IL BATTITO DELLA COMUNITÀ. LA RICOSTRUZIONE DELLE SCUOLE DELL’EMILIA DOPO IL TERREMOTO DEL 20-29 MAGGIO 2012

Partecipano: Patrizio Bianchi, Assessore alla Scuola, Formazione Professionale, Università e Ricerca, Lavoro della Regione Emilia-Romagna; Manuela Manenti, Responsabile Unico del Procedimento EST e PMS della Struttura Tecnica del Commissario Delegato alla Ricostruzione; Emanuele Orsini, Consigliere di FederlegnoArredo; Benedetto Renzetti, Funzionario del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale. Introduce Davide Poggi, Direttore della Compagnia delle Opere Emilia.

 

IL BATTITO DELLA COMUNITÀ. LA RICOSTRUZIONE DELLE SCUOLE DELL’EMILIA DOPO IL TERREMOTO DEL 20-29 MAGGIO 2012
Ore: 15.00 Sala Tiglio A6
Partecipano: Patrizio Bianchi, Assessore alla Scuola, Formazione Professionale, Università e Ricerca, Lavoro della Regione Emilia-Romagna; Manuela Manenti, Responsabile Unico del Procedimento EST e PMS della Struttura Tecnica del Commissario Delegato alla Ricostruzione; Emanuele Orsini, Consigliere di FederlegnoArredo; Benedetto Renzetti, Funzionario del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale. Introduce Davide Poggi, Direttore della Compagnia delle Opere Emilia.

DAVIDE POGGI:
Buongiorno a tutti e benvenuti all’incontro “Il battito della comunità. La ricostruzione delle scuole dell’Emilia dopo il terremoto del maggio 2012”. Io ringrazio innanzitutto, per aver accettato l’invito a partecipare a questo incontro, Patrizio Bianchi, Assessore alla Scuola, Formazione Professionale, Università e Ricerca e Lavoro della Regione Emilia Romagna; Manuela Manenti, Responsabile Unico del Procedimento EST e PMS della Struttura Tecnica del Commissario Delegato alla Ricostruzione; Emanuele Orsini, Consigliere di FederlegnoArredo e Benedetto Renzetti, che è Funzionario del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale. Mi presento, mi chiamo Davide Poggi, sono il direttore della Compagnia delle Opere Emilia e ho accettato volentieri di moderare quest’incontro, pur non essendo un esperto di scuole, perché mi sono invece ritrovato involontariamente nel mezzo di quello che appunto vengono definite come il battito della comunità, quando, lo scorso maggio, dopo le scosse di terremoto che hanno colpito le nostre Provincie – io abito in provincia di Modena – siamo stati sommersi, come sede CdO Emilia, da una marea di telefonate di disponibilità, di tutti i tipi, da parte di chi offriva appartamenti, tende, roulottes, camper, disponibilità di ogni tipo da tutte le regioni d’Italia. Al tempo stesso, abbiamo visto tra le persone colpite dal sisma, che ha così duramente provato le nostre terre, emergere, come il titolo del Meeting di quest’anno sottolinea, un desiderio e un rimettere a fuoco una volontà di ricostruire, di ripartire, che ha immediatamente contagiato e coinvolto tutte le persone che si trovavano, in un modo o nell’altro, in queste circostanze. Iniziamo l’incontro di oggi: lascio la parola all’Assessore Bianchi. Per introdurlo, abbiamo un video che la Regione Emilia Romagna ha voluto produrre per lasciare una traccia e una testimonianza di quanto è accaduto nelle settimane e nei mesi immediatamente successivi alle scosse di terremoto. Quindi, lascerei a lui la parola, dopo proseguiamo con gli altri interventi.

PATRIZIO BIANCHI:
Grazie, Davide e grazie a tutti per essere qua e per aver voluto dedicare, subito all’apertura di questo Meeting, un momento così importante alla ricostruzione delle scuole. “Emergenza Uomo”: noi viviamo in un’epoca in cui tutto sembra dato, scontato. Sembra scontata la scuola: siamo talmente abituati a pensare che la scuola esiste, che non ci passa neanche per la testa che in una comunità non ci sia la scuola. Quando c’è stato il terremoto, tutti abbiamo vissuto quest’esperienza: un buco nel territorio, un buco nella pancia, un buco nella comunità. Questa idea della scuola che è l’elemento che dà ordine alla vita: la campana che suona, il ritmo stesso di una comunità. Ci viene da dare per scontate anche altre cose: il vivere assieme, la comunità. Quando manca la scuola, manca questo. In questi anni noi abbiamo discusso moltissimo di scuola, in questo Paese, di riforme scolastiche, di riforme dell’università, di riforme di tutto, come fosse un problema interno: un problema degli insegnanti, un problema di ordine pubblico degli studenti. Non abbiamo mai pensato quanto è importante la scuola nella vita continua delle persone. Così come abbiamo sempre pensato che la comunità è un dato, c’è! In fondo, abbiamo pensato anche che gli uomini e le donne ci sono. Beh, guardate, basta una scossa, che nella vita della terra nel suo insieme è un battito d’ali – di una farfallina, tra l’altro, neanche di una farfallona – per metterci assolutamente a terra. Basta una scossa perché ci si dimostri che il rischio più grosso non è che vengono giù le pietre ma che si scomponga la comunità. Abbiamo sempre avuto forte questo senso di appartenenza locale, molto più che in altri Paesi, guardate la fatica che facciamo ad andar via dal paese in cui siamo nati. Bene, in una scossa di terremoto tutto questo viene meno. Allora, noi avevamo bisogno – è stato chiaro subito, il 20 maggio, il giorno dopo, la prima volta che ci siamo trovati in Consiglio – di un segno forte, fortissimo, che la comunità non si perdeva. E questo segno è stato la ricostruzione delle scuole. Molto di più della costruzione di edifici, è stato il ripristinare il centro di una comunità che metteva lì i suoi figli, che li voleva sicuri, li voleva insieme, è stato ridare il ritmo, il battito della comunità, questa idea che una comunità ha bisogno di un proprio ordinamento. Noi abbiamo imparato molte cose dalla ricostruzione delle scuole. Primo, che l’emergenza non è mai nelle cose, è sempre nelle persone. La capacità di uscire dalle emergenze dipende dalla capacità di consolidare le persone, di tenere ferma non la vita del singolo ma la vita di tutti. Dobbiamo sapere che neanche l’ultimo, fuori dall’ultima porta, può sentirsi in pericolo perché noi siamo in salvo. Seconda cosa, abbiamo imparato le istituzioni. Abbiamo imparato molto dalle disgrazie degli altri. Abbiamo imparato che durante le emergenze la cosa più semplice è tirar su la paletta rossa e dire: “Fermi tutti! Non ci sono più i Comuni, non ci sono più le Regioni, non ci sono più le Provincie, non c’è più la struttura istituzionale. Al suo posto c’è una struttura straordinaria”. Fin dall’inizio, abbiamo concordato col Governo, con la Protezione Civile, che rimaneva forte e salda la struttura dei nostri sindaci e, con questi, del presidente della Regione. In un’epoca in cui si può dire tutto il male del mondo della politica – ditene quante ne volete – se vedevate i nostri sindaci, con la fascia tricolore sulla maglietta, vi passava subito di non sapere cos’era la buona e la cattiva politica. Si capiva subito qual era la buona politica: quella che è lì anche quando le pietre vengono giù, quella che è lì quando il rischio della comunità è di sfaldarsi. Sicuramente, abbiamo avuto un’intuizione grande e un’intuizione piccola, che però si è dimostrata giusta. L’intuizione grande è stata quella di tenere ferma la data del 17 settembre per riaprire la scuola. Fare questo voleva dire tenere ferma l’idea del finire la scuola: era il 20 di maggio, guardate che era facile dire “chiudiamo tutto”. Io intanto ricevevo delle telefonate: “Patrizio, chiudi, chiudi!”. Rispondevo: “Eh, ma come sei preoccupato! Dove sei, a Mirandola?”. “No, sono a Roma, in Senato”. E io: “Beh, ma stai ferma, tranquillizzati. Noi adesso con i pompieri, con la Protezione Civile, andiamo a cercare i registri sotto le macerie e facciamo gli scrutini”. Questa idea dell’andare a cercare i registri sotto le macerie voleva dire dare ai ragazzi l’idea che c’era il terremoto, sì, ma loro e noi non eravamo terremotati. E poi, il 17 settembre, riaprire la scuola voleva dire fare un lavoro titanico, eccezionale: lì abbiamo avuto una mano forte, fortissima, un aiuto, più di un aiuto, la solidarietà di tutto il Paese. E dalla solidarietà di tutto il Paese, abbiamo avuto la possibilità di avere dei tecnici eccezionali che ci hanno permesso di recuperare tutto quello che gli altri avevano imparato e che noi non conoscevamo. Manuela e Benedetto dopo vi raccontano il lavoro straordinario che è stato fatto e che non deve essere dimenticato. Nel lavoro che è stato fatto, c’è stata, ad esempio, la scoperta dei nuovi materiali: è stata fatta una gara per cui ogni impresa faceva due scuole: e lì abbiamo avuto sul territorio un catalogo meraviglioso di tecnologie e abbiamo scoperto che ci sono dei nuovi materiali che resistono ad ogni intemperie, che sono facili da montare e coerenti col mondo attorno, il legno. Abbiamo riscoperto il legno, pensate come eravamo lontani, pensate qual è l’emergenza in cui stiamo tutti vivendo: non capire che abbiamo gli strumenti stessi del nostro vivere. E poi siamo ripartiti, sapevamo che dovevamo fare le scuole il prima possibile. Dopo, nel video Manuela vi racconterà in quanto tempo abbiamo fatto le scuole, scuole per una popolazione di 70.000 studenti, di cui 18.000 fuori classe. Fuori classe in tutti e due i sensi: sia fuori scuola che fuoriclasse, perché eccezionali. E abbiamo fatto una cosa in più: sapevamo che dovevamo partire e siamo partiti sotto le tende. Il 17 settembre dell’anno scorso, secondo la tradizione ebraica, era il giorno della ripartenza: se volete, la lotteria della vita ha fatto sì che il giorno che noi avevamo scelto, non sapendolo, perché siamo ignorantini, fosse in realtà il giorno della ripartenza. E siamo ripartiti. Abbiamo visto due cose: in tempo breve avevamo delle scuole molto belle, che si chiamavano temporanee solo perché dovevamo usare degli strumenti straordinari. Ma nel frattempo erano state fatte delle prove, delle sperimentazioni di didattica straordinaria. Guardate che fare la scuola senza la scuola spinge molto l’innovazione: ci vuole più innovazione. La scuola bella di una volta era un corridoio con le classi da una parte, quelle dall’altra e il meglio della scuola era: “non si sente volare una mosca”. No, la scuola non è mica quella lì, adesso: nella scuola, oggi, altro che mosche, volano! Devono volare le ali delle farfalle, cioè i ragazzi devono lavorare assieme, il modo di insegnare è diverso. Grazie alla generosità di tantissime persone, in ogni scuola oggi c’è una lavagna multimediale e c’è anche tutto l’apparato di computer, che ha fatto una sorta di inserimento inverso. Perché i ragazzi sanno usare i computer meglio delle loro maestre, no, ragazzi? Tanto è vero che io andavo in queste classi e la prof. mi diceva: “Guardi che bello, fantastico, stia attento, eh?”. Toc, toc, poi si fermava, chiamava il ragazzino e lui andava lì e faceva toc-toc. Cioè, hai innescato un meccanismo in cui si imparava da una parte e dall’altra, e guardate che imparare a ridere insieme, quando l’insegnante inizia a imparare dal suo studente, è il massimo. E allora, man mano che andavamo avanti, trovavamo questa situazione: c’era stato il terremoto ma riscoprivamo la solidarietà, secondo la solidarietà competente – perché non basta mica essere solidali, bisogna anche saper fare -, la comunità della scuola. Abbiamo aperto un mucchio di scuole, e sono sempre state delle feste di comunità, abbiamo fatto anche gli esami, e man mano che andavamo avanti ci convincevamo che dovevamo lasciare delle testimonianze. Una testimonianza è questo libro, perché si vedono i ragazzi ma si vedono anche le scuole. Guardate che noi possiamo imparare moltissimo da quest’esperienza: noi abbiamo imparato che, con una cifra ragionevole ma con strumenti amministrativi e tecnici assolutamente puntuali, l’idea di rifare il sistema della scuola di questo Paese non è mica una missione impossibile. Dire: “Rifacciamo in sicurezza tutte le scuole di questo Paese” significa rimettere in movimento, da una parte, un gran pezzo di industria, ma anche un’occasione straordinaria per ripensare il ruolo della scuola. Basta, ho finito. La cosa che più mi ha emozionato di questo libro coincide con la parte finale di questo video che voi vedrete. Il video l’ha fatta una giovane regista che si chiama Claudia Tosi. La cosa che più mi ha impressionato è stata questa: che il primo giorno di scuola pensavamo ci fosse un mucchio di buchi tra i banchi. Invece i ragazzi c’erano tutti, e quando abbiamo fatto l’appello, tutti hanno alzato la mano e hanno detto: “Presente”, “presente”. Grazie.

DAVIDE POGGI:
Possiamo partire col video.

“Video”

DAVIDE POGGI:
Nel suo intervento, Patrizio Bianchi ci ha raccontato come mai la Regione abbia deciso di puntare così decisamente sulla ricostruzione delle scuole, considerandola la priorità assoluta per queste zone. Adesso, invece, nel prossimo intervento che sarà fatto a due voci da Manuela Manenti e Benedetto Renzetti, si entrerà più nel merito di come questo intervento è stato realizzato. Qualcosa avete già visto dal video che è appena terminato, ma lascio a loro la parola per illustrarcelo più precisamente.
MANUELA MANENTI:
Nel mio cuore c’è la scuola. In realtà, era il titolo di un incontro che abbiamo avuto a San Felice sul Panaro, al quale ha partecipato anche Patrizio Bianchi, con la popolazione nel nuovo edificio-magazzino comunale. E mi ritrovo in questo titolo, perché anche nel mio cuore c’è la scuola, perché io, ormai, dall’emergenza Abruzzo, e cioè dal 6 aprile del 2009, sono RUP dei Mus degli Est e dei PMS. Non sono cose brutte da dire, eh, sono degli acronimi che vogliono dire che sono Responsabile Unico del Procedimento, cioè quella persona che segue dall’inizio alla fine un procedimento per realizzare un’opera pubblica. Le altre sono le sigle che comunque riguardano la costruzione degli edifici emergenziali in Abruzzo e in Emilia. Diciamo che – riprendendo il titolo “Emergenza uomo” del vostro Meeting, per me da quasi cinque anni è emergenza studente, emergenza bambino, emergenza lattante. Mi sono occupata della realizzazione del convitto nazionale, per esempio a L’Aquila, della ricostruzione del Centro Polifunzionale Universitario, fino ad arrivare agli asili nido, passando per tutte le altre scuole. La scuola prima di tutto: ne hanno parlato sia il Presidente sia il nostro Patrizio Bianchi. È chiaro che noi siamo tutti coscienti della grande importanza che riveste la scuola nel nostro Paese e in qualsiasi altro Paese, industrializzato o meno. Però io sono un ingegnere e mi piace parlare soprattutto del luogo, dell’edificio nel quale i genitori ogni mattina consegnano il bene più prezioso che hanno: i loro figli. Lo consegnano per almeno 200 giorni all’anno e, sempre di più, per la maggior parte della giornata. È il luogo dove anche i più piccolini cominciano a capire cosa sia interfacciarsi non solo con i famigliari ma con la società, e dove i più grandi, poi, fanno il loro cammino di uomini. Non troppo spesso, però, questo edificio è sicuro come dovrebbe: ci ricordiamo tutti che nel 2002 c’è stato il terremoto che ha colpito San Giuliano di Puglia, dove sono morti 27 bambini e un insegnante. Nel 2003 è stata ridisegnata la mappatura sismica del nostro Paese, però sono passati quasi dieci anni dal 2003 e ancora, quando capita un terremoto, vediamo le scuole letteralmente distrutte. Avete osservato anche qui quante scuole sono state distrutte, e avete visto anche qual è il disagio psicologico dei ragazzi senza scuola. Per cui, non è l’edificio ma quello che rappresenta, in realtà. Avete visto le faccette dei più grandi, quasi disperati quando le scuole venivano abbattute? Pensate ai più piccoli. Ed ecco perché, per riprendere familiarità dopo le scosse, riprendere le abitudini, soprattutto dei bambini più piccoli, che hanno bisogno di una quotidianità per capire che il terremoto c’è stato ma che passerà, per noi è stato un diktat dire: la scuola prima di tutto. Se guardiamo quello che è successo in Italia negli ultimi tempi, possiamo vedere che a L’Aquila il sisma ha colpito il cuore di una Regione. È rappresentativa la fotografia del palazzo del Governo caduto, mentre invece qua, giustamente, si parla sempre di collettività: il simbolo è la torre municipale che è caduta, i campanili spuntati che costeggiano le strade. Da una parte, c’è il cuore di una regione, dall’altra, tante piccole comunità che sono state colpite. A L’Aquila sono state danneggiate 27 scuole solo nella città e 31 in tutto l’Abruzzo, per 6mila studenti. Invece vediamo che, dalla cartina dell’Emilia Romagna, in quel triangolo che colpisce le varie province di Modena, Reggio, Ferrara, partendo da Bologna, sono 58 le scuole che sono state ricostruite per 17mila studenti. C’era il concetto “la scuola prima di tutto”, ma era abbastanza difficile cominciare a pensare di ricostruire tutte quelle scuole in così poco tempo. Eppure alla fine ce l’abbiamo fatta, abbiamo realizzato scuole in tre giorni. L’unico problema è che, mentre il terremoto era arrivato a L’Aquila il 6 aprile, qui era stato spostato di ben 50 giorni: e se pensiamo che in 60 giorni si riesce a costruire una scuola, naturalmente questa era un’enormità temporale da coprire. Come ci è riuscita la Regione, il Commissario, tutti quanti noi? Il Commissario, senza preclusioni, ha chiamato a sé quelli che avevano operato nei sismi recenti: Umbria, Marche e chi aveva operato positivamente in Abruzzo. Il 2 giugno mi ha chiamato: abbiamo bisogno di te per fare le scuole. E io, che ero prima consulente della Protezione Civile nazionale, e ho operato là nelle case dei paesi, poi anche nei piccoli edifici religiosi che sono stati costruiti, mi sono portata dietro Benedetto Renzetti. Vedendo i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, mi piace pensare alla canzone di Branduardi che dice “si può fare”. Chi è più vecchio e ha i capelli bianchi come me, sotto la tinta, conosce quella canzone. Ne cito alcuni passi: “Si può fare, si può fare, puoi prendere o lasciare, puoi volere, puoi lottare, fermarti e rinunciare. Puoi cadere, puoi sbagliare e puoi ancora ricominciare”. Ecco, noi abbiamo ricominciato. Chiaramente, all’inizio, siamo dovuti ripartire con la valutazione dello stato del danno, ci sono state squadre di rilevatori che sono andati prontamente a verificare le scuole. I 1041 edifici scolastici sono stati tutti valutati, rivalutati a seguito della seconda scossa, e 570 di questi sono risultati danneggiati dal sisma. Il livello di danneggiamento, naturalmente, era vario: c’erano danneggiamenti che potevano essere riparati con l’apertura dell’anno scolastico e altri che non potevano essere riparati in tempi brevi, e c’erano edifici che dovevano essere completamente ricostruiti perché irreparabilmente danneggiati. I primi interventi che potevano essere ripristinati, fatti nel periodo estivo per permettere poi l’apertura dell’anno scolastico, sono stati demandati – ecco la collettività che si muove – ai Comuni che si sono mossi. I Comuni hanno individuato i progettisti, le imprese e hanno seguito i lavori. Per gli altri, era necessario realizzare dei nuovi edifici perché i ragazzi non avrebbero potuto stare sotto le tende, anche se con grande entusiasmo, e anche gli insegnanti non avrebbero potuto fare lezione. Per cui si è deciso di realizzare ben due tipologie di edifici diversi, di cui poi parleremo. Sta di fatto che comunque bisognava realizzare tutta una serie di interventi propedeutici alla costruzione di questi edifici. Bene, io e Benedetto, con i dati che ci forniva l’Assessorato sui numeri delle scuole, delle classi che mancavano, abbiamo cominciato ad individuare lo spazio che occorreva. Per esempio, questa è una foto di Mirandola prima e dopo gli interventi: c’era un campo che ben presto è stato riempito di edifici. Questo è diventato un polo scolastico che poi si va riempiendo con una palestra, una biblioteca, laboratori specialistici. Di conseguenza, dovevamo individuare le aree e soprattutto pensare di inserire questi edifici in aree pubbliche, perché è chiaro che, se facciamo un intervento di questo genere, è difficile per la popolazione sopportare di vedere occupata un’area privata. E soprattutto, abbiamo cercato di individuare delle zone che nei piani regolatori fossero già adibite a edifici pubblici, zone in cui c’era una parvenza di urbanizzazione, per spendere meno possibile e per riuscire ad allacciare i servizi.
È chiaro che gli interventi propedeutici a questa opera sono stati poi l’occupazione d’urgenza delle aree: quelle che non erano pubbliche sono state espropriate, abbiamo fatto occupazioni d’urgenza velocissime. E poi abbiamo dovuto preparare i capitolati speciali d’appalto: due tipi per i due tipi di edifici, mutuando quello che avevamo avuto per L’Aquila. Nel frattempo, però, erano cambiate le normative, c’era un nuovo regolamento, soprattutto per quanto riguardava il contenimento energetico. Avevamo a disposizione tecnologie diverse, come diceva Patrizio, e abbiamo potuto utilizzare altri materiali. Per l’Abruzzo, infatti, c’era un grande bisogno di abitazioni, per cui le tecnologie erano quelle che potevano essere utilizzate per le normali abilitazioni. Le nostre scuole erano prevalentemente dei MUSP, cioè edifici in carpenteria metallica. Qua potevamo fare come più ci piaceva, potevamo scegliere le tecnologie che poi abbiamo utilizzato: carpenteria metallica, legno, cemento armato prefabbricato e un getto di calcestruzzo tra due pannelli in poliuretano. Tecnologie che davano la possibilità di realizzare molto velocemente le nostre scuole, perché il nostro obiettivo principale era appunto realizzare le scuole nel più breve tempo possibile. Dei prefabbricati modulari scolastici, quelli che servono per sopperire ad una emergenza scolastica temporanea, parlerà Renzetti, perché è la persona che mi è stata vicina a L’Aquila, senza la quale, penso, non sarei riuscita a portare avanti il lavoro, ed è stata anche direttore dei PMS. PMS significa Prefabbricati Modulari Scolastici: Benedetto vi racconterà la loro storia.

BENEDETTO RENZETTI:
Mi presento, sono un funzionario del dipartimento di Protezione Civile nazionale, ho curato la realizzazione dei PMS come direttore dei lavori e responsabile unico del procedimento, perché seguire 58 scuole in 60 giorni è veramente un’impresa difficile. Mi piace ricordare i PMS non come prefabbricati modulari scolastici ma come sinonimo di sicurezza, comfort e, soprattutto, velocità di esecuzione. Fin dai primi giorni, chiusi nella sala riunioni del Commissario delegato alla ricostruzione, Vasco Errani, alla dottoressa Balboni Cristina, che è il Direttore generale dell’Assessorato all’Istruzione della Regione Emilia Romagna, abbiamo cercato di individuare le esigenze reali di quelle che erano le scuole da realizzare. Principalmente, le scuole che potevano essere riparate entro l’anno scolastico 2012-13. Con i dati raccolti dalla Protezione Civile e dall’Assessorato, si sono stimate circa 30 strutture prefabbricate, con un utilizzo di 1700 moduli di dimensioni di 6 x 2.50, con una superficie totale di circa 25mila metri quadrati. Questi dati sono impressionanti, anche perché reperire nel mercato italiano tutti questi moduli nel brevissimo tempo a disposizione era molto difficile. Per questo, il Commissario delegato ha fatto una manifestazione di interesse relativa alle imprese che erano intenzionate a realizzare queste strutture. Vedendo la difficoltà che abbiamo avuto nel reperimento dei materiali che, comunque, in Italia non esistevano, dato che la normativa scolastica antincendio è molto severa, abbiamo concordato con il Comando regionale dei Vigili del Fuoco e il dipartimento dei Vigili del Fuoco del Ministero degli Interni una deroga specifica per quanto riguarda la resistenza delle strutture scolastiche. Queste, normativamente, devono essere R60, cioè devono resistere 60 minuti in caso di incendio. Concordando con il Comando provinciale del dipartimento dei Vigili del Fuoco, abbiamo raggiunto diciamo la deroga dei 30 minuti. Questo non va ad inficiare la sicurezza dei nostri alunni perché, con misure compensative, abbiamo comunque dato la possibilità di evacuare le scuole in 30 minuti anziché in 60, semplicemente facendo realizzare ad ogni aula del piano terra un’uscita supplementare di emergenza mentre, per quelle che erano a due piani, abbiamo comunque obbligato l’impresa a realizzare il doppio delle scale di emergenza. Abbiamo raddoppiato gli strumenti attivi e passivi per quanto riguarda l’antincendio e abbiamo anche obbligato le strutture scolastiche ad utilizzare personale con il livello medio di corso, per quanto riguarda la sicurezza antincendio. Queste strutture sono molto leggere e sono state realizzate su platee e piani di posa di circa 15 cm. di cemento armato, per quelle a un piano; relativamente a quelle a due piani, abbiamo previsto una platea di circa 30 cm di fondazione per far sì che fosse adeguata a resistere ai carichi verticali della struttura stessa. Nelle slide vi faccio vedere anche un po’ di interni che, seppure realizzati in deroga al DM del ’75, hanno comunque mantenuto le classi di 45 mq, cioè conformi al DM. Abbiamo derogato quelli che sono gli spazi connettivi e i servizi, cioè abbiamo considerato un refettorio più piccolo, garantendo comunque al massimo due turni di refezione, e abbiamo fatto dei laboratori leggermente più piccoli, con spazi ben determinati per recuperare superficie inutilizzabile. Tutti questi moduli sono dotati di impianto di riscaldamento a pompa di calore di tipo energetico di classe A, per evitare di fare il classico riscaldamento con una centrale termica che avrebbe comportato tempi sicuramente più lunghi; sono adeguati con le normative sull’abbattimento delle barriere architettoniche, perché comunque la prima cosa da rispettare nella scuola è proprio questa: un bambino portatore di handicap non può essere penalizzato a causa di un evento sismico. Hanno tutti l’impianto dati, laboratori multimediali di ultima generazione. Con alcuni prefabbricati, seppure temporanei, sono stati utilizzati sofisticati sistemi di allarme perché abbiamo ricevuto donazioni di svariate centinaia di migliaia di euro per quanto riguarda mezzi informatici. I tempi di realizzazione di questi moduli variano dai 30 ai 45 giorni: i 30 giorni sono stati obbligatori perché comunque abbiamo dovuto dare la possibilità al cemento di avere la sua naturale maturazione, dopo i 28 giorni, altrimenti potevano essere realizzati in minor tempo. La struttura più grande che abbiamo realizzato come PMS è a Mirandola, circa 3mila mq realizzati in 45 giorni, e ospita 800 studenti. E’ un po’ il fiore all’occhiello dei PMS perché assomiglia molto ad un EST, tant’è che il comune di Mirandola ha chiesto addirittura l’acquisto per poterla utilizzare per progetti futuri. Vado avanti con le slide. Questi sono i moduli in fase di realizzazione. La loro particolarità, relativamente alla velocità di esecuzione, è legata al fatto che, essendo prevalentemente lavorati in stabilimento, vengono abbattuti i tempi di realizzazione in quanto, già nella fase progettuale e di realizzazione della platea, possono essere comunque realizzati in stabilimento sia i moduli sia gli impianti all’interno degli stessi, per poter poi portarli direttamente in cantiere e posarli, conformandoli poi al progetto esecutivo richiesto. Qui ci sono dei moduli che non hanno nulla a che invidiare alle comuni strutture realizzate in cemento armato, perché hanno una confortevolezza interna abbastanza buona. Qui ho messo una foto dove siamo all’inaugurazione del PMS con il sindaco Claudio Broglia, ora senatore. In Emilia abbiamo forse fatto qualcosa che potrebbe dare spunto ad una eventuale collaborazione futura tra Stato centrale e Stato periferico: il dipartimento di Protezione Civile ha messo a disposizione la sua esperienza maturata nel post sisma, specialmente negli ultimi anni, e la Regione Emilia ha messo in campo la propria conoscenza del territorio, per arrivare all’obbiettivo nel minor tempo possibile e cercando di adeguare le risposte al livello locale. Questi sono ancora interni dei prefabbricati modulari scolastici, dove si può vedere che ci sono anche laboratori con macchinari molto pesanti. Questo è il complesso di Mirandola, dove c’è l’edificio bianco e azzurro che ospita circa 800 persone mentre l’altro ospita circa 400 persone. A parte il plauso al prefetto Gabrielli e al Commissario delegato alla ricostruzione Vasco Errani, per la collaborazione fattiva tra amministrazione centrale e periferica, un plauso particolare va all’assessore Bianchi, conosciuto fin dai primi giorni come l’uomo che ha tenuto botta, come si dice a Roma, cioè è stato colui che ha preso per mano gli studenti, la docenza, in un momento in cui vedevamo negli occhi degli studenti e dei professori lo smarrimento totale. Lui è stato la persona che è riuscita a prenderli per mano facendo scuola anche sotto gli alberi, anche sotto i capannoni, dentro gli alberghi, per non far perdere agli alunni la voglia di conoscere il sapere. E’ stata la persona che è riuscita a tenere tutti insieme, studenti, docenti e noi tecnici, perché per noi era difficile colloquiare con i dirigenti scolastici. E poi c’é stato il deus ex machina, conosciuta a L’Aquila come dobermann, qui in Emilia come l’ingegnere di ferro, quella che è riuscita a tenere a bada tutti i dirigenti scolastici. E’ riuscita a non fare modificare neanche una scuola: sto parlando dell’ingegnere Manuela Manenti, perché sapevamo benissimo che una qualsiasi modifica avrebbe comportato tempi più lunghi per la realizzazione e il 17 di settembre, comunque, dovevano riprendere le lezioni. Io sento spesso parlare di miracolo Emilia: beh, posso dire che non è un miracolo ma semplicemente l’impegno, la volontà, la voglia di fare di uomini e donne, di quest’Italia, per il futuro dei nostri giovani. Grazie.

MANUELA MANENTI:
Dopo questo intermezzo, ricomincio a parlare degli edifici scolastici temporanei. Devo ringraziare Benedetto per le belle parole perché al prossimo sisma, se ci richiamano, richiamo anche lui, sperando che non ce ne sia un altro. Gli edifici scolastici temporanei sono quegli edifici realizzati per sopperire agli edifici che sono stati danneggiati irreparabilmente dal sisma. E allora perché quella parola “temporaneo” che ha fatto tanta confusione? Ci è servita per avere delle procedure accelerate a livello europeo. Noi abbiamo fatto una procedura ad evidenza europea, quel “temporaneo” ci permette di pubblicare il bando in soli quindici giorni, per avere le famose occupazioni d’urgenza dei terreni privati, altrimenti tutte le procedure per un vero e proprio esproprio avrebbero occupato degli anni. Ci è servito anche per poter dare tempo ai Comuni di pensare che cosa volessero fare di questi nuovi edifici, temporaneamente usati per la scuola. Ma in realtà, di temporaneo, come avete visto, non hanno niente, anzi. Prima di tutto, facendo il famoso bando di gara europeo, abbiamo imposto regole ben precise: è vero che le ditte potevano offrire la loro tecnologia, però noi abbiamo dettato le regole, prima di tutto la sicurezza sismica. È chiaro che tutti diranno: “Beh, vorrei vedere, in caso di sisma”. Però, come diceva Benedetto, noi abbiamo fatto una classe di resistenza sismica maggiore, di conseguenza queste sono scuole che possono essere usate anche in caso di calamità per gli scopi della Protezione Civile, possono ricevere persone e istituzioni nel caso di danneggiamento di altri edifici. Chiaramente, poi, sull’esperienza del centro polifunzionale universitario nel quale avevamo sperimentato un edificio emergenziale, però con classe energetica A, abbiamo voluto che le nostre imprese, nelle loro offerte, inserissero anche quel contenimento energetico di tipo A. Un’altra cosa anche qui ovvia, ma non presente in tutte le nostre scuola, è il famoso CP, cioè il certificato di prevenzione incendi, che mi sembra ci sia nel 10% delle nostre scuole. Tra i vari punteggi, veniva premiata anche la gradevolezza architettonica: le nostre scuole non saranno degli esempi di grande architettura perché qualcuna è più spartana, ma si è cimentato anche l’architetto Cucinella e moltissimi progettisti hanno realizzato belle opere che rimarranno sicuramente sul territorio. Sta di fatto che i nostri EST sono 28: proprio per dare voce a tutta la collettività, abbiamo realizzato sia la piccola scuola della frazione Pilastri di Bondeno per 43 bambini, spendendo meno di 300mila euro, sia il grande istituto Galilei che invece era di circa 4 milioni di euro, per una superficie di 4mila e duecento mq. Per la piccola scuola di Bondeno si dovevano fare calcestruzzi comunque buoni che potessero ricevere le strutture già da subito, a pochi giorni dal getto. Le nostre scuole sono molto performanti, anche dal punto di vista energetico: hanno i pannelli fotovoltaici, per esempio, e ci troviamo ad avere un risparmio. Anzi, i Comuni ai quali sono stati volturati gli impianti si sono trovati ad avere un risparmio: mi diceva il sindaco del comune di Concordia che equivale a 20 mila euro per la stagione scolastica. Voi capite che se ogni Comune potesse avere un risparmio di questa portata per ogni edificio scolastico realizzato, naturalmente parecchi bilanci comunali avrebbero un ristoro notevole. Come diceva Benedetto, abbiamo dovuto applicare delle deroghe sugli spazi rispetto alla normativa del ’75, che dà spazi per ogni alunno dedicati alla didattica, ai corridoi, ai servizi, ecc. Le nostre scuole sono effettivamente un po’ più piccole, in particolare abbiamo applicato deroghe alla legge regionale che riguarda gli spazi per l’infanzia. Come bando, avevamo imposto semplicemente delle esigenze: tot studenti, tot aule, tot numero di uffici o di laboratori. Per una ragione di tempo, perché se avessimo fatto scuole grandi come voleva il Decreto ministeriale, non saremmo riusciti a completare le opere in tempo. E anche per un concetto di collettività: il Sindaco deve poter decidere cosa farne poi, e se avesse deciso di non farci delle scuole, avremmo avuto edifici sovradimensionati, che non sarebbero serviti alla collettività e che avrebbero occupato uno spazio utile invece alla ricostruzione. Un capitolo a parte sono le varianti. È vero che mi sono guadagnata il titolo di “ingegnere di ferro”, perché in alcune turbolenti assemblee i dirigenti scolastici con i professori avrebbero voluto vedere le planimetrie delle scuole per apportare piccole modifiche. Ma è chiaro che, in un bando come il nostro in cui il progettista e l’impresa realizzavano e offrivano un’opera, qualsiasi variante avrebbe comportato una dilatazione dei tempi di realizzazione. Anche la modifica di una porta o di un interruttore significa la riprogettazione completa dell’impianto elettrico: per cui, mi sono guadagnata questo appellativo di “ingegnere di ferro”, che però non è vero, perché l’ingegnere di ferro ha un cuore di panna, in certe occasioni. Quali? Quando ci hanno chiesto delle varianti per i nostri ragazzi speciali: per loro sono state ampliate le aule, realizzati servizi igienici appositi e tutto quello che occorreva. È chiaro che c’è stata una piccola dilatazione dei tempi, però posso dire che le nostre imprese sono state brave, perché hanno capito e hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo. I nostri ragazzi speciali si devono sentire normali almeno quando sono a scuola, e i loro genitori non devono chiedere ma ottenere: anche le ditte lo hanno capito e hanno realizzato in tempi contenuti le varianti, di conseguenza la scuola è stata aperta nei tempi previsti. Io dico sempre che è vero, abbiamo fatto le aule piccole, ma avevamo il nostro piano B. Nell’emergenza, mi hanno insegnato a dire: “Pensa svelto, agisci svelto, costruisciti comunque un piano B”, e noi l’avevamo in mente. Una volta consegnate le scuole, una volta che i dirigenti scolastici, gli alunni e i genitori hanno preso possesso delle scuole, ecco che si è capito quali erano le loro vere esigenze, ne hanno parlato con i Sindaci, hanno deciso se abbandonare queste scuole ad altri usi e di conseguenza avere un EST, cioè un edificio scolastico temporaneo, oppure se doveva diventare una vera e propria scuola. Diciassette Sindaci ci hanno chiesto di far diventare il loro EST un edificio scolastico, togliendo l’aggettivo temporaneo. Ed ecco che noi abbiamo fatto scuola su come si fa scuola, su come le nostre scuole sono state realizzate: pezzi che si aggiungono man mano, come dei Lego, pareti leggere che si possano anche demolire senza recare danno alla struttura, perché in realtà l’insonorizzazione avviene con pacchetti insonorizzanti e non con una muratura da 30, 40 cm. Le nostre scuole si possono ampliare, possono crescere a seconda delle esigenze. Abbiamo diciassette di questi edifici in cui i Comuni ci hanno chiesto di apportare modifiche: in alcuni casi si tratta di realizzare un laboratorio demolendo una parete divisoria dove ci sono due aule, in altri, invece, dove il territorio ha chiesto numerose aule in più anche per l’emigrazione, gli spostamenti delle popolazioni, abbiamo realizzato degli ampliamenti. Poi stiamo realizzando 24 palestre, strutture non solo adibite per le scuole ma per tutta la collettività. Le nostre palestre saranno omologate CONI, per cui anche in questo caso riusciamo a realizzare qualcosa che non viene buttato via ma viene utilizzato da tutti. Si è lavorato tutti insieme, una collettività che lavora insieme, fatta da genitori e operai. Queste sono le inaugurazioni, si vede la grande partecipazione di tutta la collettività, la gioia di vederci tutti insieme, finalmente, con una scuola. Questo che vedete è il centro, il polo scolastico di Mirandola che si sta pian piano riempiendo. Capite che anche il Comune ha dovuto fare uno sforzo notevole: tutte le opere di urbanizzazione, le varie rotonde, gli allacci da portare perché qua ci sono mille studenti, là tre o quattrocento. Lo sforzo è stato fatto dai Comuni, dalla collettività, da tutti. Chi è che ha fatto tutto questo? Le nostre ditte italiane, i nostri tecnici, i nostri operai che sono riusciti a non dormire la notte, i nostri progettisti che hanno lavorato ininterrottamente, perché anche loro hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, si sono fidati. Questo signore si chiama Ciro ed è un operaio della Consta, ha finito il suo lavoro, lo faccio sempre vedere perché bisogna dare anche a loro visibilità, tante volte ci si scorda del grande lavoro che si è fatto. Abbiamo fatto 65mila euro al giorno di produzione, perché le scuole fatte in 60 giorni, con circa 4 milioni di euro, danno quella produzione. Se pensiamo a un’autostrada, è ovvia, se pensiamo ad un cantiere puntuale come una scuola è miracoloso. E fa questa produzione? Sempre loro, i nostri operai, che non si sono fatti male perché li abbiamo controllati, con orgoglio possiamo dire che nei nostri edifici non ci sono stati incidenti sul lavoro. Ed ecco i sorrisi di questi ragazzini che dicono: “Presente”, che ci abbracciano felici per quello che è stato fatto. Ora vorrei ritornare invece proprio alla fine, quello che si è fatto è davanti agli occhi di tutti. Però ho sentito ad una trasmissione il 6 agosto la ministra Carrozza che diceva che aveva stanziato 450 milioni per l’edilizia scolastica: beh, è una bella cifra. Ha parlato anche con note di plauso di quello che abbiamo fatto in Emilia. Mi auguro che questo simbolo che ci siamo inventati io e Benedetto – un giorno nella palestra della Guardia di Finanza per fare circolare i transiti speciali che lavoravano – non debba più essere utilizzato perché le nostre scuola dovrebbero essere costruite bene. Vi faccio un piccolo inciso sulla storia di questo simbolo. Generalmente, la scuola ha un segnale stradale triangolare: generalmente è la bambina che tiene in mano il bimbetto. Invece questo è un simbolo circolare, i simboli circolari nel nostro codice della strada sono obbligatorietà. Qui volevamo dimostrare che lo Stato – ecco la bandiera¬ ¬- è obbligato a proteggere i nostri bambini e casualmente è il bambino che, in questo caso, protegge la bambina. Spero che i bambini di oggi crescano con questo concetto di difendere le loro compagne per attraversare la strada. Mi piacerebbe proprio che non si dovesse più tremare, noi genitori, quando trema il nostro Paese. Grazie.

DAVIDE POGGI:
L’ultimo intervento è di Emanuele Orsini. Cito il titolo del Meeting, Emergenza uomo, e il comunicato con cui è stato presentato: “L’emergere dell’umano è possibile ovunque nel mondo, ieri come oggi, perché esistono uomini che hanno trovato un punto di forza nella scintilla del proprio desiderio riaccesa da un incontro, da un fatto, da una circostanza attraversata”. Il terremoto è un po’ emerso dal video, dai dialoghi che abbiamo sentito prima e da tante storie che non ho il tempo di citare: sono raccolte in questo libro che è disponibile alla libreria del Meeting e dicono di persone veramente provocate, cambiate da questa circostanza, famiglie che si ritrovano perché hanno perso la casa o ragazzi che raccontano di aver vissuto, pur non essendo potuti andare in vacanza e avendo perso tutto, l’estate più bella della loro vita. E si parla di imprenditori che, pur presi dalle loro cose, si mettono a disposizione di quella comunità di cui si è parlato e si fanno carico di un progetto che adesso Emanuele ci racconterà. Se nell’ultimo intervento abbiamo sentito come sono state realizzate tante opere, tante scuole, come le istituzioni sono intervenute per far fronte all’emergenza, questo è stato possibile anche perché c’è stato un tessuto sociale che lo ha permesso. La storia che racconta Emanuele è un esempio di questo genere. Prego.

EMANUELE ORSINI:
Beh, innanzitutto grazie a Davide e al Meeting di avermi invitato qui per raccontarvi della bellissima esperienza avuta nella ricostruzione dell’asilo Sacro Cuore di Finale Emilia. Mi ricollego a quello che ha detto prima l’assessore Bianchi, che è un diritto per i bambini potere andare in una scuola, in un asilo sicuro e trascorrere i loro momenti in modo sereno, anche dopo aver perso i simboli più importanti. Consideriamo che la maggior parte dei bambini che hanno vissuto il terremoto hanno perso la casa, hanno perso i luoghi dove giocare, gli oratori, i luoghi di culto, hanno perso a volte i genitori, il lavoro. Ridare loro una normalità, una serenità di partenza, era secondo me lo spirito di tutto quello che abbiamo condiviso. Vorrei farvi vedere alcune slide su come si presentava l’asilo subito dopo il terremoto. Era un asilo all’interno della città di Finale Emilia, dentro un palazzo storico. Logicamente è stato giudicato inagibile perché, come vedete, non aveva più strutture idonee per ospitare i bambini. Faccio un passo indietro per dire cosa mi ha motivato e reso promotore di questo progetto. Io abito a circa 50 km dall’epicentro del terremoto e ho tre figli che hanno vissuto molto più lievemente l’accaduto, perché fortunatamente non abbiamo avuto problemi. Però erano consapevoli di quello che stava accadendo: io non osavo pensare a quello che poteva succedere ai bambini di Finale Emilia o della zona del terremoto, come potessero vivere dopo avere perso le cose più importanti. Quindi ho chiamato subito gli amici della Federlegno, il Presidente Roberto Snaidero, il Direttore Generale Giovanni De Ponti e ho fatto loro una proposta indecente. Ho detto: “Abbiamo la necessità di costruire un simbolo per le comunità dei paesi terremotati”. Ci hanno pensato due secondi, hanno fatto due telefonate e mi hanno detto di sì, dandomi il budget per costruire un asilo di due o tre sezioni. Allora pensavamo effettivamente che potesse essere sufficiente. Da lì sono partite le prime mail, ci siamo attivati e siamo partiti dal progetto: sette studi di progettazione hanno donato il progetto esecutivo e siamo partiti. Ho chiamato l’ex Presidente dell’assemblea legislativa, Matteo Richetti, che subito mi ha dirottato su Finale Emilia, sul sindaco Fernando Ferioli. Lui non ha esitato un secondo: “Uno dei punti della comunità più colpiti del nostro territorio è stato l’asilo parrocchiale”, e mi ha fatto incontrare don Roberto, una gatta da pelare in questi sette mesi, ah, è lì in fondo. Mi ha fatto tribolare, nel senso che mi sono presentato a lui, eravamo sotto un albero, me lo ricordo ancora. Mi guarda un po’ come san Tommaso, titubante, e dice: “Ma questi sono pazzi, ci vogliono regalare un asilo, non ci credo”. Quando vede che abbiamo già i progetti esecutivi, commenta: “C’è un problema, fermati: abbiamo bisogno di otto sezioni”. Lo guardo e rispondo: “Non ce la possiamo fare, non ci riusciamo”. Due tecnici presenti mi dicono: “Facciamo un asilo modulare: lo pensiamo in base al budget che siamo riusciti a raccogliere”. E questo ci ha un po’ sbloccato la situazione, siamo partiti. Se devo dire la verità, per otto, dieci giorni non ho dormito. Mi dicevo: “Qua facciamo veramente un buco, donare e non pagare è veramente la cosa più brutta”. Ma poi siamo riusciti a realizzare un asilo che può ospitare 240 bambini, sei sezioni di materne e due di nido: don Roberto non si è fatto mancare niente perché abbiamo dovuto fargli la cucina, ogni momento venivano fuori un sacco di sorprese ma alla fine non potevamo fare altro. L’asilo oggi si presenta così, abbastanza irregolare, un atrio circa di 350 mq, a destra la cucina e le sezioni: non abbiamo pensato a un asilo temporaneo ma abbiamo fatto un asilo già pensato secondo le norme regionali proprio perché doveva rimanere, doveva essere un simbolo duraturo. È stato fatto secondo tutti i canoni, con la struttura portante in legno, classe A, energeticamente un A+, quindi antisismico. Abbiamo potuto realizzare quest’opera, per Federlegno, in primis, perché ha creduto nel progetto e quella mattina mi hanno risposto sì, poi grazie all’Assemblea Legislativa, qui sono presenti la regione Emilia-Romagna, il Veneto, il Trentino Alto Adige. Visto che siamo qui, non possiamo fare a meno di ringraziare anche Compagnia delle Opere: senza il suo grande supporto, non saremmo riusciti a finire l’asilo perché ci ha dato anche un grande contributo nella costruzione. Ma oltre agli sponsor, come li chiamo io, una parte importante sono le oltre 75 imprese che hanno partecipato alla costruzione, che hanno donato il materiale al prezzo di costo e il loro know how in modo gratuito. Senza di loro non saremmo riusciti perché ognuna di queste aziende che ha partecipato ha messo una parte facendo in modo che diventasse davvero l’asilo di tutti. Io adesso vi farei vedere quattro immagini che mi sono molto care. Qui stavamo tracciando i muri, ero con don Roberto, un genitore mi si è avvicinato e mi ha dato dei soldi, dicendo: “Guardate, io so che state facendo un asilo, so che lo donate alla comunità”. Ci ha dato una assegno da versare sul conto corrente della parrocchia: “Anche io sono in un momento di difficoltà ma preferisco donare i soldi perché l’asilo venga finito piuttosto che spenderli in cose che magari non sono necessarie”. Questa cosa ci ha toccato, ha alzato forse in tutti noi l’asticella della responsabilità: a quel punto, l’asilo dovevamo finirlo per forza. In quel momento eravamo a circa metà del contributo raccolto, perché alla fine l’asilo è di mila metri, quindi abbastanza importante. Queste sono due pareti che rappresentano molto: non è stato un appalto pubblico, non c’era un ente che dava in appalto il lavoro a qualcuno. Abbiamo messo insieme nove aziende concorrenti che costruivano strutture in legno e ognuna ha messo un pezzo. Abbiamo messo insieme nove aziende che per vent’anni non si sono mai parlate. Abbiamo usato questo diabolico strumento chiamato dropbox, mettendo dentro, alla luce del sole, le spese, le liste, le fatture perché doveva essere tutto tracciabile. Abbiamo inserito tutti i file di produzione di ogni azienda, perché è logico che chi veniva prima doveva dare la possibilità di collegarsi a quello dopo. Forse abbiamo creato la più grande rete di impresa nel mondo del legno: un’esperienza positiva perché, oltre alla rete, ha creato anche grandi, nuovi amici, tanto che poi abbiamo pensato che forse fare reti di imprese non era poi così difficile. Come diceva la dottoressa Manenti, buttare il cuore al di là dell’ostacolo a volte è difficile quando si parte ma poi effettivamente si vede che sono cose possibili. Non c’era un direttore, un responsabile di cantiere che stesse lì fisso, quindi chi veniva doveva in ogni modo avere il suo pezzettino e la responsabilità, cosa che all’interno di un cantiere non ho mai visto fare. Ma è andato su come un Lego, in sette mesi lo abbiamo costruito e forse potevamo fare di meglio, anche in cinque. Però, come fai ad arrabbiarti con uno che ti regala la roba e dirgli che è in ritardo? Abbiamo voluto dare tre messaggi secondo me molto importanti: primo, fare vedere un progetto concreto, con il tetto finito; secondo, eravamo senza soldi, quindi dovevamo fare vedere il progetto per raccoglierne tanti, perché è vero che i contributi di Federlegno sono stati importantissimi, però è logico che fossimo ancora a metà del guado; terza cosa, volevamo far vedere a questi bambini, fargli vivere, la loro scuola, condividere con loro l’emozione di poter toccare la scuola che stava crescendo. E arrivo all’immagine che riassume un po’ tutto: scuola d’infanzia “Sacro Cuore”. Vedete questo logo? E’ formato da centinaia di tessere, è un’idea di don Roberto, perché bisogna dare l’onore a chi ha l’onore: sono le micro fototessere di chi ha lavorato all’interno dell’asilo perché questo significa che la scuola era di tutti, cioè la ripartenza della normalità. E questa forse è la foto che raggruppa un po’ tutto il pensiero del “Sacro Cuore”. Ecco, qui siamo tornati alla normalità, faccio vedere due foto veloci: questo è l’atrio, questa è la zona dove fanno didattica. L’inaugurazione è stata lunga, non ci poteva più sopportare nessuno, abbiamo premiato le oltre cento aziende che hanno partecipato, dovevamo dare un segno a tutti perché senza di loro non ce l’avremmo fatta. È stato un bellissimo giorno, un momento di comunità perché 240 bambini vogliono dire 600 genitori e nonni, 1000 persone: una cosa che colpisce e mette insieme tutti. Qui arrivo veramente alla fine, vedete la scuola, che prima era bella e pulita ed ora è bella e scarabocchiata -tutto è tornato proprio alla normalità – ma con dei bei colori. Una frase che può riassumere quello che è l’asilo “Sacro Cuore” potrebbe essere questa: “Un cuore è una ricchezza che non si vende e non si compra ma si dona”. Grazie mille.

DAVIDE POGGI:
Grazie a Emanuele Orsini. Solo un’ultima battuta: Patrizio Bianchi.

PATRIZIO BIANCHI:
Una battuta molto rapida, tutto questo noi l’abbiamo messo insieme anche in un libro, se lo volete è qui. Una battuta sola, partendo dalle ultime parole che hai detto tu adesso: le parole hanno un senso, ricordare vuol dire letteralmente rimettere sul cuore. Allora è necessario, in questo momento, per il nostro paese, ricordare, cioè rimettere la scuola sul cuore, perché un paese cresce solo se ha una scuola che viene amata. E questo, nel momento più drammatico che abbiamo vissuto, è stato il segno della storia che vi abbiamo raccontato. E’ anche quello che vogliamo consegnare a tutto il Paese, ricordare e rimettere nuovamente le scuole nel cuore. Grazie.

DAVIDE POGGI:
Io ringrazio tutti i relatori. Anche noi abbiamo voluto fermare nella memoria i fatti accaduti attraverso questo libro che si intitola: Se anche la terra trema. Nella prefazione, Bernhard Scholz, che è il Presidente della Compagnia delle Opere, dice una cosa che tra l’altro è particolarmente attuale, perché è semplice fare un’analogia tra la crisi che il nostro Paese sta vivendo e ciò che è successo col terremoto. Ma quello che è emerso, in particolare nell’ultima testimonianza di Emanuele Orsini, dice che questa gratuità per cui ci si mette l’uno accanto all’altro è l’urgenza più grande che abbiamo: la costruzione di luoghi dove le persone possano incontrarsi, confrontarsi, aiutarsi a costruire, sostenendosi reciprocamente nella fedeltà ai propri desideri più veri. Noi infatti non desideriamo vivere per il profitto né per il potere, nemmeno solo per noi stessi: se siamo fedeli a questa nostra esigenza originale, iniziamo a costruire una realtà diversa, poco per volta ma con la soddisfazione di tornare a casa certi di avere fatto qualcosa di bello, utile e significativo, per noi stessi e per il mondo. Grazie a tutti e buon proseguimento.
Trascrizione non rivista dai relatori

Data

19 Agosto 2013

Ora

15:00

Edizione

2013

Luogo

Sala Tiglio A6
Categoria
Focus