AGRICOLTURA SOCIALE: RICOSTRUIRE LA SOCIETÀ DALLA TERRA

AGRICOLTURA SOCIALE: RICOSTRUIRE LA SOCIETA' DALLA TERRA

Partecipano: Maurizio Bergia, Presidente “I Tesori della Terra” Cooperativa Sociale di Cuneo; Claudio Collina, Responsabile C.A.S.P. Valle del Brasimone Società Cooperativa; Nicola Corti, Segretario Generale Fondazione Allianz Umana Mente; Paolo Gramiccia, Responsabile Azienda Agricola “La Sonnina” di Roma; Elisa Mapelli, Responsabile “In Opera” Cooperativa Sociale di Milano; Walter Sabattoli, Responsabile Pinocchio Group Cooperativa Sociale di Brescia; Ilaria Signoriello, Responsabile “Agricoltura Capodarco” Cooperativa Sociale di Roma. Conclusioni Andrea Olivero, Vice Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. In occasione dell’incontro proiezione del video-documentario Nuove terre su “Le Agricole” Cooperativa Sociale. Introduce Camillo Gardini, Presidente Compagnia delle Opere Agroalimentare.

 

CAMILLO GARDINI:
Buongiorno a tutti. Benvenuti all’incontro dal titolo “Agricoltura sociale: ricostruire la società dalla terra”. Circa un anno fa, anche con l’aiuto del Viceministro Olivero, è stata approvata una legge sulla agricoltura sociale che ha dato definizione chiara al tema. È stato ufficializzato così quello che migliaia di imprese agricole vivevano da anni. Io propongo un applauso a tutte queste imprese e anche a quelle che sono rappresentate oggi qua. Il Meeting non è ritrovo per addetti ai lavori, per cui è legittimo anche chiedersi che cosa significa il termine agricoltura sociale. Provo a spiegarlo molto sinteticamente. È l’inserimento lavorativo di persone disabili, svantaggiate. Riguarda alcune prestazioni di attività sociali come agrinidi e agriasili, accoglienza di anziani, prestazioni di servizi terapeutici con l’ausilio di animali o di piante; iniziative di educazione sociale, fattorie didattiche, educazione alimentare. L’agricoltura sociale è in realtà un caleidoscopio di esperienze e di attività inserite dentro un alveo che è la multifunzionalità in agricoltura, che la legge di orientamento ha ampliato e descritto. Tutto questo per fornire alle comunità rurali una integrazione del reddito e anche una qualità di vita più forte e più importante. Abbiamo deciso di fare questo incontro raccontando tante storie. Voi vedete tanti relatori e brevi saranno i loro contributi. Cercheremo di rappresentare questa realtà. Il primo contributo è quello di un video, che ha ottenuto anche un premio, un riconoscimento. Il video documentario si chiama “Nuove terre” in cui vedremo le immagini di una cooperativa sociale che si chiama “Le agricole” di Lamezia Terme.

Video.

Un applauso per la cooperativa “Le agricole”. Nel mese di luglio hanno avuto un attentato: i terreni della mafia che stavano coltivando sono stati incendiati. Questo video è per solidarietà al loro lavoro. Uno che è malato di psichiatria e va nella terra, diventa sano. La terra rende sani, ha detto uno dei protagonisti del video. Mi sembra una bella sintesi. Abbiamo iniziato con il video a fare un percorso, un’avventura nella conoscenza della agricoltura sociale. Ora vi saranno altri sette brevi contributi, per ogni contributo vi saranno immagini che aiuteranno nella immedesimazione, immagini delle iniziative, delle attività che le sette case history che abbiamo selezionato, svolgono. Partiamo con “I tesori della terra”. Parlerà Maurizio Bergia: ha 48 anni, è sposato, padre di 4 figli naturali ma papà affidatario di una casa famiglia composta da 17 persone della comunità di Papa Giovanni XXIII. Un applauso perché è un papà importante. Ancora più importante: ex impiegato bancario, ha commesso un delitto gravissimo, si è dimesso dalla banca, il posto fisso. È laureato in scienze dell’educazione e si sta laureando in scienze religiose. Dal 2014 è Presidente della cooperativa sociale agricola “I tesori della terra” di Cervasca in Provincia di Cuneo. Prego Maurizio.

MAURIZIO BERGIA:
Buongiorno a tutti, grazie per l’invito. Martin Luther King diceva che se ti alzi al mattino e vuoi già dire buongiorno a qualcuno, è già un buon motivo per vivere. Quindi oggi possiamo essere felici. Io vi porto l’esperienza di una realtà che oggi è una cooperativa che è nata dal lavorare sul biologico ed è incominciata 30 anni fa e da 20 anni fa inserimento di ragazzi con difficoltà in agricoltura sociale. Parto da una frase di Saverio Senni dell’Università di Viterbo che dice: “L’agricoltura contadina non conosceva i disabili; tutti erano a loro modo abili, quale che fosse il loro livello culturale e le loro condizioni mentali. Le piante e gli animali non distinguono nessuno, non si voltano dall’altra parte e crescono, chiunque li accudisca”. Mi sembra un bel modo di intendere. Noi parliamo, con metodologie molto fini, di persone svantaggiate. In questi anni ho capito che lo svantaggiato sono io, quindi mi piace questa idea che l’agricoltura abbatta le barriere e la terra madre ci faccia sentire tutti semplicemente fratelli e colleghi di lavoro.
Noi facciamo parte della grande famiglia della comunità Papa Giovanni. Questo visionario, mistico, con l’odore delle pecore, infaticabile apostolo della carità, è partito intorno agli anni ’60, ha creato un movimento che oggi serve 41mila persone alla mensa della comunità, in 32 Paesi diversi. Noi nel nostro progetto di agricoltura sociale abbiamo creato quello che è il laboratorio agricolo. Questa esperienza coinvolge 15 ragazzi che giornalmente, dal lunedì al venerdì, fanno attività con noi. Sono nostri colleghi all’interno del nostro caseificio, nelle stalle, nel maneggio, sono guide della fattoria didattica con 1200 bambini che vengono tutti gli anni a visitarci. Abbiamo un maneggio: ci dicevano gli operatori che i cavalli e gli asini hanno grandi qualità di mediatori relazionali. Abbiamo un orto biologico, abbiamo fatto la scelta non strategica del biologico con tutto quello che comporta.
Inoltre abbiamo fatto una sperimentazione con l’Università. È stata creata quella che si può dire la prima eco-stalla d’Italia, una stalla a deiezione, con impatto ecologico ambientale completamente zero, in cui non c’è spargimento di liquami. Si dice che se le mucche sono più felici, fanno un latte migliore, se hanno un indice di socializzazione umana più alto, la qualità del loro latte è molto migliore. Abbiamo un caseificio, facciamo produzione, perché solo con il latte non staremmo in piedi.
Quindi siamo presenti in tutta Italia nei punti vendita biologici. Siam presenti negli Eataly, a settembre entreremo a Monaco con Eataly di Monaco e cominciamo a essere presenti in alcune realtà della grande distribuzione.
Abbiamo anche un piccolo punto vendita aziendale, dove vengono le famiglie, e adesso abbiamo un progetto con il comune di Cuneo per cercare, insieme ad altre cooperative, di gestire una ludoteca, una tavola calda e un punto vendita.
Abbiamo questa attività di fattoria didattica: sono circa 1500 ragazzi che vengono tutti gli anni dalle scuole a trovarci
Adesso possiamo mandare le foto che abbiamo mandato in allegato. Ecco, mi rimangono tre minuti. Dico tre cose velocissime. Intanto alcune storie, perché senza i volti, senza le persone, non avremmo la spinta ad andare avanti. Alessandra era un’imprenditrice agricola caduta in depressione, oggi fa parte della nostra squadra. Giulia, una schizofrenica che in casa ne combinava una più che Pluto; Igor, con la mamma suicida, era caduto nella depressione, oggi ha fatto sei mesi con noi e adesso è casco bianco in Bolivia dove fa esperienza di servizio civile; Ramadan era un nomade che viveva su un camper e oggi riesce a dar da mangiare ai suoi bambini; Robert è un ragazza disabile, che grazie all’esperienza con noi, tra due mesi entrerà in un’azienda, quindi verrà rimessa nel circuito produttivo. Andrea a scuola ne combinava troppe, ha fatto un po’ di alternanza scuola lavoro, che poi in realtà è diventato lavoro lavoro, a scuola non ce la faceva. Matteo ha una sindrome dissociativa, laureato, intelligente, si era chiuso completamente, aveva scambiato il giorno con la notte, oggi invece ha trovato una regolarità. La nostra esperienza di agricoltura sociale può essere per qualcuno un ponte, per qualcuno una casa, per qualcuno un approdo, per qualcuno il trampolino verso qualcos’altro. Non sono più oggetti di assistenza. Io tengo a sottolineare che con l’agricoltura sociale deve essere pensato un nuovo modello di welfare. Un ricovero in una clinica riabilitativa un giorno e mezzo costa come un mese di lavoro per una persona a tempo pieno. Quindi noi dobbiamo cercare di aiutare lo Stato a spendere meglio i soldi, perché quando qualcuno cade, quando qualcuno non ce la fa, ci costa. Concludo per adesso raccontando un’esperienza: abbiamo aperto cinque case in Italia, si chiamano CEC, comunità educante con i carcerati. Accogliamo in tutto circa 300 detenuti in fase di pena e di ultima fase della pena. In carcere un detenuto costa 200 euro al giorno e non fa niente, spesso non fa niente. L’80% non lavora dentro le carceri, a parte le esperienze belle che sentiremo dopo. Nelle nostre realtà non costa niente allo Stato, sono impiegati in progetti di agricoltura sociale. Questo è per dire che veramente ringraziamo delle possibilità che offre la legge sull’agricoltura sociale, che ha riconosciuto quello che era già presente sui nostri territori. Grazie.

CAMILLO GARDINI:
Grazie Maurizio. La parola ora a Claudio Collina, responsabile della Cooperativa C.a.s.p. Claudio ha 31 anni, risiede a Camugnano, nell’appennino Bolognese, sono zone poco abitate e soprattutto molto desertificate dalla vita sociale delle imprese. Siamo vicini a Bologna, siamo vicini a Firenze, ma lì non ci sta più nessuno. Claudio lavora dal 2005 nella Cooperativa C.a.s.p. e dal 2013 è il più giovane membro del suo Consiglio di Amministrazione. Nella Cooperativa ricopre il ruolo di Responsabile qualità e Responsabile della realizzazione dei bandi delle gare e quindi delle attività commerciali.

CLAUDIO COLLINA:
Buongiorno a tutti, volevo ringraziare la CdO, il presidente Camillo Gardini e tutto lo staff del Meeting per avermi invitato a prendere parte a questo incontro. La C.a.s.p. oggi è una società che conta 55 dipendenti, 114 soci divisi fra aziende agricole locali e socio-lavoratori, sviluppa un fatturato di circa 9 milioni di euro l’anno in varie attività: la fornitura di mezzi tecnici per l’agricoltura e la vendita di prodotti alimentari. Abbiamo due supermercati di proprietà. Nel 1969, quando è stata fondata la Cooperativa, l’agricoltura nel nostro territorio, a differenza di oggi, era molto fiorente, stava attraversando una fase di transizione, stava passando dall’ autoconsumo, dalla produzione per piccoli mercati locali a una fase di apertura, quindi rivolta più a mercati esterni. Le piccole aziende agricole non riuscivano da sole a stare al passo, quindi è stata fondata la Cooperativa anche grazie all’allora Ente Delta padano, insieme alle cooperative agricole del comune di Camugnano e di Castiglione dei Pepoli. La cooperativa si è occupata in primis della raccolta dei cereali con l’acquisizione di una mietitrebbia, che poi sono diventati due e la fornitura di mezzi tecnici per l’agricoltura. Nel 1974, qualche anno più tardi, un caseificio della zona ha dismesso l’attività di recupero latte per le aziende agricole del territorio, per cui molte aziende agricole, soci della cooperativa, si sono trovate senza la possibilità di vendere il loro prodotto. La cooperativa è intervenuta, ha acquistato i mezzi ed ha iniziato a far la raccolta di latte per la Granarolo. Un anno più tardi è avvenuto un fatto fondamentale per questa Cooperativa. Il corpo forestale di Castiglione dei Pepoli, che gestiva un vivaio e delle opere di prevenzione di dissesto idrogeologico, cessa l’attività. Circa venti persone residenti sul territorio, si trovano senza lavoro, senza reddito, senza la possibilità di dare un sostegno alle proprie famiglie. La C.a.s.p., che era impegnata in tutt’altro settore, decide di imbattersi in questo percorso, riassume tutto il personale e grazie agli affidamenti diretti che sono durati fino al 1990, ha iniziato a fare opere di prevenzione a dissesto idrogeologico e dell’Appennino. Questo è un settore che è diventato molto importante, conta circa 22-23 addetti, quindi la metà della forza lavoro della Cooperativa e sviluppa circa 3-4 milioni di euro di fatturato l’anno. Qualche anno più tardi, nel 1980, la Cooperativa ha cercato di valorizzare ancora di più i prodotti dei soci, ha ingrandito la sede creando un impianto di stoccaggio, un piccolo molino, poi ne ha affittato un altro direttamente nel paese di Castiglione dei Pepoli, per cercare di aiutare ancora di più i soci della cooperativa che avevano aziende agricole e prestavano lavoro. Non più solo il ritiro e la trebbiatura ma anche la trasformazione e la vendita del prodotto finale. Questa attività era molto redditizia e dieci anni più tardi, vista la grande redditività di questa attività, la Cooperativa cercava posti per ingrandire quest’introito. Un supermercato di Castiglione dei Popoli ha cessato l’attività per fallimento, la Cooperativa acquista lo stabile per ingrandire la struttura agraria, però, venendo a conoscenza di quella realtà, capisce che tutto il personale che vi era impiegato sarebbe stato licenziato e quindi con qualche sforzo e un pizzico di fortuna ha rimodernizzato lo stabile, ha assunto il precedente personale e ne ha preso di nuovo e oggi è una parte importante della Cooperativa. Negli anni successivi, fino ad oggi, sono stati fatti investimenti che hanno consolidato queste attività. Abbiamo acquistato un supermercato da 250 metri quadri in un paesino vicino a Rioveggio, abbiamo aperto un’agraria nel 2001 a Sasso Marconi, che abbiamo poi rimodernizzato e inaugurato questo maggio. Ci sono stati dunque investimenti che hanno consolidato le attività per cui la Cooperativa è nata. Io credo molto nella Cooperativa e nella C.a.s.p. perché, come ha detto Camillo prima, da noi l’Appennino è molto turistico, d’estate ci sono molti visitatori, però il lavoro è poco. Il percorso che ha fatto la Cooperativa in questi anni l’ha portata a diversificare le sue attività non per una strategia, ma perché si è sobbarcata dei problemi della zona ed è riuscita a trasformarli in possibilità. Secondo me questo è un ottimo esempio di “Tu sei un bene per me”. Grazie.

CAMILLO GARDINI:
Bisogna dire che la C.a.s.p. da quando è nata non ha mai chiuso un bilancio in perdita. È vero che si sono sobbarcati di problemi ed hanno preso in carico tante attività produttive del territorio, ma con grande capacità, con grande capacità lavorativa e quest’anno, nel 2015, il bilancio approvato ha segnato il record di utili per la Cooperativa e quindi un applauso doppio perché veramente ha ottenuto un grandissimo risultato, non scontato. Ora la Paolo Gramiccia, Presidente della cooperativa agricola “La Sonnina” di Roma.

PAOLO GRAMICCIA:
Allora grazie a tutti, buongiorno. La nostra è una storia, come le altre che abbiamo sentito, di agricoltura sociale. Noi nell’estate del 1998 ci siamo imbattuti in questo casale nella zona di Genazzano, un casale in Provincia di Roma, Diocesi di Palestrina, di proprietà della Diocesi. Era completamente abbandonato e parlando con don Pietro che era il prete della Caritas che stavo accompagnando per un sopralluogo – all’epoca facevo il tecnico agronomo in Coldiretti – nacque l’idea di ristrutturare questo casale e di creare una Cooperativa per dare lavoro. Quindi è stato essenzialmente un incontro con un luogo: ci siamo letteralmente innamorati di quel posto, una cosa pazzesca, perché all’inizio tutti ridevano, pensavano che eravamo folli. E un pochino forse lo eravamo, infatti per fare queste cose un pizzico di follia è necessaria, e abbiamo iniziato a ristrutturare questo casale. Nel 1998-99 l’agricoltura sociale non era ancora per noi un progetto chiaro, però noi avevamo chiaro come concetto l’idea di creare un luogo bello, un posto di incontro, un posto che aiutasse oltre a ricostruire il luogo anche a ricostruire un po’ le persone, un po’ l’io, un po’ quello che dice il tema del Meeting: “Tu sei un bene per me”. Volevamo un posto dove uno, oltre a crescere le piante, a ricostruire un casale, un territorio, potesse ricostruire la sua persona spesso ferita dalla vita. Don Pietro era il delegato della Caritas e quindi abbiamo iniziato ad accogliere i rifugiati politici con borse lavoro della Caritas che ci aiutavano in questo lavoro. È nata una rete di amicizie, sono passate decine di persone provenienti da tutti i Paesi del mondo, dove ci sono guerre, migrazioni e sono nate amicizie, rapporti, legami forti e importanti. Nel tempo, poi, abbiamo maturato l’idea di continuare ad approfondire questo tema, di lavorare nel sociale. L’avventura è cominciata. La nostra, ora, è un’azienda multifunzionale. E quindi da subito, oltre la produzione, la rimessa in coltivazione dei terreni, abbiamo iniziato con la fattoria educativa, con i bambini. Da noi passano 5000 bambini l’anno, da tutto il territorio della Provincia di Roma ma anche da fuori e facciamo diversi laboratori. Quindi un approccio con la terra, con la natura, con gli animali, con la produzione. E poi contestualmente il discorso del sociale si è allargato: oltre ai rifugiati politici e ai migranti, che accogliamo con esperienza, da subito ci siamo soffermati sulla formazione. Noi siamo convinti che questa situazione epocale della migrazione la risolviamo soltanto se a queste persone li aiutiamo a trovare un lavoro, li formiamo. Ora la terra, l’agricoltura sono sicuramente una delle realtà più prossime, una realtà che loro sentono vicina, quindi formarli in questo settore, dargli un’opportunità di lavoro è fondamentale. Abbiamo perciò avviato dei corsi di orticoltura, di potatura fino a ultimamente al corso da pizzaiolo, perché abbiamo aperto anche una pizzeria. Nel tempo abbiamo avviato anche l’esperienza con detenuti ed ex detenuti: abbiamo iniziato a ospitare prima le persone in articolo 21, quindi in uscita dal carcere, poi abbiamo fatto un progetto di formazione all’interno di Rebibbia con 18 detenuti, che prevedeva la messa in cultura dell’orto interno al carcere. Noi siamo nati per ricostruire un territorio, e ci sta capitando come esperienza di costruire altre aziende, altri territori, di bonificarli, di metterli in produzione, e contestualmente di ricostruire le persone, di dar loro una possibilità di rifarsi una vita. La cosa che abbiamo, che è importante, è quella di costruire una rete, cioè, cerchiamo di non lasciare mai sole le persone che abbiamo incontrato, anche all’Estero, cerchiamo di accompagnarle sempre all’insegna dello spirito della mostra bellissima, che abbiamo fatto con gli amici di CdO Agro, You will never walk alone. Questo è un po’ il tema che ci caratterizza: l’integrazione avviene solo in una rete di amicizia con la consapevolezza che l’altro è veramente un bene per me. Grazie.

CAMILLO GARDINI:
Complimenti a “La Sonnina”, avete visto il casale dell’inizio, veramente son stati dei grandi temerari e coraggiosi. Ora Walter Sabattoli. Nasce nel 1960, classe di ferro, anch’io sono del 1960, risiede a Brescia e nel 1990 abbandona il posto fisso delle Poste, e assieme ad alcuni altri amici fonda la Cooperativa sociale “Pinocchio”, di cui tutt’oggi è responsabile.

WALTER SABATTOLI:
Grazie. Grazie dell’invito. Nasciamo trent’anni fa. All’inizio eravamo dei periti agrari che volevano lavorare insieme. Nel 1986 nasce la Cooperativa di solidarietà agricola. Già dall’inizio avevamo avuto questa possibilità, poi è nata la cooperazione sociale e ci siamo convertiti nel sociale. La Cooperativa principale, quella agricola, ora si chiama “Pinocchio Group”, a questa si sono associate altre realtà, perché il lavoro che noi facciamo di specifico è la riabilitazione di persone psichiatriche e tossicodipendenti, con aspetti di cura e aspetti di riabilitazione. Oggi gestiamo due comunità terapeutiche che possono ospitare quaranta persone e poi abbiamo tre piccole aziende agricole dove si fanno servizi di manutenzione e giardinaggio di aree verdi. Lavoriamo per il Comune, poi abbiamo degli appartamenti sul territorio, alcuni dislocati nelle varie strutture. Il gruppo oggi ha a disposizione 58 posti letto per le due strutture accreditate e ha un personale di circa 60 persone che lavorano principalmente sulla cura. L’aspetto dell’educazione attraverso il lavoro e quindi attraverso il lavoro agricolo è fondamentale. Don Giussani diceva che l’educazione è l’introduzione alla realtà, io credo che l’attività agricola in questo senso sia fondamentale, perché ci educa continuamente a stare ai dati di realtà, piantare un seme, raccogliere. Aspettare i ritmi della natura aiuta le persone che abbiamo in cura. Infatti sia i malati psichiatrici sia i tossicodipendenti hanno grossi problemi con la realtà. Il malato psichiatrico, non essendo capace di stare nella realtà, se ne inventa una immaginaria e egualmente fa il tossicodipendente: non essendo capace di stare nella realtà, tende ad anestetizzarsi e quindi a non pensare al proprio disagio, facendo ricorso alle sostanze. Le attività che noi abbiamo sviluppato fin dall’inizio sono stati nei primi anni la coltivazione di ortaggi in una struttura messa a disposizione dalla Caritas e da un ordine delle suore di Brescia, le Ancelle della carità. Lì è partita la prima esperienza, dove accoglievamo i carcerati che potevano uscire con la legge Guzzini. Siamo nati proprio in concomitanza con l’avvio della legge. Poi ci siamo spostati a Rodengo Saiano, dove sono nate le Comunità terapeutiche e dove abbiamo una piccola azienda che si chiama “il Meleto”, dove possiamo accogliere le persona un po’ sotto forma di agriturismo e dove proponiamo i nostri prodotti. Coltiviamo ortaggi e frutta. L’altra realtà, che è nata qualche anno dopo, si chiama “il Ronchetto”. Lì c’erano delle vigne molto vecchie che abbiamo rinnovato e quindi è nata un’esperienza nuova di lavoro nel vigneto, che poi abbiamo sviluppato in una terza azienda nata a Bedizzole, un paese vicino al lago di Garda, anche qui con un progetto che doveva poi svilupparsi con la Provincia e una Fondazione locale. Anche se il progetto ambizioso con la Provincia non è andato in porto, è rimasta la nostra azienda agricola, è rimasto il vigneto. La cosa più significativa è il nostro vino, che abbiamo chiamato “Campo dei miracoli”, è vinificato da una cooperativa sociale che ha attrezzato una cantina dove ospitano malati psichiatrici i quali ci garantiscono questo tipo di produzione. Con un’azienda agricola inoltre stiamo producendo e commercializzando delle marmellate. Lo sviluppo sarà quello di ampliare gli aspetti di commercializzazione, per cui è nato un nuovo progetto che si chiama “Cinque Zecchini”, una sorta di e-commerce volto a rendere più sostenibile il nostro lavoro. Grazie.

CAMILLO GARDINI:
Ilaria Signoriello nasce a Roma nel 1980. È laureata in Scienze ed Istituzioni per la cooperazione e lo sviluppo. Dal 2007 collabora a fianco del fondatore della Comunità di Capodarco, don Franco Monterubbianesi, che invito ad alzarsi e a fargli un grande applauso, perché oggi ricorre – anzi era ieri- il suo sessantesimo anno di ordinazione sacerdotale, e il cinquantesimo anno della fondazione della Comunità: complimenti! Un grande compito, Ilaria, di raccontare cinquant’anni in sette minuti: prego!

ILARIA SIGNORIELLO:
Cinquant’anni in sette minuti! Però io, prima ancora di entrare nella storia di Capodarco -che è una storia entusiasmante -, vorrei tornare al video in apertura, quel video che avete fatto vedere. Io rappresento anche il Forum dell’Agricoltura Sociale, e ringrazio il Viceministro per la solidarietà che sempre ci ha dimostrato. La Cooperativa “Le Agricole”, come tantissime realtà di agricoltura sociale, lavorano sui beni confiscati. Quindi non c’è soltanto lo scopo di rigenerare un Welfare, non c’è soltanto un comparto agricolo che diventa corresponsabile della propria comunità, ma c’è una lotta, c’è un’Italia che resiste al crimine organizzato e che lotta giorno dopo giorno e ci mette la faccia. Hanno dato fuoco all’Erbario, al lavoro di quasi un anno, però Anna Maria, che è la portavoce del Forum della Calabria, non si arrende. Perché se c’è qualcosa che qualifica gli agricoltori sociali è senza dubbio la passione, il coraggio e la determinazione. E noi lo diciamo sempre che non è un incendio che può fermare il cambiamento, perché di questo stiamo parlando: quando si parla di agricoltura sociale si parla di un cambiamento profondo, che sta attraversando la nostra Italia e del quale questa legge – e soprattutto la sensibilità di chi ha capito che cosa stava avvenendo sui territori – ha saputo riconoscere, la legge 141 del 2015. L’agricoltura sociale qualifica l’Italia a livello mondiale come un’eccellenza. Io lo dico, è bello dirlo dentro questo Meeting, che è comunque un palcoscenico anche internazionale. C’è qualcosa che ci rende al mondo non come “pizza, mafia e mandolino”, ma ci qualifica come un Paese veramente creativo, il primo sicuramente per l’economia sociale, come coloro che sanno combinare pubblico e privato, profit e non-profit. Siamo portatori di istanze di libertà e di giustizia, prima ancora di essere semplicemente degli agricoltori o degli operatori sociali. Io però qui rappresento una storia, ed è anche un grande onore ed onere, perché qui c’è don Franco, che vedete nelle slide quando aveva venticinque anni. “Agricoltura Capodarco” nasce nel 1978, e voglio parlare di questa storia partendo da un vino, perché i vini sono sicuramente uno dei mercati più difficili a livello internazionale. Farlo in agricoltura sociale significa che noi vogliamo sfidare un settore che è altamente competitivo e di qualità, e noi quest’anno abbiamo voluto dedicare a questo cinquantesimo un vino molto particolare, che si chiama “Filèin”: questo è il Meeting dell’amicizia fra i popoli. “Filèin” significa, appunto, amicizia. Abbiamo voluto celebrare cinquant’anni di storia con quel valore che è stato poi il motore di Capodarco, ovvero l’amicizia tra don Franco e tredici disabili. “Agricoltura Capodarco” è stata fondata da persone disabili, e oggi rappresenta un modello strutturato. Noi, oltre che Grottaferrata, abbiamo anche una sede a Roma, nella Mistica, vicino a Tor Bella Monaca, a Tor Tre Teste, a Tor Sapienza, e quindi siamo incastonati nella periferia Romana, ma è là la sfida, dove gestiamo un punto vendita, abbiamo una linea di distribuzione, e lavoriamo coi ragazzi disabili del DSM. Quindi “Agricoltura Capodarco”, prima ancora di essere un’azienda agricola multifunzionale, è una grande istanza di libertà, una grande casa dove si sono coltivati dei sogni, che hanno poi messo delle radici e sono diventati un modello di integrazione e di rilancio del Welfare, dove la persona non viene vista nei suoi limiti, ma viene valorizzata nelle sue potenzialità. Si è parlato della natura, del valore che ha, soprattutto per la nostra stabilità, per il nostro benessere. Ma la natura ha anche un altro grande valore: la Madre Terra che ci ha generato non giudica, non è un essere giudicante e come tale permette a tutti di potersi riscattare, anche a chi ha commesso un errore. Anche chi si è drogato, è finito in carcere, ha, attraverso la natura, che risponde di conseguenza, la chance di riscattarsi. E “Agricoltura Capodarco”, nel corso di quasi quarant’anni di storia, ha saputo coniugare in maniera eccellente ciò che è agricolo e ciò che è sociale: da noi non c’è più distinzione tra attività agricola e attività sociale. La nostra è una cantina sociale. La vendemmia è la parte più bella dell’anno, quando andiamo coi ragazzi, che non sono da pacca sulla spalla: questa è economia vera, questi sono ragazzi che lavorano, e quando parlo di ragazzi, parlo di persone disabili, parlo di tossicodipendenti, parlo di donne che hanno subito una violenza, e spesso sono vittime della tratta. Noi lavoriamo anche con i rifugiati politici: forse i risultati più belli li abbiamo visti quando rifugiati politici e ragazzi con disabilità lavoravano insieme, perché lì cade la barriera del diverso. Siamo tutti diversi, e a un certo punto ci si valorizza reciprocamente in un lavoro che è condiviso. Voi, se arrivate a Capodarco, vedete due casali, che noi abbiamo ristrutturato nel corso di quarant’anni: sembra un agriturismo normale, poi, man mano che entri, inizi a capire che è un posto particolare. Vedi ragazzi che lavorano e vivono. Da noi vivono ventuno persone. Vedo don Franco qua davanti, lui ha coniato l’espressione “dopo di noi”, e quindi come l’agricoltura sociale possa, in maniera innovativa, rispondere ad un bisogno che è un dramma della società contemporanea, che è il “dopo di noi”, ovvero che fine faranno i figli disabili dopo la morte dei genitori? Questo è un dramma, io lo vedo lavorando fianco a fianco con don Franco. Le persone entrano e le famiglie hanno paura del futuro: chi si prenderà cura di questi ragazzi? Una RSA? Un Istituto? Saranno soltanto seguiti o saranno valorizzati nelle loro capacità? Quella vita spesa per la dignità delle persone andrà poi ad essere valorizzata anche dopo la morte dei genitori? L’agricoltura sociale dà una risposta anche a questo, di carattere abitativo: noi abbiamo due case famiglia per il “dopo di noi”, abbiamo due punti vendita aziendali, quaranta ettari di biologico, e abbiamo voluto cimentarci poi nei vini per riuscire a dimostrare, con un prodotto che è di nicchia, che noi possiamo stare sul mercato, e che ce la possiamo fare ad essere competitivi e a vendere prodotti biologici e senza solfiti, con valori che rappresentano un’assunzione della responsabilità. Quell’articolo 3 della nostra Costituzione noi lo sentiamo nostro: “Spetta a tutti il dovere di rimuovere gli ostacoli per il godimento pieno della cittadinanza”, ma anche della dignità stessa delle persone. Quindi l’abbiamo fatto con i nostri vini, e devo dire che, avendo ricevuto un premio importante quest’anno al Vinitaly – ci ha premiato il Presidente Mattarella, abbiamo vinto il premio per i benemeriti del vino – questo è stato un grande riconoscimento. E un grande riconoscimento è stato anche quello che abbiamo ricevuto poco tempo fa dall’Europa, quando siamo stati premiati come “impresa sociale dell’anno”, dove ad essere candidata attraverso “Agricoltura Capodarco” era tutta l’agricoltura sociale, e quel processo di innovazione sociale che è capace di co-produrre generi alimentari, relazioni, dignità, nuovo welfare e nuovo sistema di responsabilità. In poche parole, una nuova società. Grazie a tutti.

CAMILLO GARDINI:
Grazie, complimenti! Complimenti a don Franco! A Ilaria, che è grande testimone di quest’attività. Elisa Mapelli, nata nel 1988, vive a Villasanta, in Brianza, ha studiato all’Università degli Studi di Milano, e si è laureata in Lettere Moderne nel Giugno 2013. Nell’Aprile 2013 ha fondato, insieme ad altri amici, la Cooperativa Sociale “In Opera”, attiva nella casa di reclusione di Opera a Milano.

ELISA MAPELLI:
Buongiorno a tutti, ringrazio innanzitutto per questo invito a questo incontro qui al Meeting. Come diceva Camillo, appunto, nel 2013 abbiamo fondato questa cooperativa sociale “In Opera”, che è diventata attiva, operativa all’interno della casa di reclusione di Opera il 5 di Agosto 2013. Abbiamo iniziato un corso di formazione in Panificazione inizialmente per cinque persone detenute. L’istituto penitenziario all’interno del quale si trova il nostro panificio ospita all’incirca millequattrocento detenuti, però meno del dieci per cento attualmente è impiegato presso cooperative private esterne che sono attive all’interno del carcere. Noi, dal 2013 ad oggi, abbiamo formato e assunto quindici detenuti, che si sono avvicendati nel nostro laboratorio, e attualmente lavorano sette detenuti come panettieri, e uno che si occupa delle consegne all’esterno ai nostri clienti. Sono tutti stipendiati, regolarmente assunti, e questo non è scontato nell’ambito carcerario. L’obiettivo della nostra Cooperativa è sicuramente quello di offrire e di insegnare un lavoro che sia spendibile all’interno del carcere durante la pena, ma che possa poi anche essere spendibile all’esterno durante il dopo-pena. Da qui anche la scelta di insegnare un mestiere come quello del panettiere, che è molto richiesto sul mercato del lavoro all’esterno. L’obiettivo è chiaramente quello di aiutare i detenuti coinvolti in un progressivo riavvicinamento alla società civile. Per raggiungere questo obiettivo noi abbiamo deciso di puntare molto in alto: abbiamo coinvolto uno dei più grandi maestri in panificazione che abbiamo in Italia, conosciuto anche all’estero, che è Ezio Marinato. Sicuramente l’abbiamo scelto per la sua professionalità, ma abbiamo abbracciato anche il suo metodo formativo. Marinato parte da una ricerca di materie prime italiane di qualità, da farine di qualità, parte dalla conoscenza delle materie prime che vengono utilizzate, per poi approcciarsi in modo corretto alle ricette e al lavoro che si svolge all’interno del nostro panificio. Il metodo che lui utilizza durante il corso è molto bello perché non lascia nulla per scontato, cioè lui vuole che i detenuti facciano propri tutti gli strumenti, tutte le conoscenze per fare proprio il loro lavoro, quindi spiega tutto quello che avviene durante il processo lavorativo, dà le ragioni delle scelte di riposo e di lievitazione degli impasti, piuttosto che delle scelte di usare il lievito madre per alcuni tipi di pane o la pasta da riporto per altri. Spiega tutto, quindi gli effetti dell’uso dell’olio e del sale nell’impasto: non viene lasciato nulla al caso, quindi è un’educazione al lavoro, e noi abbiamo visto che poi, col tempo, si vedono proprio i risultati, perché molti dei prodotti che noi adesso sforniamo ogni giorno sono stati, dopo gli input del maestro, rivisti, ricodificati dagli stessi detenuti. Chiaramente la scelta di insegnare un lavoro di tipo artigianale non è casuale. Noi abbiamo scelto di insegnare un lavoro di questo tipo con l’idea di produrre pane di alta qualità, e questo richiede sicuramente un’attenzione maggiore, anche perché i nostri detenuti panettieri tutte le notti hanno a che fare con una materia viva, perché il lievito madre è vivo, quindi il risultato dipende molto anche dal modo, dall’attenzione che si ha durante la produzione, anche dalla passione che ci si mette. Uno dei nostri detenuti, durante un’intervista che è stata fatta all’interno del nostro laboratorio, ha detto: “Questo lavoro mi dà la possibilità di riscattarmi, mi dà la possibilità di dare vita. Noi ogni notte, quando veniamo qua, diamo vita, acqua e farina, realizziamo un prodotto e ci dà molta soddisfazione”. L’aspetto della passione è molto importante. Lo dico anche perché qualche giorno fa ho avuto modo di parlare con un detenuto che ha lavorato da noi – attualmente è in un altro Istituto – e mi diceva come l’incontro con Marinato, con un maestro che faceva trasparire proprio la passione in quello che faceva, e il modo con cui lui la offriva, la insegnava agli altri come una ricchezza, sia stato per lui fondamentale. Lui mi diceva che in quel momento lui ha avuto una prima intuizione che da una cosa così semplice potesse ripartire la sua vita, quindi ci si è messo tutto in questo lavoro. E mi scriveva qualche giorno fa: “Sicuramente sta alla persona decidere: io non è che non sapevo o non avevo valori, ma non avendoli mai vissuti non sapevo la felicità e la gioia che portano. Oggi, come hai visto, il solo vedere il guadagno di un mese di lavoro mi porta gioia, e do valore a quei soldi. Tanti anni di galera non mi hanno cambiato di una virgola. 5 agosto 2013 – 13 settembre 2014: un anno e otto giorni hanno stravolto la mia vita [fa riferimento al primo periodo di formazione]. Delle persone comuni, semplici, senza pregiudizio, hanno messo a disposizione le loro conoscenze, mostrando che con amore, passione, sacrificio si crea del beneficio. La passione di Ezio per il suo lavoro è straordinaria, la tua passione era straordinaria e lo è ancora. Queste sono le cose che fanno riflettere”. Quindi in questi primi tre anni abbiamo visto come la possibilità di impegnarsi in modo serio con un lavoro di questo può effettivamente coincidere anche con un riscatto di se stessi, anche di fronte ai familiari, ai figli. Molti dei nostri detenuti dicono che la possibilità di aiutarli anche economicamente è importantissima: non dipendono più dai familiari. E questo genera fiducia e anche un nuovo modo con cui guardare al futuro. Lavorare diventa poi un modo di riscoprire di più se stessi anche in relazione agli altri. Sempre uno dei nostri detenuti diceva: “Qui è come rivivere: sono contento di fare qualcosa per qualcun altro. Questo qui è un gesto d’amore per altre persone”. Ed è bello, perché noi ci accorgiamo di come coi frutti del loro lavoro e anche del sacrificio – perché è un lavoro molto impegnativo -, loro portano tutto se stessi di fronte ai clienti, con i loro prodotti. E questo è ancora più evidente quando alcuni di loro hanno la possibilità di venire a vendere insieme a noi all’esterno il loro pane ai clienti. E noi vediamo che la gente si accorge subito della loro passione, della serietà – perché questo traspare – che loro mettono in quello che fanno, e della loro preparazione. Questo genera fiducia nella gente, nei nostri clienti, e vediamo come moltissimi tornano, innanzitutto per il loro pane buono, e poi anche per rincontrare quell’umanità e quella passione che traspare in quello che fanno. Un altro dei nostri detenuti ha detto: “Ti fa cambiare mentalità un mestiere così, ti dà la speranza nella vita di trovare la tua posizione giusta, scopri le potenzialità che uno ha dentro e le metti in pratica anche dopo. È faticoso, ma è un bellissimo lavoro. Ci vuole passione, è molto manuale”. E allora io sono certa che dalla terra, dalle cose semplici, dall’acqua e dalla farina si possa davvero ricostruire la società, ripartire, proprio anche in un contesto come quello del carcere, dove la società civile sembra esclusa, e l’esperienza sembra proprio confermare questo, cioè che da qui si riparte, e di come nel lavoro l’incontro con l’altro resti fondamentale, tanto da far dire a uno dei nostri detenuti: “Loro sono un bene per me, a tal punto che ora io voglio bene anche a me stesso, con tutto ciò che mi porto addosso”. E questo, se è vero per lui, lo è innanzitutto anche per me. Vi ringrazio.

CAMILLO GARDINI:
Un applauso a Elisa e al suo babbo Pierangelo: è lui che è stato mediatore di quest’inizio. E non è scontato che uno in pensione, dopo aver fatto il Direttore del mercato ortofrutticolo di Milano, del mercato generale di Milano, entri in carcere e stia in carcere quasi tutti i giorni per lavorare con i carcerati. Quindi complimenti, un grande applauso a Elisa e Pierangelo! L’agricoltura sociale vive anche di grandi aiuti e di grandi contributi. Per questo siamo contenti di avere con noi Nicola Corti. Nicola Corti lavora dal 2005 presso la Fondazione “Allianz Umana Mente”, di cui ricopre la carica di Segretario Generale dal 2008. Prego Nicola.

NICOLA CORTI:
Grazie mille. Grazie mille al Meeting per la testimonianza che è ogni anno questo popolo di volontari, e per tutte le persone che organizzano un evento siffatto. Grazie alla CdO agroalimentare e a Camillo per aver pensato questo incontro, e grazie al Viceministro Andrea Olivero per l’invito, per la stima e la riconoscenza. Soprattutto per l’intelligenza e la dedizione che stanno mettendo su questo tema dell’agricoltura sociale come rilancio poi dell’agroalimentare italiano.
In questa circostanza e alla presenza di questo panel di relatori risulta abbastanza naturale chiedersi il motivo della presenza di Allianz, un grande Gruppo internazionale che opera nel settore assicurativo finanziario.
La motivazione risiede nella consapevolezza della responsabilità sociale che un grande Gruppo come il nostro ha rispetto la comunità di riferimento.
In questo senso, già nei primi anni 2000, in Italia è stata costituita la Fondazione Allianz Umana Mente.
La sua missione sociale è rivolta al sostegno di progetti che operano nell’area della disabilità e del disagio minorile e, in quindici anni di operatività, ha raggiunto più di 40.000 persone in stato di bisogno.
Nell’ambito della sua missione, la Fondazione ha deciso negli ultimi tempi di impegnarsi e di supportare un terzo settore produttivo agricolo e zootecnico, stanziando parte degli investimenti in progetti a supporto dell’agricoltura sociale, con due obiettivi principali:
1. produrre prodotti agricoli di qualità sostenibili nel tempo;
2. e allo stesso tempo svolgere attività riabilitative e di inserimento sociale di soggetti svantaggiati.
Guardando l’esperienza dei progetti supportati, si è riscontrato che la visione integrata degli obiettivi di Allianz Umana Mente – il sostegno dell’agricoltura e del territorio e la riabilitazione sociale e intergenerazionale delle persone con disabilità o disagio minorile – è una proposta innovativa che può essere replicata in altre esperienze.
La Fondazione Allianz Umana Mente vede l’agricoltura sociale come un valido strumento di riappropriazione dell’individuo del proprio ruolo nella società da un punto di vista professionale e sociale.
Per questo motivo siamo molto felici di partecipare a questo convegno e di poter condividere con voi alcuni progetti da noi sostenuti.
1. Il progetto l’Orto nel Borgo si svolge all’interno dell’Azienda Agricola San Felice, di proprietà del Gruppo, nella bella cornice del Chianti Classico.
Il progetto coinvolge un gruppo di ragazzi con disabilità guidati da un gruppo di anziani volontari del territorio.
L’obiettivo è quello di riscoprire le essenze e le tradizioni dell’agricoltura Toscana.
I prodotti del lavoro dei ragazzi hanno due destinazioni: la vendita settimanale nel mercato di zona e l’utilizzo per la preparazione dei piatti proposti nel Ristorante Poggio Rosso all’interno del Relais Château Borgo San Felice di proprietà del Gruppo Allianz.
Inoltre, due volte all’anno persone con disabilità si ritrovano insieme ai volontari dipendenti di Allianz per partecipare alla vendemmia e alla raccolta delle olive nel contesto meraviglioso del Borgo San Felice.
2. Il progetto “L’arte di allevare” si svolge presso la Tenuta del Gruppo di Scheggia e Lugnano in Umbria.
L’Azienda Agricola, oltre a preservare e salvaguardare una vasta zona di alta collina della dorsale appenninica, sta favorendo l’economia locale con la formazione della manodopera diretta e con il supporto di piccoli agricoltori.
La Tenuta inoltre garantisce la sostenibilità dell’allevamento di bovini di razza “chianina” e del cavallo di razza agricolo italiano (TPR).
Il progetto “L’arte di allevare” della Fondazione realizza attività formative per realtà sociali che desiderano intraprendere l’attività dell’allevamento bovino.
3. Il progetto “quando il bus non passa più” si svolge presso la Fattoria Sociale Conca d’oro, – Bassano del Grappa, ed è dedicato a giovani con difficoltà cognitive.
La nostra “impresa diversamente agricola” ha avvicinato alla terra giovani con difficoltà cognitive che hanno potuto e saputo creare una comunità che produce ortaggi di alta qualità, ma anche beni “relazioni”, perché una buona insalata può diventare veicolo di relazioni umane, oltre che fonte di reddito. Il passaggio fondamentale: passare dall’essere sempre curato a prestare cura a qualcuno (animali) o a qualcosa (piante), permettendo di avere un ruolo nel processo produttivo e di dar un sostegno all’impresa”.
4. Il progetto “Semi di futuro” è attuato dalla Cooperativa Sociale Uscita di Sicurezza, – Grosseto. E’ un progetto che riguarda anziani e persone con disabilità. “L’attività agricola permette di seguire completamente il ciclo di produzione, nel suo divenire e nel suo compiersi: la persona può infatti prendersi cura di tutto il processo di crescita della pianta, dalla semina fino alla raccolta. In tal modo, si contribuisce a sviluppare il senso di responsabilità della persona con disabilità, che acquisisce la percezione di diventare indispensabile per qualcosa, riconquistando “un ruolo” e, di conseguenza, la propria autostima”.
5. Il progetto “Agricola” della Cooperativa Sociale Il Volo, riguarda i malati psichiatrici.
“La cura e le attenzioni quotidiane che il paziente riversa sulle piante insegnano a prendersi cura di sé e il contatto con la natura, stimolando la passione per un ambiente sano e per la vita all’aria aperta, consente la sperimentazione di un senso di benessere e di armonia”.
6. Il progetto “Porto l’orto a Lampedusa”. “Con questo progetto vogliamo da una parte contribuire a rafforzare il tessuto connettivo della comunità lampedusana, su cui troppo spesso grava il peso dell’emergenza, dall’altro riscoprire il valore della terra e restituire all’isola quella vocazione agricola ormai esaurita, coinvolgendo in maniera attiva le persone con disabilità dell’isola”.
In conclusione voglio ribadire con le parole di Giuseppe Orefice che «non può esistere agricoltura senza cura e senza connessioni con le comunità».
La Fondazione Allianz Umana Mente, grazie al supporto di Allianz, in sinergia con il MIPAAF e con le realtà sociali partner continuerà a ricercare progettualità innovative, funzionali ed economicamente sostenibili che realizzino interventi d’eccellenza anche nell’ambito dell’agricoltura sociale. Grazie.

CAMILLO GARDINI
Siamo grati alla Fondazione Allianz Umana Mente e al lavoro di Nicola Corti per questo sostegno intelligente e creativo. I relatori sono stati bravi e quindi concediamo loro ancora mezzo minuto ciascuno per dire una sola cosa, il loro progetto per i prossimi dieci anni. Tre parole ciascuno, iniziamo di nuovo da Maurizio. Prego.

MAURIZIO BERGIA:
Noi abbiamo un grande progetto, avete visto prima il sogno dell’eco-stalla, oggi ospita 12 mucche, il progetto completo ne prevedrebbe 330, perché vogliamo arrivare alla completa autosufficienza alimentare. Il progetto, tra l’altro, ci consentirebbe di abbandonare le stalle tradizionali e completare il villaggio con un sistema di co-housing, quindi con delle esperienze concrete di un abitare condiviso per i ragazzi disabili per il “dopo di noi”, perché ci siamo accorti che alcuni nostri lavoratori non basta lavorare, sono fragili e hanno bisogno di stare in famiglia. Per questo nostro progetto abbiamo un prodotto interessante – faccio uno spot pubblicitario – un prodotto finanziario nuovo: sono i BOP, i buoni ordinari del paradiso, che hanno un rendimento a lunga scadenza altissimo. Cerchiamo degli investitori, se qualcuno vuole provarli poi ci dirà se è soddisfatto o rimborsato. Grazie.

CAMILLO GARDINI:
Claudio. Mezzo minuto.

CLAUDIO COLLINA:
Vista la forte desertificazione e l’abbandono dell’agricoltura nel nostro territorio, la nostra mission per il futuro è prendere questo problema e, come nel passato, cercare di trasformarlo in opportunità per creare posti di lavoro sul territorio e far sì che le persone che vivono il territorio al quale sono legati non debbano spostarsi e fare troppi chilometri per lavorare, in modo che rendano di più e siano contenti giornalmente di quello che fanno.

CAMILLO GARDINI:
Molto bene. Walter.

WALTER SABATTOLI:
Le nuove circostanze hanno ridotto molto le risorse, sia da parte del pubblico che nel campo del fundraising, per cui per noi è indispensabile aprirci sempre di più alla società e al mercato. Stiamo cercando di instaurare dei rapporti significativi con realtà significative del posto. L’esperienza interessante di quest’anno che vorremmo sviluppare è un rapporto con degli chef stellati del territorio che ci stanno aiutando a valorizzare i nostri prodotti e a darci delle indicazioni per aprirci sempre di più al mondo.

CAMILLO GARDINI:
Paolo.

PAOLO GRAMICCIA:
Noi stiamo lavorando sempre di più sul tema dei profughi, quindi il nostro progetto futuro è l’apertura di una casa famiglia per minori e lavorare soprattutto sull’inclusione socio-lavorativa delle persone in uscita. Il progetto formativo è formare queste persone nell’agroalimentare e aiutarle ad inserirsi nel mondo del lavoro. Su questo, fondamentale anche l’ibridazione con società profit, quindi aiutarsi e fare rete per inserire queste persone.

CAMILLO GARDINI:
Ilaria.

ILARIA SIGNORIELLO:
Allora, due sogni. Due, ne buttiamo due. La cantina: noi vinifichiamo, quindi avete capito che “Agricoltura Capodarco” ha puntato molto sui vini; stiamo quindi allargando la cantina a Grottaferrata e il caseificio. Noi abbiamo le pecore a Mistica, quindi vogliamo realizzare con i ragazzi che adesso lavorano sui campi un laboratorio di trasformazione. Se dovessi fare una critica alla nostra Cooperativa è che stare sul mercato significa anche saper comunicare. Saper comunicare: i prodotti di agricoltura sociale necessitano di un linguaggio nuovo, capace di valorizzare quel valore aggiunto che c’è dietro quel prodotto e che rende il “made in Italy” più bello perché narra di terre, narra di sapori, narra di profumi ma narra anche di storie. Grazie.

CAMILLO GARDINI:
Elisa.

ELISA MAPELLI:
Noi vorremmo iniziare un corso anche in pasticceria sempre di qualità e poi mettere un po’ i piedi in mezzo alla città, nel senso di aprire e dare continuità al lavoro all’esterno, aprendo anche all’esterno un nostro punto e continuare su questa strada.

CAMILLO GARDINI:
Complimenti! Nicola.

NICOLA CORTI:
Noi continuiamo a finanziare progetti in agricoltura sociale…

CAMILLO GARDINI:
Evviva! Sempre più budget!

NICOLA CORTI:
… in sinergia con il MIPAAF e speriamo anche di coinvolgere altre realtà della filantropia istituzionale. Ora, va bene la parte riabilitativa, gli educatori, però ci vuole anche qualcuno che sappia della terra. E questo diventa fondamentale, per cui come filantropia istituzionale spero che ci sia la possibilità di cooperare, ragionare insieme al MIPAAF e alle altre realtà interessate, per creare dei poli formativi in Italia dove la gente possa andare a formarsi in questo campo.

CAMILLO GARDINI:
Andrea Olivero è nato a Cuneo nel 1970, dopo il liceo si iscrive a lettere classiche presso l’Università di Torino, si laurea nel 1994. Da sempre attivo nell’associazionismo e nel volontariato, è stato cofondatore della Comunità Emmaus di Boves, per dedicarsi poi alle ACLI, di cui diventa Presidente Nazionale nel 2006. Il 28 Febbraio 2014 è stato nominato Viceministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e a lui adesso toccano le conclusioni di questo incontro e lo ringraziamo per l’impegno che ha messo per far arrivare in porto questa legge. Oggi ne vediamo i frutti dopo un anno e chiediamo a lui una valutazione su questo primo anno di attività e sulle prospettive.

ANDREA OLIVERO:
Buongiorno a tutti e grazie per questa bellissima occasione, grazie al Meeting e grazie agli amici che si sono quest’oggi adoperati per presentarvi le loro storie. Io parto da questa piccola considerazione: avete sentito queste brevi note biografiche, che potrebbero in qualche modo indurvi a pensare che, essendo io un uomo del sociale, che oggi ha un incarico e una responsabilità in un comparto produttivo importante come quello dell’agricoltura italiana, cerco di andare a sostenere le ragioni del sociale in quel comparto e a mettere in luce ciò che il sociale ha fatto. In realtà, il mio impegno sull’agricoltura sociale, così come l’impegno di tantissimi che si sono adoperati in questi anni per la legge, non deriva soltanto da questo aspetto, che naturalmente ho dentro al cuore. Ma deriva dalla consapevolezza che, credo, questa mattina è emersa, che credo che tutti quanti voi abbiate colto, che questa dell’agricoltura sociale è una grande sfida economica per il nostro Paese e una sfida relativa al modello di sviluppo che noi andiamo ad abbracciare per il nostro futuro. Se avete ascoltato, aldilà dell’evocazione del paradiso, è stata fatta una puntuale evocazione di progetti imprenditoriali da parte di coloro che dovevano dirvi cosa faranno nei prossimi anni: apertura di nuovi rami d’azienda (potremmo chiamarli in questi termini), investimenti, scommesse per la crescita, lo sviluppo, per la crescita della qualità delle produzioni. Ebbene, tutti questi elementi sono fondamentali per l’agricoltura italiana. Ma l’agricoltura non può crescere, tutta l’agricoltura, non soltanto questo ramo dell’agricoltura che è l’agricoltura sociale, tutta l’agricoltura non può crescere se non si assume fino in fondo la sua responsabilità sociale. Questa legge nasce come atto dovuto di riconoscimento da parte delle istituzioni di quanto i cittadini singoli, associati hanno costruito in questi anni e guardate che il primo compito dello Stato è riconoscere, non è quello di costruire sovrastrutture. Il sociale non è un orpello, non è un elemento aggiuntivo: è un elemento basilare, senza il quale non si sviluppa buona economia. Questo è il tema fondamentale che io credo stamattina sia emerso. Oggi abbiamo già numeri di tutto rilievo: ci sono oltre 3000 aziende che sono nel settore dell’agricoltura sociale in quanto tale, esplicitamente, con oltre 30mila addetti, con oltre duecento milioni di fatturato: quindi stiamo parlando di un comparto economico già esistente e importante, ma molto di più si potrà fare negli anni a venire, se sapremo cogliere quello che questa mattina è stato ricordato, cioè la necessità di andare a lavorare per dare la dignità a ciascuno e mettere ciascuno nella condizione di poter essere attivo nei confronti della società. Noi dobbiamo andare attentamente a valorizzare quello che è la qualità a tutto tondo, non soltanto la qualità intrinseca del prodotto, ma la qualità anche della produzione, la qualità dei territori, la qualità della vita comunitaria. Guardate, io vi parlo in questo caso prettamente di logica economica. Quando noi oggi parliamo di competitività dell’agricoltura italiana e dell’agro-alimentare italiano, parliamo di una competitività non sul fronte dei numeri (noi non abbiamo e non avremo mai grandi numeri produttivi: siamo un piccolo Paese sotto questo profilo), non possiamo parlare di competitività nemmeno per quanto riguarda i costi (sebbene dobbiamo fare un grande lavoro a questo riguardo, ma i nostri costi per tanti motivi, compresi quelli legati al nostro territorio, sono più elevati della gran parte dei costi dei nostri competitori internazionali). Noi competiamo quasi esclusivamente nell’ambito della qualità e su questo noi giochiamo la nostra possibilità di stare sui mercati. Ma come si gioca questa competizione sulla qualità? Guardate, in questi anni le esperienze più interessanti sono quelle che hanno scommesso sullo sviluppo del proprio territorio, su un armonico sviluppo del proprio territorio. Non cresce il singolo imprenditore, il singolo prodotto: cresce un territorio che trova una sintesi capace di andare a sviluppare una coesione sociale nel territorio e fare in modo che sia percepibile la qualità di quel territorio, che poi il singolo prodotto evoca in maniera straordinaria. Io sono cuneese, è stato citato: vi garantisco che i grandi vini delle Langhe non sono grandi soltanto per il prodotto vino, ma sono grandi per le Langhe! E vi dico di più: sono grandi anche per le comunità vive che ci sono nelle Langhe e se noi non avessimo quelle comunità vive, noi non riusciremmo a dare lustro, a dare importanza a quei prodotti. Ma come teniamo la coesione sociale? La coesione sociale la si tiene se c’è l’assunzione di responsabilità sociale da parte di tutti. Le esperienze che abbiamo ascoltato questa mattina sono esperienze di assunzione di responsabilità in una logica di sussidiarietà da parte di cittadini e da parte di imprese, per garantire il welfare, per garantire lo sviluppo, per garantire la coesione, per fare in modo che nessuno sia lasciato da parte, ma che tutti siano coinvolti in questo processo. E l’agricoltura (non devo spiegarlo io dopo le cose che sono state dette) è uno strumento straordinario a questo riguardo, assolutamente straordinario. Allora, in questa logica, voi capite che le esperienze di agricoltura sociale non sono una fantastica nicchia dell’agricoltura, ma sono un fantastico esempio per tutto il comparto agricolo italiano per svilupparsi, mantenendo appunto questa connessione con il territorio e andando a creare quella coesione sociale che è l’unico vero presupposto per uno sviluppo, per lo sviluppo autentico. Per farlo, dobbiamo fare quella contaminazione di cui qualche anno fa ci parlava Papa Benedetto nella Caritas in veritate: noi non possiamo pensare di segmentare, di tagliare via alcuni pezzi; non possiamo pensare di tenere il profit e il non-profit separati e spesso in conflitto. Dobbiamo imparare a far sì che, da un lato, ogni impresa consideri parte integrante della sua mission il durare nel tempo ed essere connessa al suo territorio, e dall’altro lato, che ogni impresa sociale (l’avete ascoltato stamattina) consideri i bilanci in ordine come una parte integrante della sua missione sociale, perché anche questo c’è. E in questa logica, in questa prospettiva, noi possiamo crescere, possiamo svilupparci. Il nostro mondo della politica, come dicevo, ha colto, attraverso la legge sull’agricoltura sociale, questa grande sfida. E ha dato, io credo giustamente, un’opportunità aggiuntiva a queste imprese, andando a riconoscere che le attività sociali che sono svolte all’interno delle aziende agricole che hanno queste caratteristiche che voi avete ascoltato questa mattina, sono parte integrante dell’attività d’impresa: in termini tecnici, la connessione, cioè un tutt’uno. Non c’è bisogno di tenere delle partite separate, non c’è bisogno di andare ad avere una contabilità né una tassazione separata: è un tutt’uno perché è parte integrante dell’attività d’impresa. E ancora, abbiamo colto la necessità di andare a sviluppare una particolare attenzione per promuovere questo sistema: come dicevo prima, noi non dobbiamo se non riconoscere e promuovere. E nella produzione, in particolare, aiutare quei tanti giovani che vogliono oggi attivarsi in percorsi imprenditoriali, ma che spesso non hanno le competenze per poterlo fare: oggi l’agricoltura è difficile, complessa; richiede innovazione, richiede investimenti. Questo è il grande lavoro che noi oggi dobbiamo compiere e che nei prossimi mesi ci vedrà impegnati nel dare piena attuazione alla legge. Abbiamo iniziato con un piccolo progetto (lo avete ascoltato, probabilmente, già nelle settimane scorse): 1000 ragazzi in servizio civile nelle aziende di agricoltura sociale in Italia, già nei prossimi mesi. Perché fin da subito noi riteniamo che qui ci sia uno straordinario patrimonio educativo da mettere al servizio delle nuove generazioni. Il primo e più grande progetto è quello di mettere a disposizione di quanti lo vorranno fare, di quanti vorranno abbandonare il posto fisso o non cercarlo del tutto, attivandosi nell’attività auto-imprenditoriale, mettere a disposizione le tantissime terre sequestrate alle mafie, le tante terre abbandonate nei nostri territori, nelle nostre aree interne, le tante terre pubbliche che oggi non vengono assegnate, affinché si possano sviluppare nuove attività d’impresa, si possa fare nuovo lavoro, si possa anche produrre più cibo per tutti, e, in particolare, anche per quanti non ne hanno anche nel nostro Paese. Perché, in fondo, ci possa essere questa vera e propria rivoluzione, questo cambiamento dal basso che, voglio ancora ribadirlo, non è un cambiamento di una parte del comparto agricolo, ma un cambiamento che noi chiediamo a tutto il comparto agricolo. Abbiamo in questi anni, in maniera piuttosto rapida, compreso la necessità di avere un nuovo rapporto con il territorio, con la tutela ambientale. Voi, se anche 10, 15, 20 anni fa aveste girato le nostre campagne, parlando di sostenibilità ambientale, gran parte del mondo agricolo vi avrebbe accolto non certamente a braccia aperte: oggi non c’è agricoltore che non ponga tra i suoi obiettivi la sostenibilità ambientale! Ebbene, noi abbiamo intrapreso questo percorso perché vogliamo che tra dieci anni tutte le nostre imprese agricole considerino altrettanto fondamentale l’assunzione della propria responsabilità sociale. Allora il comparto agricolo sarà (come è stato e come dovrà essere, perché questo è il suo ruolo) davvero il settore primario, il settore che sta in testa a tutti, anche nell’indicare qual è il modello di sviluppo per il nostro futuro. Grazie davvero di cuore, grazie per quello che avete fatto, ma soprattutto per quanto l’agricoltura sociale saprà fare per il futuro.

CAMILLO GARDINI:
“Tu sei un bene per me”, questo è il titolo del Meeting: con questi interventi, con questi incontri credo si sia reso più chiaro il significato e l’importanza per ogni persona di considerare questo approccio al lavoro, alla vita, un percorso per ciascuno di noi. Un saluto e un applauso…

ANDREA OLIVERO:
Un saluto a don Franco, che, come abbiamo sentito, è un padre di questo mondo e quindi naturalmente a lui un grande ringraziamento.

DON FRANCO:
Io voglio dire che la rivoluzione che si fa con l’agricoltura sociale non è solo economica: è culturale. Io rappresento anche il mondo del sociale e dei deboli, su cui il welfare italiano è tornato indietro, mi dispiace dirlo, dopo 50 anni di lotta, e abbiamo problemi scopertissimi da affrontare: quello del “dopo di noi”, che è la grande chance su cui le famiglie dei disabili puntano per avere un futuro integrato il più possibile, non solo nel lavoro, ma nel vivere. I giovani disabili che rimarranno soli senza genitori sono 250 mila in Italia, secondo la statistica dell’Istat, e noi dobbiamo puntare su questa vita che l’agricoltura può dare loro, di realizzazioni lavorative, ma anche di stare insieme con gli altri. L’altra grande forza su cui puntiamo è quella dei giovani: questa storia dei 1000 giovani che dovranno fare servizio civile in agricoltura è una grande chance. Noi puntiamo sull’integrazione possibile dei giovani normali che vanno a scuola insieme con gli handicappati, perché sognino un futuro insieme, una realtà di vita e di lavoro. Questa è un’altra grande cosa che stiamo portando avanti con tre Ministeri. Quindi il mio futuro è lavorare su queste cose.

CAMILLO GARDINI:
Complimenti a don Franco. Grazie a tutti i partecipanti e a tutti i relatori, arrivederci.