l’innovazione, perché andiamo a porre, a quello che dovrebbe essere il motore, la competitività del sistema, a porre ulteriori appesantimenti, ulteriori settori che dovranno mettere in piedi costrizioni alla naturale crescita dell’economia, dell’uomo e della società, che è quella di poter avere i mezzi di poter non pensare solo alla sopravvivenza dell’impresa oppure al quotidiano, ma di pensare ad andare oltre. Quel monito che veniva anche dalla dottrina sociale della chiesa di non pensare esclusivamente al profitto, ma di cominciar a pensare che una parte di quello che produce un’impresa lo deve investire in innovazione e in ricerca, purtroppo non è stato seguito da tutti, soprattutto da quei Paesi che sono molto lontani da qui e che non hanno questa cultura che è quella europea, che è molto più vicina a quello che sarebbe la soluzione dei problemi. Purtroppo manca un’Europa vera nell’economia unita, manca una gestione collegiale dell’economia. Lo dico con molto rispetto da un Paese che ha 30.000 abitanti. Noi oggi, come Paese, in due anni abbiamo dovuto e siamo stati spinti a innovare il nostro stato; a innovare la nostra funzione di essere un Paese che aveva una sua economia, ma che era un’economia basata su altri criteri e su altri asset e driver, che purtroppo ci hanno portato ad avere dei grossi problemi. Ma in questa innovazione, non abbiamo mai posto in discussione il fatto di voler rimanere uno Stato indipendente e sovrano, con una sua economia, però abbiamo posto anche una cosa nuova per la repubblica di San Marino, che è quella di dire noi adesso non siamo più un…, non dobbiamo più nasconderci, noi dobbiamo competere con quello che ci sta intorno e dobbiamo essere parte dell’economia. Allora, avere all’interno dell’Italia un Paese che si pone in queste condizioni e che può essere volano di competitività, che può rispondere a certe situazioni di difficile soluzione, non solo in Italia, ma in Europa, può essere una risorsa. Noi vogliamo essere una risorsa. In questo dobbiamo innovare e c’è alla base l’idea del parco scientifico tecnologico, che proprio lunedì è diventato ufficialmente un progetto, voluto da Italia e San Marino, per fare un parco internazionale di ricerca dove l’innovazione sia portata al massimo livello, proprio grazie al fatto che sarà un parco per l’impresa, non dell’impresa, che utilizzerà l’università come servizio, ma che non potrà prevedere che questa sia chiusa, non potrà essere un ghetto culturale, ma un open source, legato ad un network molto più importante. E noi cosa possiamo mettere? Possiamo mettere al centro di questo un Paese che può dare competitività, che può darla non solo a se stessa, ma darla anche a chi ci sta intorno. San Marino è piccolo, ma può mettere a disposizione proprio questa sua esigenza al mondo di chi fa impresa. E in questo c’è la competitività, la competitività che significa competere, ma non significa barare, perché chi bara alla fine può essere scoperto. E quando si bara? Quando si nascondono i veri dati della competitività degli stati e soprattutto quando si cerca di essere competitivi, magari facendo cose che non si possono fare. Oggi la grande sfida è essere competitivi, mettendo a disposizione quello che si ha e dove si può andare. E dunque la burocrazia, l’amministrazione, la semplificazione normativa, il rapporto sulla qualità della vita, perché poi la burocratizzazione abbatte la qualità della vita, non la migliora, sono gli obiettivi su cui noi dobbiamo muoverci. Questa una cosa che si impara negli anni, perché la cultura è la stessa e dunque la tentazione della burocratizzazione c’è anche da noi, ma noi dobbiamo andare per migliorare noi stessi, migliorare l’uomo e migliorare noi stessi, perché alla base dell’economia c’è l’uomo. E sono convinto che San Marino su questo stia facendo dei grossi passi, ma non li sta facendo solo per se stesso, li sta facendo anche per quello che ha intorno, perché credo che rappresentare uno Stato in un mondo globalizzato, oggi sia una grande responsabilità per ognuno, e deve essere una responsabilità di saper condividere le proprie esperienze, non di isolare quelle cose che non si capiscono. Dunque, intervenire per ultimo non è mai semplice, però sono convinto che la base dell’innovazione e la base della competitività sono alla base della ragione d’essere dell’uomo. E c’è una frase, che mi è sempre rimasta impressa, nella Lettera ai romani, perché è un po’ l’essenza della vita, che dice che “nessuno vive per se stesso e nessuno muore per se stesso”. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie, grazie segretario. Io penso che i tanti esempi e riflessioni che abbiamo sentito sull’origine, sullo scopo dell’innovazione, ci mostrino che l’innovazione sia oramai assolutamente decisiva per una crescita nel Paese, che altrimenti i problemi non si riescono ad affrontare. La crescita presuppone un’innovazione, ma solo unita alla certezza che la novità sia possibile nella tecnologia, nell’organizzazione, nei processi, nei prodotti, nella pubblica amministrazione, così come abbiamo sentito questa sera. Ciò rende evidente che il titolo di questo Meeting non è fuori dai problemi di questo Paese, dai problemi globali che dobbiamo affrontare, perché l’uomo senza certezza non riuscirà mai ad innovare, sarà paralizzato dal dubbio, sarà paralizzato dai problemi. E quindi io spero che il Meeting possa essere un fautore di innovazione, comunicando attraverso il clima, attraverso gli incontri che facciamo, la certezza che è possibile rinnovare, innovare in qualunque situazione, in qualunque condizione ci troviamo. Io ringrazio tutti anche per la disciplina con cui avete mantenuto i tempi e vi auguro ancora una buona serata.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2011

Ora

19:00

Edizione

2011

Luogo

Sala C1
Categoria
Incontri