I CRISTIANI SULLA PUBBLICA PIAZZA: DAL VIAGGIO DI BENEDETTO XVI UN NUOVO UMANESIMO NEL REGNO UNITO

I cristiani sulla pubblica piazza: dal viaggio di Benedetto XVI un nuovo umanesimo nel Regno Unito

21/08/2011 - ore 15.00_x000D_ Partecipano: Austen Ivereigh, Coordinator of the Catholic Voices; John Milbank, Professor in Religion, Politics and Ethics at the University of Nottingham; Adrian Pabst, Lecturer in Politics and Religion at the University of Kent in Canterbury. Introduce John Waters, Columnist of The Irish Times.

Partecipano: Austen Ivereigh, Coordinator of the Catholic Voices; John Milbank, Professor in Religion, Politics and Ethics at the University of Nottingham; Adrian Pabst, Lecturer in Politics and Religion at the University of Kent in Canterbury. Introduce John Waters, Columnist of The Irish Times.

 

JOHN WATERS:
Buon pomeriggio e benvenuti a questa conferenza che speriamo sia interessante. Abbiamo tre oratori molto bravi con cui parlare della visita dell’anno scorso del Pontefice nel Regno Unito: il significato di questa visita del Papa per il Regno Unito e per tutta l’Europa in generale è un nuovo umanesimo. Credo che, come essere umani, come persone, sia importante considerare queste cose come incontri innanzitutto per noi stessi. Per me, questo incontro è stato molto interessante: partendo dall’Irlanda per gli Stati Uniti, ho visto l’arrivo del Papa nel Regno Unito e, in un certo senso, ho provato pena per lui, solidarietà, perché prima di iniziare, l’evento era stato segnato da proteste, commenti molto forti. Ho pensato: forse il Papa non è benvenuto nel Regno Unito. Poi sono stato assente per alcuni giorni. Quando sono ritornato, ho trovato un paesaggio, un ambiente completamente diverso. Era successo un evento, qualcosa di significativo. Ed è di questo evento che vogliamo parlare oggi, della possibilità che un evento cambi tutto, il significato stesso della storia, davanti ai nostri occhi.
Il viaggio di questo Papa è stato un po’ così: pensate a un uomo che, dovunque vada, deve lottare contro i pregiudizi, l’ignoranza, i cui interventi non vengono compresi, che è spesso considerato come reazionario, come un uomo che cerca di limitare la libertà delle persone, ecc. Uno dei problemi, è che questo Papa, per far passare il suo messaggio, deve parlare anche ai suoi nemici tramite megafono. Per comunicare, dipende da tante persone che gli sono ostili. Quindi, dobbiamo ascoltare attentamente, leggere tra le righe quello che succede al di sotto, più in profondità delle parole, ascoltare quest’uomo che parla e ha parlato di qualcosa che non sentiamo spesso, il rapporto tra fede e laicità, un rapporto positivo tra queste due forze, laiche e religiose, nei nostri giorni.
Mi è sembrato adeguato che la visita nel Regno Unito abbia avuto un grande valore simbolico, per particolari motivi. Un Papa che arrivava al centro della modernità, al centro del protestantesimo, della laicità, del secolarismo. Ma soprattutto al centro del mondo anglofono, al centro della lingua inglese nel mondo. Una lingua, quella inglese, che ha tantissimi scrittori meravigliosi, che ha contribuito moltissimo alla letteratura globale e che però ha anche, al suo interno, la capacità di creare – è già successo – un nuovo ragionamento nei nostri tempi, un ragionamento molto polarizzato, molto in bianco e nero. Di questo, ha dovuto occuparsi il Papa.
Mi è quindi parso particolarmente appropriato, di grande valore simbolico, che questa visita abbia avuto luogo nel Regno Unito. Oggi siamo qui con tre importanti ospiti del Regno Unito, di altissimo livello, che ci parleranno di questa esperienza, della visita del Pontefice nel loro Paese, ma ci diranno anche il significato che questa visita può avere avuto per tutto il mondo. Il primo ospite è Austen Ivereigh, giornalista cattolico, coordinatore di Catholic Voices, che è stata creata proprio per portare avanti la discussione prima e dopo la visita del Papa. Scrive per il Guardian, è corrispondente in Europa di importanti riviste americane. Il suo ultimo libro è Faitful City. Prego, ha facoltà.

AUSTEN IVEREIGH:
Buongiorno, mi piacerebbe continuare in italiano, ma è meglio se continuo in inglese, grazie molte. Se credessi nell’astrologia – dopo tutto, i saggi ci credevano – andrei a vedere nei cieli i segni di un riallineamento planetario. Sembriamo vivere una serie di crisi nel Regno Unito, crisi che mettono in questione le comode certezze del progetto liberal. Eventi che sembrano tutto fuorché sotto controllo: coloro che dovrebbero essere responsabili, non hanno il potere di esserlo. Una serie di scandali, soprattutto, ha rivelato un fallimento istituzionale diffuso. Gli scandali delle banche del 2008, lo scandalo delle spese parlamentari del 2009, lo scandalo del giornalismo negli ultimi mesi, con la pirateria telefonica a News International, ecco, tutti questi eventi hanno segnalato una cultura di avidità, di egocentrismo, di narcisismo che ha minato la dignità delle istituzioni. Però, l’evento più violento è stato soprattutto l’esplodere all’inizio del mese, nelle strade britanniche, di gravi disordini che sono andati avanti per quattro notti: migliaia di giovani hanno dato fuoco ai quartieri, saccheggiato negozi. L’elemento più scioccante è stato che la maggior parte dei saccheggiatori non erano criminali e in molti casi nemmeno poveri: erano stati allettati dal magnetismo del guadagno facile, dalla prospettiva di avere qualche cosa senza far nulla. Il profondo distacco dei giovani dalla società, dal concetto di comunità, di diritti, di responsabilità, è molto inquietante. Però non possiamo ricorrere al capro espiatorio di un sottoproletariato selvaggio, una serie di criminali che si distaccano da una società altrimenti coerente, perché le stesse tendenze selvagge sono state mostrate dai banchieri, dai politici e dai giornalisti. Il primo Ministro britannico Cameron, ha fatto una descrizione precisa di questo fallimento sociale. In uno dei Paesi di maggior successo nel mondo, parla di una Broken Britain, una Gran Bretagna rotta, termine che ha usato molto prima di essere eletto. In un discorso recente, ha menzionato i problemi conseguenti all’ irresponsabilità e all’egoismo: comportarsi come se le proprio azioni non avessero conseguenze, bambini senza padri, scuole senza disciplina, ricompense senza sforzi, crimini impuniti, diritti senza responsabilità, comunità senza controllo. Alcuni degli aspetti peggiori della natura umana sono stati tollerati e assecondati da uno Stato e dalle sue istituzioni. I disordini, ha detto Cameron, sono un campanello d’allarme per quello che lui chiama il collasso morale. I problemi sociali che si sono acuiti per decenni, sono esplosi davanti a noi: e ha elencato i modi in cui il Governo vuole rispondere, per esempio un servizio civile per i ragazzi dai sedici anni, riforme del sistema dell’istruzione per evitare problemi a scuola, misure repressive contro le bande, rafforzamento della sicurezza sociale, eccetera.
Tutto questo fa parte di quello che lui chiama una battaglia sociale che non riguarda soltanto una riforma del modo in cui lo Stato agisce sulla società, ma anche una forma di incoraggiamento per quello che Cameron chiama la Big Society: comunità più forti, famiglie più forti, una maggiore responsabilità sociale, una forte leadership civile. Queste idee sembrano esservi molto familiari, perché la persona che ha promosso questa visione presso il Primo Ministro, Philip Blond, qui al Meeting, l’anno scorso, ha detto che le sue idee erano maturate proprio nella sua presenza, ripetutasi negli anni, a Rimini. Dopo aver parlato qui l’anno scorso, io ho scritto che non credo che tanti britannici sappiano che proprio la politica principe del loro Governo ha origine in un Meeting che si tiene annualmente tra i cattolici in questa località marina.
Non ci sono dubbi che queste idee siano valide e possano anche aiutare, anche se, come hanno detto i critici – so che John Loebeck è stato molto eloquente in questo senso – molti tagli del bilancio, che riducono le opportunità per i giovani, mandano in realtà il messaggio opposto. Però, l’idea della Big Society, cioè di una società civile rigorosa, costituita da istituzioni forti di grande valore, è un concetto molto più completo dell’idea del Big Citizen neoliberale. E non è soltanto nel Governo, che troviamo questa idea: sia a sinistra che a destra, ci sono nuove idee che danno priorità all’esperienza sociale piuttosto che al mercato e allo Stato. Tutte riconoscono che il capitale sociale è un fattore prevalentemente religioso e il ritiro delle Chiese dalla cultura dominante è uno tra i fattori principali della crisi corrente. La questione, però, è che questo ripensamento si possa verificare su una scala che renda possibili i cambiamenti necessari: considerate il pericolo per le famiglie che dipendono sempre più dai benefici statali. Il tasso dei divorzi, il numero delle famiglie disfunzionali hanno raggiunto livelli record.
Quali sono le soluzioni disponibili per i 600mila giovani sotto i 25 anni che, in Gran Bretagna, non hanno lavorato nemmeno una giornata nella loro vita, persone che sono fuori dai meccanismi dello scambio sociale ed economico? Come società, siamo capaci di agire in maniera da fare la differenza? Ne è capace lo Stato? E se lo fosse, dovrebbe farlo? Abbiamo abbastanza scopi condivisi che trascendono gli interessi? Allora, per molto tempo il liberalismo britannico si è dimostrato capace di reagire e riconciliare i diversi interessi: però il rispetto dell’autonomia, pietra angolare di tale filosofia, non è in grado di soddisfare la sfida completamente diversa di questa nuova era, che è essenzialmente culturale. La cultura da cui dipendono politica, economia e società, si dimostra deficitaria, carente.
Il progetto liberal ha raggiunto i propri limiti, non riesce a generare le virtù ed i valori necessari a una democrazia, un’economia, salubri. Il mercato non può essere lasciato a se stesso: uno Stato in continua espansione può soltanto creare più problemi di quelli che si propone di risolvere. Le risorse morali per risolvere la crisi non possono venire solo dal mercato o dallo Stato. Il mercato è un meccanismo per mettere insieme acquirenti e venditori, non può definire il bene umano. La democrazia è un sistema per risolvere i disaccordi, non una fonte di moralità autosufficiente. E la società non può funzionare se è dedicata sopratutto alla coltivazione del desiderio individuale. Il progresso, definito come espansione di opportunità infinite per l’esercizio dell’autonomia personale, si rivela insufficiente. Il progetto liberal, come si è visto, è stato anche un po’ parassitario per quanto riguarda certe virtù necessarie alla società – la sobrietà, la frugalità, la moderazione – che le ambizioni hanno involontariamente minato. La questione, allora, è come creare un nuovo tipo di cultura, una cultura capace di instillare valori e virtù, un senso di scopo condiviso ed un concetto condiviso di quello che noi cattolici chiamiamo il “bene comune”. La cultura ha bisogno di un esame secondo criteri etici che non sono di sua produzione. Questi criteri devono essere razionali e sistematici, tanto quanto la scienza economica o politica. Devono basarsi su un esame filosofico coerente, che possa dare risposta ai quesiti relativi alla motivazione dell’uomo, al suo destino. Rispondere a questi quesiti è sempre stato compito delle tradizioni delle principali fedi, cosa riconosciuta anche nell’economia politica moderna.
Fino ad oggi, al giorno in cui, in piena crisi del progetto liberal, è arrivata la visita del Papa. La visita aveva un motto: la fede non è un problema da risolvere ma un dono di cui fare tesoro. La visita è stata una sfida all’ideologia del secolarismo e dell’individualismo liberal, è servita a ricordare che le libertà britanniche sono state sostenute dalla tradizione cristiana, è stata un appello affinché cultura e fede entrino in un dialogo profondo. Nella prima messa a Glasgow, Papa Benedetto ha fatto appello ai cattolici, affinché assumessero la loro posizione sulla pubblica piazza, non solo dicendo di essere pubblico esempio di fede. Ha detto: sappiate anche farvi avvocati, nella sfera pubblica, della promozione della sapienza e della visione del mondo che derivano dalla fede. La società odierna necessita di voci chiare che propongano il nostro diritto a vivere, non in un giungla di libertà autodistruttive ed arbitrarie, ma in una società che lavora per il vero benessere dei suoi cittadini, offendo loro guida e protezione di fronte alla debolezza e fragilità. Non abbiate paura a dedicarvi a questo servizio in favore dei vostri fratelli e sorelle, del futuro della vostra amata nazione – ha detto.
Queste parole sono state particolarmente importanti per me e per il progetto che volevo avviare in occasione della visita del Papa, cioè il Catholic Voices. La nostra idea era formare cattolici validi e giovani, per presentare negli studi televisivi e radiofonici il punto di vista della Chiesa in maniera concisa, sintetica e irrefutabile. Il training ha coinvolto naturalmente una formazione per le competenze che necessitano i media, e briefing sui problemi nevralgici che comportano possibili contrasti tra la Chiesa e la società. Il successo del progetto è stato tale che ci sono state molte imitazioni: in Spagna, per esempio, questa settimana tre gruppi hanno utilizzato i nostri metodi di formazione per preparare la visita del Papa. Ho delle brochure, se volete avere più informazioni riguardo a questo progetto.
Quello che abbiamo sviluppato a livello di Catholic Voices, è stato un approccio, un metodo per sostenere la causa della Chiesa. Si trattava di imparare un nuovo linguaggio pubblico, più adeguato ai media e alla piazza, un linguaggio universale accessibile. Ci sono voluti mesi per tradurre i principi della nostra fede in modalità che si rapportassero alle esigenze e ai desideri del momento attuale, arricchiti dalla Dottrina Sociale della Chiesa e dalla dottrina della libertà religiosa, esposta da Papa Benedetto nel gennaio di quest’anno. Uno dei frutti di tutto questo è stato un libro pubblicato questa settimana, dal titolo Catholic Voices: putting the case for the Church in an era of 24-hour news. Un altro testo verrà tra breve pubblicato a Roma: è diretto ai comunicatori della Chiesa che magari vogliano fare qualcosa di simile. La mia intuizione, nel creare Catholic Voices, era che tutto questo potesse fare parte di qualcosa di più grande: e dalla vista del Papa, il quadro si è allargato, nel senso che dal prossimo mese inaugureremo un’accademia, la Catholic Voices, che mirerà a sviluppare questo nuovo linguaggio pubblico. Noi lo chiamiamo umanesimo spirituale, un’espressione che immediatamente riporta alla memoria l’umanesimo cristiano oppure quello integrale di Jacques Maritain, che tanto ha influenzato la creazione della democrazia cristiana post bellica.
L’ispirazione diretta di questo nuovo umanesimo è stato il discorso di Papa Benedetto al Parlamento e alle autorità civili, che ha rappresentato il cuore della sua visita di quattro giorni. Sono stato fortunato ad essere invitato: è un ricordo di cui farò sempre tesoro. La cosa più interessante è accaduta prima del suo arrivo. È giunto insolitamente in ritardo, aveva 40 minuti di ritardo, e in quei 40 minuti è cambiato qualcosa in Gran Bretagna. I membri del Governo, dell’opposizione, i principali vescovi anglicani, i membri della Camera dei Lord, insomma, tutto l’establishment politico britannico, se ne stava lì, ad attendere pazientemente il successore di Pietro che sarebbe arrivato. In quel momento ho pensato che il mito della nazione protestante se ne era andato, era morto. Con una voce garbata ma chiara, il Papa ha detto che c’era un dialogo tra fede e politica: il mio collega Adrian vi riferirà di questo molto più nel dettaglio. Ma qui vorrei mostrarvi quali sono state le sue parole. Ha detto questo: “La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi. Questo ruolo “correttivo” della religione nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre bene accolto, in parte poiché delle forme distorte di religione, come il settarismo e il fondamentalismo, possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali. E, a loro volta, queste distorsioni della religione emergono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione. È un processo che funziona nel doppio senso. Senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana. Fu questo uso distorto della ragione, in fin dei conti, che diede origine al commercio degli schiavi e poi a molti altri mali sociali, non da ultimo le ideologie totalitarie del ventesimo secolo. Per questo vorrei suggerire che il mondo della ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà”.
Alla base di questo discorso, c’era la chiusura delle 13 agenzie cattoliche di adozione, dopo la decisione dell’ultimo Governo di escluderle per il loro rifiuto delle norme sull’orientamento sessuale. Questo evento è stato, nel 2007, un punto di svolta decisiva nella storia dei rapporti tra Chiesa e Stato, fede e vita pubblica nel Regno Unito. Significava che i vescovi non potevano più basarsi sulla tradizione religiosa britannica per proteggere i diritti della fede. Ha evidenziato una certa sordità da parte del Parlamento, sintomo di una secolarizzazione più ampia, una sordità rispetto alle priorità, alle necessità della fede. Come ha detto il Papa, si sono mostrati segni preoccupanti dell’incapacità di tenere nel giusto conto, non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica.
Questo ci ha fatto capire che i cattolici dovevano imparare a farsi avvocati della libertà di religione, dovevano imparare ad argomentare nel linguaggio della sfera pubblica. Questa consapevolezza è alla base di quello che stiamo cercando di fare con la Catholic Voices Academy, che vuole prendere sul serio il discorso fatto dal Papa al Parlamento, mettendo nuovamente i cattolici insieme, con incontri regolari e dibattiti, coinvolgendoli per quanto riguarda le problematiche più urgenti. Così potremo sviluppare un umanesimo per il XXI secolo, come ha fatto Maritain nel suo tempo: un umanesimo aperto alla saggezza della fede, un umanesimo che cerca lì le risposte più profonde. Non è il tentativo di sviluppare un’ideologia, ancor meno un movimento politico. La professoressa Vera Negri Zamagni, moglie di Stefano Zamagni, uno degli autori principali della Caritas in Veritate, ha recentemente sostenuto che i cattolici europei, per troppo tempo, si sono concentrati sulla sopravvivenza dei partiti democratico cristiani e i loro processi politici, piuttosto che non sulla promozione dei valori cristiani. Notando che l’applicazione della Dottrina Sociale della Chiesa deve essere ripensata da capo, la professoressa dice che i cattolici devono sviluppare idee comuni e formare una massa critica, creando dei forum all’interno e all’esterno, trasversalmente ai partiti, esercitando pressioni sulla politica dall’interno della società civile.
Pensiamo che l’Accademia possa essere un primo passo in questa direzione, tra i tanti passi che verranno intrapresi con la creazione di un forum dove cattolici di diverse tendenze possano unirsi con lo scopo condiviso di sviluppare idee comuni, tratte dalla Dottrina Sociale della Chiesa e dal magistero papale. È un luogo dove proponiamo di incontrarci da ottobre, per verificare come la Chiesa possa aiutare a rattoppare questa Gran Bretagna ormai frantumata. Grazie.

JOHN WATERS:
Grazie, veramente, per averci spiegato questioni così importanti. Avete già capito la portata della discussione, le implicazioni e l’importanza di questo evento che è stato messo in moto dal Santo Padre. A questo punto, devo dire che tutti e tre gli oratori di oggi hanno detto di essere disponibili a rispondere alle domande del pubblico, non so bene come funzionerà dal punto di vista tecnico, non so se abbiamo un microfono a gelato. Comunque, se alla fine volete fare delle domande, vi alzate in piedi, fate la domanda e i tre oratori cercheranno di darvi una risposta. Adesso andiamo avanti col prossimo oratore, John Milbank, professore di Religione, Politica ed Etica all’università di Nottingham, nel Regno Unito. In precedenza ha insegnato all’università di Lancaster, in Virginia. E’ uno dei fondatori del movimento Radical Orthodoxy, ha sostenuto e documentato che la ferita della società moderna sta nella separazione tra ragione e fede, per cui si rifiuta una visione unitaria della verità, sostenendo invece un irriducibile dualismo. Prego, facoltà a John Milbank.

JOHN MILBANK:
Grazie per avermi invitato a Rimini ancora una volta. Le mie osservazioni andranno ad aggiungersi a quanto è già stato detto dal collega Austen. E vorrei però cogliere l’opportunità per dire che se la visita del Pontefice nel Regno Unito è stato un grande successo, questo è dovuto in larga misura agli sforzi di Austen stesso, lo dobbiamo in grande parte a lui. Si potrebbe dire che la visita del Pontefice nel Regno Unito sia stata un incontro tra due realtà arcaiche. Ovviamente, il papato è sempre esistito, fin dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente. La Costituzione britannica si è evoluta con una continuità che è rintracciabile nel tempo, fin dalla Gran Bretagna anglosassone, prima della conquista normanna. Durante la sua visita, il Pontefice, esplicitamente, intenzionalmente, ha attirato l’attenzione sulle origine latine, cattoliche del costituzionalismo britannico e dello Stato di diritto, che in una certa misura hanno posto un esempio per il resto del mondo, nella sfera politica, beninteso. Credo che sia importante per tutti noi ricordare che la regola, tramite assenso e consenso popolare, e lo Stato di diritto, sono due fattori dalle origini molto antiche, che risalgono al Medioevo e anche a prima. Ci sbaglieremmo se supponessimo che tutto quello che c’è di buono e di pregiato nella sfera politica derivasse dalla rivoluzione americana o francese. Non è così! Al contrario, gli ideali della democrazia e dello Stato di diritto derivano anche dal retaggio britannico, scandinavo, svizzero e, ovviamente, anche dalle repubbliche italiane. Il problema della rivoluzione francese, in una certa misura, fu nel fatto che si trattava di una rivolta della volontà, sia dell’individuo che della massa, e che portò immediatamente al Terrore. E quelli che hanno imitato la rivoluzione francese, hanno avuto inevitabilmente la tendenza a spunti terroristici.
Invece, l’idea rivoluzionaria della libertà intesa come libertà di scelta è cosa che può portare pericolosamente all’anarchia. L’idea dell’eguaglianza nella rivoluzione francese è troppo astratta. Non prende in considerazione i diversi fabbisogni delle persone e i diversi contributi che ogni persona può dare, propone una fratellanza impossibile, senza Dio e senza Gesù Cristo. Nel caso invece della rivoluzione americana, possiamo guardare alle cose successe nelle ultime settimane, da cui si vede che un’organizzazione basata sulla divisione dei poteri, per riuscire a compensare o a mettere d’accordo interessi primariamente economici, finisce inevitabilmente in una situazione di stallo politico. E ciò va contrastato con il costituzionalismo a lungo termine di stampo europeo, che riesce ancora a oggi a sopravvivere nel Regno Unito, in Gran Bretagna.
Tutto ciò è basato sul riconoscimento che esiste un bene che trascende tutto, un bene superiore. In altre parole, sul fatto che Dio esiste. C’è quindi la possibilità del riconoscimento di un bene comune oggettivo, un modo di vivere che vada aldilà della semplice espressione della singola volontà. Sulla base di questo, si va ad incoraggiare una costituzione di tipo misto, che comprenda almeno tre elementi. Prima di tutto, la democrazia. Serve ovviamente il consenso delle persone, perché la dignità personale non può mai essere forzata.
Però, per utilizzare una parola che Giussani amava, quali cose si possono proporre alle persone? Le cose che vengono proposte alle persone sono prodotte da gente come Rupert Murdoch oppure da politici che sono poco più che piccoli giornalisti? Adesso non faccio nomi ma forse avete già capito a chi faccio riferimento. Oppure, le proposte vanno invece avanzate dai veri uomini, uomini di saggezza, di virtù e di grandi qualità? Questo è però un fattore aristocratico, nel vero senso della parola. E’ il ruolo vitale dell’istruzione, dell’educazione dentro la politica, riconosciuto già da Platone e da Aristotele e ripreso nella visione di Giussani. E poi, ancora, serve l’elemento monarchico, inteso in senso lato – come leadership, come guida – e il senso di qualcosa di obiettivo che, ovviamente, è al di sotto dello Stato di diritto, che lo rispetta ma che evidenzia anche la necessità di decisioni personali prese nel nome della giustizia, soprattutto in tempi di crisi. In teoria, il Regno Unito continua ad avere una Costituzione di questo tipo, basata sul riconoscimento del cristianesimo: è in questo modo che vengono nominati anche i nostri sovrani. Abbiamo la House of Lords, che in teoria deve difendere questa necessità di considerare l’eccellenza, il giudizio, la saggezza, e non semplicemente le necessità delle persone singole. Abbiamo la House of Commons, l’altra camera del Parlamento, che deve essere espressione orgogliosa della volontà delle persone.
Il Papa ha suggerito che tutto questo è destinato a tramontare, a meno che non venga riportato in un contesto classico, alle sue radici cristiane. Era stato il cardinale Newman, John Henry Newman, che per primo aveva fatto questo appello. Aveva insistito sull’importanza di questa connessione tra il mondo anglosassone e il mondo latino. C’era quindi un aspetto culturale, oltre che politico. Newman aveva visto che l’Inghilterra protestante era diventata una cultura molto letteraria, molto teorica, ossessionata dalla parola. Ora, la parola è la gloria della Gran Bretagna, dell’Irlanda, un concetto che affonda le proprie radici in tempi molto antichi. Newman pensava invece che, se si separa la parola dall’immagine, dal rituale, dalla musica, dalla danza, allora certe èlite culturali finiscono per separarsi dalla cultura popolare, cui invece partecipa la gente, le persone.
Il risultato di questo aver trascurato la cultura popolare è che adesso è in corso un dibattito al proposito, proprio in Gran Bretagna, dove abbiamo un problema evidente con la cultura popolare. Forse la cultura britannic, come aveva proposto John Waters, è troppo razionale, troppo legata ad un linguaggio univoco.
Vorrei citare il poeta francese Charles Péguy, e quindi il capitalismo moderno che lui amava, che è poi l’opera degli intellettuali. Perché Péguy avrebbe detto una cosa così strana? Quello che lui intendeva dire è che il capitalismo pensa in termini di tempo lineare, pensa nei termini di un incessante accumulo di risparmi. Ma – come diceva Péguy – nessuno riuscirà poi a spendere tutti questi risparmi, perché sono pensati per un futuro che, forse, non arriverà mai. Péguy sosteneva che nel capitalismo ci si dimentica che siamo ancora animali, dopo tutto, siamo ancora fatti di carne ed ossa. Non viviamo nell’era del progresso: secondo lui, questa è solo un’illusione. Viviamo invece nell’epoca della crescita e dell’invecchiamento, del tramonto, del lasciare spazio ai nostri figli, del lasciare spazio alle generazioni future. Nella modernità, diceva Péguy, cerchiamo di sostituire il giudizio finale, quello di Dio, dei santi, di tutte le generazioni, con il giudizio della storia, con il giudizio del futuro. I capitalisti non riusciranno mai a spendere i loro risparmi, per cui anche il giudizio del futuro forse non arriverà mai, perché ogni generazione finirà sempre con il condannare la generazione precedente.
Invece dobbiamo ricordare che ogni generazione si trova nella stessa situazione. Siamo nati, dovremo per forza morire, e viviamo ovviamente nel presente, però davanti al Paradiso: il cielo ci guarda. E comunque, Péguy, che era sempre molto contorto ma anche sottile e profondo, non era per niente semplicistico quando dice e nota che non si può, alla fine, sottrarsi al destino, al fato: il fato comunque ti rincorrerà nei posti più imprevedibili, finirà con l’inseguirti sempre, fino nei tempi moderni. E quindi, questa speranza nel futuro, questa speranza che i nostri figli potranno ancora essere felici, anche se noi magari non lo siamo stati, è un recupero della dimensione escatologica del cristianesimo. Anche la rivoluzione francese, anche quella tradizione rivoluzionaria aveva sbagliato a cercare la giustizia divina sulla terra. Occorre una visione più completa del cristianesimo, un approccio forse più ebraico, più biblico: e Péguy è stato poi il grande difensore di Dreyfus, l’ebreo perseguitato. Vede il mondo che verrà, e soprattutto il Paradiso che verrà, come una stessa cosa. Nei tempi moderni, i grandi profeti cattolici come Jacques Maritain, quando parlavano di umanesimo integrale, lo intendevano in questo senso: lavorare, impegnarsi per un futuro migliore, senza dimenticare l’eguale dignità di ogni singola persona, sempre considerando il cielo, il Paradiso. Dobbiamo lavorare tutti, impegnarci per migliorare il futuro, senza mai dimenticare che tutto segue questa ritmicità del nascere e del morire. Le cose raggiungono un loro culmine, un apice, e poi inevitabilmente appassiscono e tramontano, come sempre, come tutto. Io penso che il Papa ci abbia rivolto un invito, ci abbia richiamato all’importanza di questo umanesimo integrale. Ci ha ricordato che la ragione deve avere alla sua base una forte fede nel futuro e anche nel reame celeste, nel cielo: e le due cose sono perfettamente coerenti se tutti facciamo uno sforzo affinché ci sia significato, un senso, anche se in realtà il significato non sta nella ragione.
Adesso però cambio argomento. Un anno dopo la visita del Pontefice, vediamo una nuova alba, un nuovo inizio in Gran Bretagna? Forse, sotto sotto, forse dietro le quinte, forse di nascosto, però, sicuramente, a prima vista è il contrario: abbiamo visto i tumulti violenti dell’ultima generazione, in questi giorni. Io interpreto questi tumulti come proteste dei liberali contro i liberali stessi. Austen Ivereigh ha assolutamente ragione, nella diagnosi che ha fatto. Siamo tutti sprofondati in questo mondo assolutamente finto del consumismo, della realtà virtuale. Siamo dominati da una propaganda corrotta, da questi legami segreti tra politici, giornalisti, e anche agenti di polizia. Siamo entrati in un patto diabolico con Satana, che non sul bene pubblico è basato ma sull’avidità personale. Abbiamo seguito un’impostazione capitalista che finisce sempre con il secolarizzare, laicizzare tutto ciò che è sacro. I luoghi sacri, la natura sacra vengono snaturati, diventano un bene che può essere mercificato, venduto, comprato. Anche le persone sono diventate beni di consumo, che possono essere vendute, trattate come merce di scambio. E al contempo, il capitalismo si lava le mani, come aveva fatto Ponzio Pilato, dei prodotti di scarto dei suoi profitti. E dice, il capitalismo: questo fiume è tutto mio, appartiene a me. Però non tutti i detriti e gli scarti che finiscono nel fiume sono miei. Questi non entrano nel calcolo finale. Purtroppo, è il meccanismo ecologico del sistema di mercato così come funziona oggi
E la stessa cosa avviene per le persone, che vengono trattate così, spostate in giro per il mondo. I flussi migratori vengono gestiti in questo modo, manipolati. Le persone vengono messe le une contro le altre, si cerca sempre di pagare il meno possibile salari sempre più bassi per il lavoro. E’ lo sfruttamento: da persone trattate come reietti, si generano sempre di più classi deboli, emarginate. E questi tumulti, questi disordini, sono stati la manifestazione di tutti quelli che non hanno più niente, gli analfabeti, i poveri, tutti coloro le cui aspirazioni sono sempre, inevitabilmente, frustrate.
Quindi possiamo dire senz’altro, alla luce di questi eventi, che in Gran Bretagna c’è una crisi morale. Al contempo, la Gran Bretagna non funziona bene neanche dal punto di vista economico. Come Paese, siamo indebitati: debito pubblico e debito privato. Abbiamo un’economia molto squilibrata, soprattutto sul fronte finanziario. E improvvisamente noi tutti ci poniamo una domanda che dice: se siamo immorali, forse falliremo anche in termini materiali, più concreti. Ci chiediamo improvvisamente se essere più morali e più etici forse sarebbe un’idea migliore. Alla luce di questa nuova constatazione, di questo convincimento, la risposta ai tumulti inglesi, come per altro aveva più o meno accennato inizialmente David Cameron, non è punire le persone al punto da rischiare di violare lo Stato di diritto, che sappiamo invece essere il grande vanto della Gran Bretagna. E nemmeno può essere, come dice una parte della sinistra, dare più soldi dove ci sono sacche di povertà. Il principe Carlo si è dimostrato forse più saggio, ha dato prova di maggior saggezza quando ha detto che lui riusciva a comprendere perché le persone con poco da fare nella vita si fossero aggiunte alle schiere di rivoltosi nelle strade. Ha detto che potevano unirsi magari alle sue schiere, una cosa forse più costruttiva, che poteva portare loro del positivo e anche più soldi. Comunque, dietro i tumulti e le sommosse ci sono tutti i problemi dell’immigrazione, lo sfruttamento della forza lavoro, i salari sempre più bassi, anche per i britannici autoctoni, il crollo della famiglia tradizionale, anche a causa di politiche statali di wellfare sbagliate. Vediamo il crollo totale dell’amministrazione locale, vediamo la carenza di autodisciplina in molti settori, soprattutto vediamo l’insuccesso completo e totale ad educare ed istruire le persone, insegnare loro ad avere più speranza.
L’arcivescovo di Canterbury ha trascorso la sera prima del suo discorso alla House of Lords, mangiando una cena italiana in una zona non lontana da Oxford. Questo cibo era stato cucinato da Pier De Simone, un membro del movimento. L’Arcivescovo ha parlato con me e con mia figlia Arabella, gli abbiamo spiegato le parole di don Luigi Giussani. E’ stato colpito dal fatto che Giussani avesse avuto un padre socialista e una madre cattolica. E ha detto, il Cardinale: “proprio la combinazione giusta”. Poi, quando abbiamo intonato le canzoni napoletane, ha detto: “Sembra quasi il Galles, forse con un po’ meno nebbia”. La baia di Swansea è molto simile al golfo di Napoli. Comunque, non è stato un caso che poi, il giorno successivo, alla House of Lords, lui si sia concentrato soprattutto, nel suo discorso, sull’educazione, sulla pubblica istruzione. Ha detto che soprattutto i poveri hanno bisogno di un’educazione solida, completa, un’istruzione che metta insieme conoscenza con etica, valori intellettuali con emozioni, immaginazione e creatività, che si prenda il rischio di offrire una visione globale, integrale, per guidare questi poveri ragazzi verso il futuro, in avanti.
A parte il ruolo centrale dell’istruzione, possiamo vedere che forse la risposta ai mali britannici, a questi problemi, non sta tanto in uno stato impersonale, che è appunto il mercato capitalista, impersonale sotto mentite spoglie. Invece, dobbiamo tornare all’insegnamento cattolico, ad un ruolo più importante per la società, al ruolo di tutti gli organismi che stanno sotto il livello statale ma che sono comunque fondamentali, gli enti corporativi, che devono tornare ad altre cose, oltre che a fare soldi e profitti, anche se spesso sono diventati aziende. Serve un’economia civile, come ci hanno insegnato i grandi pensatori. Parlavo degli enti corporativi, che combinano al loro interno un ruolo di guida, di leadership, di orientamento all’educazione con il consenso popolare, spontaneo della gente. A differenza di Jacques Maritain, uno dei grandi pensatori sociali, Luigi Sturzo e von Hildebrand, il più grande oppositore cattolico di Hitler, non hanno mai abbandonato il corporativismo cattolico, anche se era stato distorto e presentato male da fascisti e nazisti. Avevano cercato di produrre una visione genuina, spontanea del corporativismo, che non fosse statale e non mettesse, per così dire, una mano di vernice disonesta su questa relazione economica di stampo capitalista. In poche parole, ho cercato di dire che soprattutto oggi, nel Regno Unito, abbiamo un vuoto laico, un vuoto secolare. I cristiani sono in minoranza, però solamente i cristiani in questo momento hanno la visione giusta, che può trasformare e rinnovare la Gran Bretagna, in questo processo per ripristinare l’Europa nel suo ruolo di faro del mondo.

JOHN WATERS:
Grazie a John Milbank per questa straordinaria e veramente comprensiva disamina del problema, per la proposta di soluzioni molto concrete. L’ultimo relatore di oggi, che esplorerà ulteriormente la questione nel contesto europeo, è Adrian Pabst, che insegna a Canterbury. Ha studiato economia alla Peterhouse di Cambridge, ha conseguito il Master in studi europei alla London School of Economics, ha studiato e lavorato a Parigi e a Cambridge. Dal 2006 al 2009 ha insegnato all’università di Nottingham: ora è docente di Politica all’università del Kent e Visiting Professor presso l’Istitute de Politique di Lile, in Francia.

ADRIAN PABST:
Grazie, John, per queste generose parole d’introduzione, e grazie a tutti voi per essere venuti a questo incontro. E’ veramente un grande piacere per me ritornare a Rimini e parlare della visita del Papa, l’anno scorso in Gran Bretagna. Siete stati molto pazienti, sono sicuro che avete tante domande da porre, quindi cercherò di essere breve e non leggerò tutte le pagine che ho preparato. Nelle mie osservazioni, però, cercherò di correlarmi a quello che hanno detto i miei colleghi Austen e John, per esaminare quali siano state le ripercussioni in Europa. Naturalmente, ogni Paese europeo, ogni località, ogni regione ha le proprie tradizioni, i propri problemi. Però mi sembra che oggi siamo davanti ad una crisi che può essere definita paneuropea. È una crisi che ha tanti sintomi, si tratti di indebitamento pubblico o privato, di crollo finanziario, di corruzione politica, di un fermo di tutta l’economia oppure di dissoluzione di norme sociali, di alterazione e rottura dei codici morali. In diversi modi, possiamo assistere a questi problemi in tutta Europa, dal Nord al Sud, dall’Est all’Ovest. Davanti a questa crisi paneuropea, che naturalmente si amplia per raggiungere anche gli Stati Uniti d’America che, dopotutto, fanno parte dell’Ovest, fanno parte di una civiltà europea allargata, papa Benedetto, e anche i patriarchi di Mosca e di Canterbury, hanno ripetutamente offerto una critica e anche un’alternativa. Una critica del laicismo e del fondamentalismo religioso, ma anche un’alternativa che io, in qualche modo, descriverei come una democrazia cristiana popolare. Questa democrazia cristiana popolare è diversa da quella post bellica, perché non si basa su partiti politici, su istituzioni e nemmeno sulla politica formale: è qualcosa, piuttosto, che deriva dalla società civile, dalle istituzioni della società civile, per esempio, le università, le associazioni professionali, gli ospedali, le scuole locali e, molto importanti, le chiese cristiane. La cosa interessante è che la democrazia cristiana popolare già sta trasformando l’Europa, sta cambiando le idee che abbiamo in Europa sul futuro della cristianità.
Io vorrei in particolare focalizzarmi sul contributo di papa Benedetto nei confronti di questo revival della democrazia cristiana e popolare. Menzionerò tre aspetti: prima di tutto, la fede e la ragione; in secondo luogo, una difesa cristiana della democrazia. Poi parlerò del fatto che la democrazia cristiana popolare si basa sulla società civile: credo che Luigi Sturzo abbia espresso questo concetto in maniera eccellente all’inizio del XX° secolo. Comincerei col rapporto tra fede e ragione. Col discorso controverso di Regensburg, nel 2006, papa Benedetto si è ripetutamente concentrato sull’interazione cruciale tra fede e ragione: entrambe si correggono e si potenziano vicendevolmente. Senza il contributo reciproco, entrambi i principi, la fede e la ragione, possono essere distorti e strumentalizzati, messi al servizio dell’egoismo o del potere assoluto. Come dice il papa, in uno dei suoi interventi in una visita in Gran Bretagna, le distorsioni della religione emergono quando non viene data sufficiente attenzione al ruolo purificatore, strutturante della ragione all’interno della religione. In altre parole: se abbiamo una fede senza ragione, essenzialmente si va in direzione del fondamentalismo religioso, fede cieca, non mediata da nulla. Però questo non significa che la ragione di per sé sia il principio supremo, anzi: senza il correttivo della religione, anche la ragione può finire preda di distorsioni, come avviene quando è manipolata dall’ideologia o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana. In altre parole, quello che ci dice papa Benedetto è questo: la razionalità agisce come organo di controllo che vincola, il credo alla conoscenza, e allo stesso modo, per analogia, la fede può salvare la ragione dall’essere manipolata dall’ideologia o da qualsiasi resoconto semplicistico della realtà. Senza l’interazione tra fede e ragione, abbiamo delle distorsioni, degli aspetti patologici, sia nella ragione che nella fede. Vediamo l’estremismo religioso in diverse religioni mondiali, inclusa anche, tristemente, la cristianità, ma anche nell’estremismo secolare, laico, nelle ideologie totalitarie del XX° secolo o in forme estreme di liberalismo economico-sociale.
Ed è proprio la crisi del liberalismo laico che offre l’opportunità di presentare un’alternativa. Papa Benedetto ha parlato positivamente di fede e ragione, dicendo che la fede può rafforzare la fiducia nella capacità umana di ragionamento e comprensione. Anche la razionalità secolare può aiutare il credo religioso a spiegare le proprie asserzioni, a dar loro senso, a offrire una certa coerenza alle nostre intuizioni. Quindi, ragione e fede possono assistersi vicendevolmente nella ricerca di obiettivi, principi oggettivi e norme: e sono queste norme che determinano il nostro comportamento personale ma anche il nostro agire politico. Quello che in ultima analisi correla la fede alla ragione, è l’impegno condiviso nei confronti degli standard universali di verità, anche se non sono mai pienamente conosciuti e sono sempre profondamente contestati in questa nostra vita.
È cruciale però vedere questa questione di ragione e fede non soltanto in termini scientifici, in termini di istruzione, ma in senso lato, come qualcosa che dev’essere al cuore della politica, dell’economia e della società. La questione è che, appunto, come è stato diagnosticato da papa Benedetto, i modelli dominanti della democrazia e del capitalismo sono entrambi indifferenti ai fondamenti etici comuni, alle questioni della verità. Perché? Perché la democrazia opera ampiamente sulla base dell’opinione di maggioranza e delle preferenze di massa, la volontà dell’ individuo e la volontà delle masse, come già diceva John Milbank. E proprio perché la democrazia lavora su questa idea di opinione e preferenza, può manipolare il pubblico e sfruttare le paure popolari. Ad esempio, quando David Cameron parla di “tolleranza zero”, effettivamente si rivolge all’opinione di alcuni – alcuni di destra -, non cerca di esprimere la verità e non cerca di avviare un percorso di riconciliazione e di coesione sociale. Allo stesso modo, il capitalismo è completamente indifferente nei confronti della verità e della moralità. E riduce tutto quanto a delle commodity, a dei beni. Non soltanto: anche le relazioni sociali, le relazioni umane interpersonali, anche la natura, tutto diventa una commodity, qualcosa che può essere scambiato sul mercato, semplicemente. E’ ciò che è stato definito “la mercificazione della vita e della terra”. Non soltanto del lavoro, quindi: questa definizione è stata data da un socialista cristiano, non da un marxista. Pertanto, non ci deve sorprendere che nel capitalismo del mercato libero abbiamo a che fare con una politica pedagogica e un’economia di espropriazione.
È lì che papa Benedetto ci propone una difesa religiosa della democrazia e anche dell’economia di mercato: e lo fa contro il liberalismo di sinistra e contro il conservatorismo di destra. Sostiene che sia l’economia che la democrazia abbiano bisogno della religione, della fede, per servire le esigenze universali e i bisogni, i desideri dell’uomo. Qui voglio citare il suo discorso al Parlamento, già menzionato da Austen. Dice: “Il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi”. In altre parole, la fede e la religione sono indispensabili per la piazza pubblica. Ma qui penso si possa correlare quelle che sono state le affermazioni di papa Benedetto con un nuovo ripensamento della laicità. Naturalmente, ha ragione papa Benedetto quando dice che non ci si deve coinvolgere a livello clericale nella formulazione di politiche economiche oppure di nuove misure per il welfare. Di fatto, è il ruolo dei laici cristiani coinvolgersi in tutti gli aspetti della vita, in tutti gli aspetti della società: e lo devono fare, sempre, tenendo strettamente legate sia fede che ragione.
Questo pensiero sulla nuova laicità è stato sviluppato dal card. Scola, che sottolinea sempre l’importanza della vocazione, l’importanza dei diversi doni carismatici, esercitati dai movimenti laici o nelle professioni. Ed è lì che emerge tutto il discorso dell’educazione, anche in Giussani, e il pensiero della laicità a quel punto si ricongiunge a questo. È una questione di vocazione, che in ultima analisi è sempre un dono di Dio: dono divino, soprannaturale. E questo è anche correlato a una nuova visione della secolarità, del laicismo. Papa Benedetto, e anche il patriarca di Canterbury e quello di Mosca, non fanno appello a una nuova teocrazia, non stanno dicendo che in qualche modo l’autorità religiosa deve essere superiore a qualsiasi altra, però non accettano nemmeno quella composizione secondo cui la Chiesa deve essere subordinata completamente allo Stato. Pensiamo alla Francia dopo la rivoluzione, dove il nuovo Stato aveva abolito, non soltanto la monarchia e, forse, non soltanto l’abuso clericale del potere. Di fatto, aveva abolito tutti i monasteri e aveva soggiogato la Chiesa al potere e al controllo politico. La cosa interessante, però, è che papa Benedetto, e anche le sue controparti, sia a Canterbury che a Mosca, rifiutano anche il modello americano, dove la Chiesa fondamentalmente equivale al mercato, o la società civile equivale al mercato, e praticamente la Chiesa compete per avere delle nuove anime sul mercato. Ecco quindi il discorso delle megachiese, che fondamentalmente cercano di guadagnare per poter far comprare alla gente la propria salvezza. Sia i modelli americani che i francesi sono più complessi di tutto quello che sto esprimendo adesso, però, se vogliamo, in un certo qual modo la chiesa cattolica e la chiesa anglicana stanno cercando una terza, se non quarta, via, dove la Chiesa non sia soggiogata allo Stato o al mercato, non equivalga alla società civile, ma sia alla base della società civile, la sostenga, sia la forza che le dà autonomia e libertà, affinché ciascun essere umano possa svilupparsi e fiorire secondo i propri talenti naturali. A questo punto, vorrei di nuovo parlare della democrazia cristiana popolare, che può emergere da questa società civile sostenuta dalla Chiesa. Credo che siamo proprio ad un punto di svolta critico, dove le ideologie dominanti del XIX° e XX° secolo sono crollate, senza che nulla le sostituisse. La dottrina sociale della Chiesa, e le tradizioni della chiesa anglicana e ortodossa, hanno un potenziale non ancora realizzato: offrire una nuova politica e un nuovo assetto economico. A mio parere, la visione democratico-cristiana di Luigi Sturzo ci dà delle risorse cruciali, sia a livello intellettuale che pratico. Questo per ripensare le cose, per rinnovarsi, per riuscire ad estendere e rinnovare la democrazia cristiana popolare. Naturalmente, Sturzo si basava sul nuovo corpo di dottrine sociali della Chiesa dopo l’enciclica Rerum Novarum del 1891. Però, già all’inizio del XX° secolo, cioè nel momento in cui scriveva, era un visionario, una persona incredibile che sosteneva l’esigenza di una terza via, molto prima di Bill Clinton, molto prima di Tony Blair, e anche molto prima di chiunque altro abbia cercato di perseguire una terza via. La sua terza via si situava tra il capitalismo dell’SFR (?), che è un po’ imparentato col neoliberalismo, che ha fallito in maniera spettacolare, e il comunismo di Stato con pianificazione centrale dell’Unione Sovietica.
Vorrei condividere alcuni pensieri di Sturzo, relativamente a come il cristianesimo possa opporsi a queste due opzioni e proporne una terza alternativa. Prima di tutto, ha criticato l’ordine capitalistico liberale, soprattutto la variante anglosassone del capitalismo liberal. Ha criticato i segreti monopoli e le speculazioni capitalistiche a spese della comunità: è una citazione del lavoro di Sturzo, pensate a quanto siano state veramente mirate. In tutto il mondo, il capitalismo non è libera concorrenza, si tratta sempre di cartelli, di monopoli. Pensate a Rupert Murdoch e all’enorme concentrazione di potere che ha accumulato negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e anche in Australia. Tristemente, in tutta Europa ci sono esempi di altri uomini d’affari che hanno accumulato poteri simili. E questi esseri si sono dedicati alla politica, per proteggere il loro potere monopolistico, oppure sono vicini ai leader politici. Vale in Francia, in Italia e in altri Paesi: non credo di aver bisogno di menzionare i nomi qui. Però, la cosa interessante di Sturzo è che non attacca soltanto il capitalismo ma si oppone anche al sistema del comunismo di Stato. In ultima analisi, la sua critica è questa: sia che parliamo di monopoli privati che di monopoli di Stato, sia che parliamo di capitalismo che di comunismo, entrambi distruggono i rapporti interpersonali nell’ambito della società civile; entrambi negano all’essere umano la propria dignità e libertà.
Visto che si opponeva a tutto questo, Sturzo difendeva le istituzioni corporativistiche volontaristiche. In ultima analisi, sono istituzioni che stanno a metà tra le imprese private, le imprese più grosse e lo Stato centralizzato, oppure i governi centralizzati. E questo spiega perché Sturzo si sia opposto al fascismo, proprio perché il fascismo già aveva cooptato le corporazioni e le aveva fatte diventare veicoli dello Stato. Oggi potremmo dire che tante di queste istituzioni sono state cooptate dal mercato libero: ecco perché né lo Stato né il mercato possono rappresentare la soluzione ideale. Quindi, qual è questa soluzione? Secondo Luigi Sturzo, sono gli elementi organici dell’ordine sociale e, cito, parla di famiglia, di associazioni professionali, di regioni, di gruppi culturali e di tutte le strutture che legano tra loro cittadini, membri di comunità, gruppi. La cosa interessante di Sturzo è che ha anticipato che la democrazia cristiana avrebbe potuto essere più orientata verso il mercato libero, piuttosto che verso lo Stato, o verso entrambi. E ci lancia un monito: la democrazia cristiana deve essere radicata nella società civile, non focalizzarsi su un particolare sistema di partito che potrebbe essere facilmente corrotto dal mercato o dallo Stato. In questo senso, forse, non è stato così ingenuo come alcuni cristiani democratici nel periodo post bellico: si è reso conto che, per evitare la collisione tra Stato e mercato, la democrazia cristiana doveva essere radicata nella società civile e rimanere strettamente collegata alla Chiesa e ai movimenti laici. Credo quindi che l’aspetto importantissimo in Sturzo sia che la democrazia cristiana non dipende da un partito o da un leader particolare, ma piuttosto da una società civile molto attiva, molto legata alla Chiesa. Alla fine, l’enfasi è a livello dei singoli membri, dei gruppi, delle comunità, delle congregazioni, e non invece delle istituzioni formali oppure dei leader carismatici, perché entrambi possono manipolare o distorcere quella che è la visione popolare cristiana che dobbiamo a Sturzo. Grazie tante per la vostra attenzione.

JOHN WATERS:
Grazie, Adrian. Abbiamo finito il tempo, in realtà, però se c’è qualche domanda veloce dal pubblico, una domanda impellente, qualche piccolo minuto ce lo possiamo prendere. Domanda breve, risposta breve.

DOMANDA:
Quando il Papa è andato a El Salvador, hanno cercato in tutti i modi di zittirlo, e non è questo in realtà l’approccio inglese. Noi stiamo lì, tutti zitti e quieti, aspettiamo che la verità spiacevole se ne vada da sola, senza intervenire attivamente. In Inghilterra come a El Salvador, il Papa ha parlato al di sopra dei politici e al di sopra della intellighentia, ha parlato alla gente. La chiesa cattolica, nel Regno Unito, dovrebbe essere ben posizionata per fare proposte cattoliche. Però la chiesa cattolica in Inghilterra, come è stata profetizzata dal liberalismo, adesso è scettica nel mettere in discussione questo consenso liberale, una forma più subdola di controllo politico. La domanda è questa: come possiamo far sì che la chiesa cattolica, in Inghilterra, riesca a superare questo scetticismo, questa reticenza a mettere in discussione il consenso liberale per presentare, come ha fatto il papa BenedettoXVI, una visione giusta del cattolicesimo agli inglesi?

JOHN MILBANK:
Sono d’accordo con quello che è stato detto. Forse la gente comincia a dare credito all’idea che c’è qualcosa che non va nel liberalismo, anche alla luce degli eventi recenti. E’ importante cogliere il momento adesso, e questa è già una parte della risposta. L’altra parte della risposta che mi sento di dare è questa: io sono un anglicano, per cui lo dico con molta umiltà, per amor di Dio! Però sospetto e temo che la chiesa cattolica in Inghilterra, per troppo, troppo tempo, abbia cercato di penetrare nell’establishment inglese, nelle sue istituzioni a Oxford, Cambridge, Londra, ecc. Adesso deve prendere in considerazione molto più seriamente un’idea nuova, ovvero che ci potrebbe essere un ruolo anche per le istituzioni superiori, l’università Cattolica, per esempio, perché semplicemente adesso viviamo in un ambiente laico molto più ostile e difficile, quindi, in un certo modo, anche per difendere l’umanesimo. Per questo ci servono istituzioni che siano impegnate per una formazione e un’educazione più morale. E’ più facile forse convincere i cattolici delle generazioni più vecchie, che è ora di farlo.

AUSTEN IVEREIGH:
Accetto questa analisi, però non penso che i leader della chiesa cattolica in Inghilterra e Galles siano diventati succubi, si pieghino davanti al consenso liberale. Invece, la Chiesa deve imparare questo nuovo linguaggio della pubblica piazza, la Chiesa deve imparare come praticare politica a partire dalla società civile, come coinvolgere la società civile per avere un impatto sulla cultura, lo Stato, la politica, ecc. Non so se questo verrà dai nostri vescovi, dal nostro clero, però va fatto. E comunque, loro devono insegnare, anche se questo è un compito e un lavoro che va fatto dai laici.

ADRIAN PABST:
Sono assolutamente d’accordo con quello che hanno appena detto John e Austen. Così a caldo, mi vengono in mente due idee molto concrete: come mai la gerarchia non ha fatto di più della dottrina cattolica, soprattutto la Caritas in veritate? C’è stata una conferenza con Stefano Zamagni, a Londra, però non c’è stato dibattito pubblico. Se c’è un momento in cui la dottrina cattolica può avere un impatto sulla Gran Bretagna, è adesso. Quindi, incoraggio la gerarchia a parlare, a sfruttare il momento per dimostrare quanto la dottrina cattolica possa essere trasformativa, avere un impatto.

AUSTEN IVEREIGH:
Un’informazione e un supplemento. Prima delle ultime lezioni, i vescovi avevano emesso un documento sulla base dell’enciclica Caritas in veritate, c’era stato anche un seminario, un invito ad un maggiore impegno sociale per prepararsi ad un ruolo più forte della Chiesa e della dottrina nella vita pubblica. Pian pianino ci arriveremo. Grazie.

JOHN WATERS:
Adesso non c’è veramente più tempo, la riunione finisce qui. Peccato, perché c’erano tante altre cose in sospeso. Comunque, i tre oratori di oggi hanno messo il dito su tanti aspetti importanti. Ascoltando loro tre, mi sono ricordato una frase di Lewis, il grande scrittore. Parlava di un difetto della nostra società che viene gestita da persone senza torace: in loro funziona l’intestino, funziona la testa, ma quello che sta tra l’intestino e la testa, quindi il torace, la sede dei sentimenti e delle emozioni, è assente. Penso che oggi questi tre oratori ci abbiano chiaramente dimostrato l’approccio giusto e corretto che ci occorre e che combina senz’altro la testa, l’intestino ma anche il cuore, il torace: riportare nella discussione pubblica il nostro cuore, dare cuore, eventualmente anche un trapianto di cuore, un inizio di cuore, per la nostra società. C’è stato un arresto cardiaco nella nostra società: Marco, che è un cardiologo e conosce la cardiochirurgia, potrebbe forse aiutarci perché serve più cuore. Ringrazio i tre oratori di oggi, sono stati bravissimi, hanno fatto presentazioni molto interessanti. Grazie a tutti per essere intervenuti, buon pomeriggio e buon Meeting.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

21 Agosto 2011

Ora

15:00

Edizione

2011

Luogo

Sala Neri GE Healthcare
Categoria
Incontri