RESTAURARE IL CIELO, IL RESTAURO DELLA BASILICA DELLA NATIVITÀ A BETLEMME

RESTAURARE IL CIELO, IL RESTAURO DELLA BASILICA DELLA NATIVITÀ A BETLEMME

Partecipano: Mariella Carlotti, Insegnante e Curatrice della Mostra; Giammarco Piacenti, Presidente Piacenti SpA; Tommaso Santi, Regista. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere.

 

BERNHARD SCHOLZ:
Buonasera a tutti e benvenuti a questo incontro sul restauro della Basilica della Natività di Betlemme, saluto in modo particolare la curatrice della mostra, Mariella Carlotti, Giammarco Piacenti, che è il presidente dell’azienda che si è aggiudicata in un appalto internazionale il restauro della Basilica e Tommaso Santi, il regista di tutti i filmati che vedete nella mostra e nel dvd che spero acquistiate tutti.
Siamo contenti che e un’azienda italiana è riuscita a vincere, insieme con altre 60 aziende che Giammarco è riuscito a riunire, un appalto internazionale. Le aziende italiane hanno un potenziale enorme, hanno una capacità, una competenza a livello di eccellenza che tranquillamente può competere con tutte le altre nazioni. Inoltre questo restauro ha creato una collaborazione non solo fra queste 60 imprese, ma anche con tante imprese nel territorio palestinese. Sono stati abbattuti pregiudizi, sono stati abbattuti limiti e differenze culturali e il fatto di poter lavorare insieme si è verificato come qualcosa di molto costruttivo, costitutivo di rapporti, di dialogo fra culture. E’ la bellezza che è stata valorizzata attraverso questo lavoro e la bellezza si è dimostrata di nuovo come un fattore riconosciuto da tutti per la sua evidenza originale, è diventato fattore di collaborazione, di legame, di relazione. La chiesa di Betlemme, tra l’altro, non è mai stata distrutta in tutte le guerre, ed è stata sempre riconosciuta da tutte le religioni come un edificio significativo, simbolico e noi speriamo che anche la mostra su questo restauro abbia un valore simbolico, nel senso pieno di questa parola, diventi simbolo di unità, di dialogo, che ci aiuti anche a vivere tutte le sfide contemporanee che dobbiamo affrontare. Abbiamo chiesto a Giammarco, a Mariella e a Tommaso non tanto di parlarci della mostra che vi invito tutti a visitare ma di raccontarci le ragioni per le quali si sono appassionati a questo lavoro. Iniziamo con il racconto di Giammarco.

GIAMMARCO PIACENTI:
Buonasera a tutti, vi ringrazio di essere intervenuti così tanti, io l’anno scorso sono stato per la prima volta al Meeting e ho avuto l’impressione che anche questo sarebbe stato il posto ideale dove presentare questi lavori, soprattutto se presentati e curati da Mariella Carlotti. Questo è stato il mio desiderio, il mio sogno e si è avverato. Come si è avverato, l’aver potuto lavorare in quel fantastico edificio così importante nella nostra storia, nella nostra cultura, nella nostra fede. Vi ho portato un po’ di slide, possiamo proiettarle, sono un po’ tante, le scorro veloci, servono per dare l’impressione che ho avuto io quando sono andato in Palestina. L’esperienza in Palestina è nata nel 2013, ho visto questo bando internazionale su internet, l’Autorità nazionale palestinese qualche hanno prima aveva fatto il progetto e avevano partecipato tanti gruppi italiani. Le condizioni erano molto particolari, per me restauratore molto affascinanti, perché una chiesa così originale è difficile da trovare, intoccata, bellissima. Sono stato scaricato qui dal mio taxi che mi ha lasciato a 500 m dalla Rachele tomb, la tomba di Rachele dove c’è il muro che divide Gerusalemme da Betlemme. La sera, a tarda sera, sono arrivato al Casanova, la casa dei francescani, il giorno dopo ho fatto la mia prima presa visione, questo ancora durante la gara. Ho visto i segni dell’assedio del 2002 degli israeliani che hanno attaccato la basilica. Abbiamo vinto la gara. Era la fine di luglio del 2013 e abbiamo firmato il contatto il 16 agosto del 2016 con il primo ministro palestinese, il ministro per il culto e i rappresentanti delle tre confessioni, la confessione greco ortodossa, la cattolica latina e l’armena. I pensieri che giravano nella mia testa erano questi: riuscire a portare i materiali in Palestina e organizzare tutto, mettere insieme italiani, palestinesi, riuscire a proteggere tutte queste opere bellissime, ma la soddisfazione di poter mettere le mani all’interno di questo fantastico edificio che tutti hanno studiato ma non tutti hanno avuto la possibilità di vederlo, ci ha portato a lavorare anche durante la notte. Durante la notte era un privilegio lavorare. E’ stato importante coordinarsi tutti insieme, ma la cosa più bella credo siano questi scatti, questi momenti, questi tramonti passati sul tetto di questa chiesa. Questo era l’interno della Basilica prima dei restauri, questo il tetto che viene smontato. Tante le cose smontate, non è stato solo lavoro, è stato anche uno studio, uno studio molto importante, uno studio storico, archivistico, archeologico, di materiali di epoche. Eravamo alla ricerca di tanti piccoli segni che quelli prima di noi non hanno potuto vedere. Siamo riusciti a entrare in alcune parti dove nessuno ci è mai arrivato da centinaio di anni, e soprattutto siamo riusciti a far finire l’acqua che entrava dentro la basilica o la neve. Il fuoco di queste candele illumina l’interno della chiesa ma nello stesso tempo la distrugge e la riempie di residui carboniosi che ricoprono i mosaici e la insudiciano. Le viste meravigliose dall’alto, dai campanili, dei conventi circostanti, le visite di tanti personaggi, personaggi incredibili che mai ti saresti aspettato di incontrare. E oggetti incredibili, tipo la porta armena, un’opera in legno meravigliosa di 800 anni fa, con i suoi particolari fantastici. Scavi che hanno rivelato tantissima storia, monete, ceramiche, pezzi di mosaici, i ritrovamenti in questa chiesa sono tantissimi e la domanda perché l’abbiamo presentata adesso è perché ci sono talmente tante cose da dire su questa chiesa che bisogna iniziare presto per raccontarle tutte. Fortunatamente tutti quelli che hanno lavorato con noi hanno messo qualcosa di più del normale lavoro, tutti hanno messo non solo la propria esperienza, la propria capacità, ci hanno messo la vita, ci hanno messo il cuore. Quando è stato scoperto il settimo angelo da Silvia, mia nipote, è stata un’emozione pazzesca. È stato scoperto a marzo dell’anno scorso e a giugno anche il Papa l’ha ricordato e ci ha usati come una metafora. Sono emozioni che sono difficili da raccontare. L’entrata di Cristo in Gerusalemme guardate com’era in basso, non si vedeva niente, non si vedevano i bambini che stendevano i vestiti, è incredibile. E speriamo che questo lavoro continui, perché Betlemme ha bisogno che questa chiesa risplenda in tutta la sua bellezza, ha bisogno del restauro delle colonne, ha bisogno del restauro del pavimento, ha bisogno degli impianti elettrici, ha bisogno dell’allarme per gli incendi. Abbiamo girato questo documentario di cui siamo orgogliosi e che Tommaso Santi poi vi presenterà e con questo ho finito, grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie Giammarco. Quando abbiamo chiesto a Mariella di prendere in considerazione una mostra su questi lavori che abbiamo appena visto, lei ha fatto un viaggio perché voleva vedere in prima persona i lavori nonostante il fatto che l’aereo non sia proprio il metodo di trasporto che più apprezza nella sua vita. Però ha osato, è andata e tornata e adesso ci dice perché ha deciso di fare la mostra.

MARIELLA CARLOTTI:
Voglio raccontare come è nata per me l’idea di questa mostra. Io ho conosciuto Giammarco credo 4 o 5 anni fa, andando a fare una lezione al Lions Club a Prato e dovevo fare una lezione sulle formelle del campanile di Giotto, non avevo mai visto Giammarco e ho fatto le mie lezioni sul campanile di Giotto che molti dei presenti conoscono, è il più grande ciclo di storia del lavoro della nostra storia dell’arte ed è sul campanile di Firenze. Ho fatto questa lezione, alla fine di questa lezione mi siedo a cena, avevo vicino lui che mi dice: “Ma tu sai chi ha restaurato queste formelle?” Faccio: “No”. “Io”. Io mi intimorisco un attimo e lui mi dice: “Ce ne ho avute diverse tra le mani, per molto tempo non avevo capito nulla”. Da quella sera abbiamo cominciato a sentirci, fino a quando mi ha detto che aveva vinto questo appalto per Betlemme. Emi ha detto anche che a Betlemme era rimasto colpito da una cosa che di solito non si dice, che il cristianesimo non è una religione, è un fatto, e lui stava lavorando mettendo le mani su questo fatto e questo per me è stato il punto che me l’ha reso veramente amico. Perché uno è amico per sempre quando ti dice una cosa così. Dopodiché, l’anno scorso, mentre facevo la mostra sul Duomo di Firenze, avevo visto che lui era venuto a vedere la mostra e dopo un mese mi arriva una mail in cui mi dice: “Mi piacerebbe venire al Meeting, pensavo ad un evento per presentare il restauro della Basilica della Natività, ma questo evento l’ho già visto è il Meeting, vorrei portare al Meeting questa mostra, se tu mi aiuti”.
La mail era molto più complicata e lunga, come avete capito, ma il concetto era questo. Allora io l’ho chiamato e gli ho detto: “Ma hai già finito il lavoro di restauro?” E lui mi dice: “No, ma il bello è questo, raccontare, non il restauro quando è finito, ma mentre succede”. Questa cosa mi ha molto incuriosito perché io ho visto sempre mostre sui restauri fatti a restauro finito, e per me è stato questo il punto di curiosità. Comunque sono partita e gli ho detto “guarda che comunque – io continuavo a ragionare da professoressa di storia dell’arte – io non so nulla sull’arte bizantina e ancora di meno sul restauro”. Lui mi ha detto: “Guarda, vieni giù e vedi”. Sicché sono andata cinque giorni con Marco Barbone a Betlemme e comunque mentre andavo ero convinta di andare a verificare se esisteva il materiale per fare una mostra storica o storico-artistica. Perché questo è quello che io ho, diciamo così, quello che fino a quest’anno era nelle mie corde. Poi andando giù, andando a Betlemme, sono rimasta molto colpita da molte cose che ho visto, sono rimasta colpita dalla Palestina, sono rimasta colpita da Betlemme e sono rimasta colpita da quello che ho visto in Basilica, perché ho visto un luogo che è stato per secoli un luogo di preghiera per cristiani e mussulmani e vedere in questo mondo che c’è stato e c’è un luogo che è un luogo di preghiera comune, questo certamente mi ha toccato.
Ho visto ed è la seconda cosa che mi ha colpito, ho visto quello che non avrei mai pensato di vedere in vita mia, perché ho sempre immaginato che cosa doveva essere un cantiere di una cattedrale medievale, ma il cantiere di Betlemme è molto simile al cantiere di una cattedrale medievale, perché loro stanno facendo il restauro integrale della Basilica e quindi lavorano a fianco a fianco persone che hanno competenze personali assolutamente diverse, dal muratore al professore universitario, dal mosaicista all’artigiano del legno e m’ha fatto molta impressione vedere una cosa che sapevo. Ma un conto è sapere una cosa, un conto è vederla. Che la dignità del lavoro non dipenda dal tipo di lavoro che fai ma dall’opera che costruisci, cioè che ha la stessa dignità il lavoro del muratore e quello del professore universitario, lì lo avvertono perché nessun gesto è banale, perché mettono le mani in qualcosa che resterà nella storia. Credo che il gusto del lavoro dipenda da questo, dal fatto che uno si accorge che il gesto che fa, che sia spazzare in terra o fare un calcolo strutturale, è il pezzetto di un mosaico più vasto, che tu consegni alla storia. E mi ha molto colpito anche che l’età media di chi lavora in questo cantiere è intorno ai 30 anni. E anche questo è strano, vedere gente giovane che lavora insieme. Mi ha colpito Betlemme, perché ho visto un luogo in cui lavorano e creano legami persone che appartengono a culture, tradizioni e religioni diverse; ho visto lavorare insieme muratori mussulmani e tecnici cristiani e ho visto insieme armeni ortodossi e cattolici. In fondo la notizia per me era che nel Medio Oriente c’è un posto in cui si lavora insieme, in cui si creano legami, perché quello che ci viene continuamente restituito è che il mondo è una serie di luoghi in cui continuamente si distrugge e perciò è una sorpresa vedere un posto in cui si costruisce. Tanto più vederlo in una terra e in una Basilica in cui i segni della divisione sono evidenti, i segni della guerra sono evidenti. Ecco io sono tornata da quel viaggio con alcune cose chiare: primo, che Giammarco aveva vinto la scommessa perché mi ero entusiasmata; secondo, che c’è una cosa più bella che fare una mostra su un’opera d’arte ed è fare una mostra sul cantiere, perché il cantiere è più del risultato e raccontare un cantiere è raccontare la cosa più entusiasmante, perché per chi ama la vita, correre è più bello che arrivare. E lì ho visto il gusto del cantiere, perciò la mostra di quest’anno è una mostra molto particolare, che abbiamo anche molto faticato a fare, perché è molto facile fare una mostra storico-artistica, se hai delle immagini molto belle ci riesci anche molto facilmente, è molto più difficile, invece, raccontare il lavoro che c’è dietro la bellezza. Questa è la cosa che mi ha entusiasmato quest’anno.
Inoltre ho visto che cos’è un’azienda, ho visto con orgoglio che cosa può essere un’azienda italiana nel mondo, quali sono i punti di eccellenza, questa capacità incredibile di creare rapporti e questa qualità bellissima del prodotto. Per esempio, sono rimasta colpita che nel fare il rilievo dei mosaici, loro hanno fatto il rilievo dei mosaici tessera per tessera: 1.600.000 tessere di mosaico, di cui ci sono le misure, l’inclinazione, se è stata riallettata, se è originale. Questo non era un lavoro previsto dal contratto, ma io credo che ciò che rende bello il lavoro è ciò che nel lavoro non è pagato, è quel margine di gratuità che rende il lavoro una cosa gustosa, quello che nel lavoro non è dovuto.
Infine, credo che in un mondo globalizzato la scommessa dell’integrazione si giocherà nelle scuole e nei luoghi di lavoro.
E perciò sono tornata a insegnare, sapendo che vera partita non si gioca a Bruxelles ma si gioca nelle aule di scuola e nei luoghi di lavoro, si gioca nella basilica di Betlemme e al Marconi di Prato.

BERNHARD SCHOLZ:
Tommaso Santi che in modo molto discreto ma molto incisivo ha registrato i lavori, ha documentato tutta la bellezza che ha accompagnato il restauro. A lui la parola.

TOMMASO SANTI:
Grazie. Innanzitutto grazie a voi e grazie al Meeting per l’ospitalità e l’accoglienza, è stata un’esperienza sinceramente molto bella. Io mi chiamo Tommaso Santi e sono fondamentalmente dentro me stesso uno sceneggiatore, poi tante volte la vita mi ha portato a realizzare documentari più o meno importanti, più o meno significativi. Però sono uno sceneggiatore e quindi come tutti gli sceneggiatori ho un unico desiderio, trovare storie, storie da raccontare e siccome ho la fortuna o la sfortuna di essere concittadino di Giammarco Piacenti, come un pesce intorno all’amo per tanti mesi giravo intorno a questa storia di questo pratese, finito in Palestina a restaurare la Basilica della Natività. E naturalmente ogni volta che mi avvicinavo a quest’amo trovavo l’esca sempre più gustosa e il desiderio di abboccare a quest’amo era fortissimo, perché mi sembrava una storia fantastica. Un giorno ho preso il telefono e ho detto “beh non ci conosciamo molto bene proviamo a chiamare il signor Piacenti e chiediamo se sono arrivato decimo o cinquantesimo tra coloro che lo hanno cercato per chiedere di realizzare un documentario sul restauro”. Pensavo che prima di me fosse arrivata la BBC o National Geographic o Sky arte, perché mi sembrava una storia talmente straordinaria da rendermi ingenuo nel desiderare di raccontarla. Invece ho chiamato Giammarco e lui mi ha detto: “Veramente sei il primo che mi chiede di fare un lavoro di questo genere, vediamo se riusciamo a realizzare qualcosa”. Quel qualcosa fortunatamente è stato organizzato e nel giro di 15 giorni mi sono trovato su un aereo, con la mia telecamera e con un valente aiuto che si chiama Matteo, per andare a girare un documentario sul restauro della Basilica della Natività. Ora io devo dire che Betlemme è un luogo che, come altri luoghi del nostro immaginario, fa parte della nostra cultura, della mia almeno, è un luogo che sentiamo amico: Betlemme è da sempre, dal primo presepe che probabilmente ricordiamo nella nostra infanzia, Betlemme esiste da sempre. Infatti, quando arrivi a Betlemme, ti senti in un posto che conosci da sempre, che in qualche modo fa parte di te. Non solo la Basilica della Natività, anzi forse la Basilica della Natività è il luogo più strano, perché è nascosto, ti aspetti dietro la parola Basilica un luogo maestoso, imponente, una grande facciata, sei in qualche modo fuorviato dalla tua esperienza europea di cattedrali medievali, di cattedrali gotiche che comunque hanno un ruolo importante nella topografia e nell’urbanistica delle nostre città. In realtà è il luogo di Betlemme stesso, il paese di Betlemme che ti accoglie e che senti amico, poi però c’è un aspetto che quando varchi quella piccola porta, che è la porta dell’umiltà, che è l’ingresso della Basilica della Natività, ti sorprende, perché ti accorgi che forse non avevi capito tutto, non ti eri reso conto che la storia che volevi raccontare era tutta sbagliata, perché ti eri costruito degli schemi, ti eri costruito un soggetto, ti eri costruito una scaletta, poi entri dentro e ti trovi di fronte a un luogo in cui effettivamente tocchi quello che significa davvero essere parte di una fede e tocchi anche la spiritualità delle persone non solo che ci vivono, ma nel nostro caso delle persone che ci lavorano.
E quindi tutti gli schemi saltano, arrivi dentro e ti trovi in una realtà che è come fuori dal contesto. Vai in Palestina e ti immagini di dover realizzare un documentario in cui raccontare il lavoro di Piacenti, il restauro della Natività, il contesto, ma ad un tempo non puoi non pensare di parlare del fatto che c’è un muro che ci divide da Gerusalemme a 8 km da lì. Però, man mano che ci vivi, ti rendi conto che la storia va oltre la spiritualità di questo luogo, va oltre questo, e che la bellezza di questo luogo supera anche questo conflitto, perché all’interno effettivamente la cosa straordinaria è che si vive una clamorosa armonia. Mi viene da sorridere, perché è strano parlare di armonia nella basilica della natività. Sappiamo che è gestita da tre confessioni, sappiamo che queste tre confessioni fino a pochi anni fa erano in conflitto, sappiamo che il restauro era difficile perché questo conflitto esisteva. Eppure paradossalmente questo restauro ha creato un miracolo, ti rendi conto che quello che devi raccontare è che qua è avvenuto un miracolo, questo conflitto che noi non conosciamo, cioè tra tre confessioni cristiane che gestiscono la basilica è sparito, perché queste tre confessioni avevano un unico desiderio: ritrovare la bellezza, ridare dignità a questo luogo. E quindi ecco che il racconto è di nuovo cambiato, è cambiato ed è andato in direzione di qualcosa che avevo sì pensato da subito, cioè che qui dentro, dentro la Basilica della Natività, stava avvenendo qualcosa che, anche se non sono un amante del genere, era stato raccontato da Ken Follet nei Pilastri della terra: cioè un’opera del duomo che di fatto ricostruisce una cattedrale e questo stava avvenendo adesso, non nel medioevo come raccontava Ken Follet, ma adesso nel XXI secolo. Ed è stato bello quindi salire dal pavimento della Basilica sulle impalcature e arrampicarsi verso i mosaici e verso il tetto, perché ti rendi conto che la storia che ti eri raccontato era vera, cioè che in questo momento, in questa terra era nata un’opera del duomo che stava restituendo a tutta l’umanità la bellezza di una cattedrale che di fatto era scomparsa dall’immaginario collettivo. Nessuno penso possa dire di aver visto la Basilica della Natività: lo potranno dire, penso, d’ora in poi, perché la Basilica della Natività è tornata alla luce grazie al lavoro del restauro che è in corso adesso.
La cosa bella però è che di fronte a tutto questo, uno probabilmente avrebbe pensato di trovarsi di fronte al racconto di una presunzione e di una superbia da parte di questi restauratori e di queste persone che stavano lavorando alla Basilica, perché effettivamente, come diceva Mariella, anch’io ho detto: “Beh vi rendete conto che state entrando nella storia? Quando tra un secolo si parlerà della Basilica di Betlemme, si dovrà per forza raccontare che nel 2013 è stato fatto un restauro integrale di questo monumento, patrimonio dell’umanità”. Invece nessuno pensava a questo, nessuno aveva questa presunzione. Nei mosaici c’è una firma di uno degli autori, Basilius Pictor, e durante le interviste realizzate per il documentario, ho avuto la fortuna di parlare a lungo con il professor Michele Bacci, che oltre ad averni raccontato storie straordinarie, mi ha aperto gli occhi su questa firma che io stoltamente da occidentale del XXI secolo pensavo fosse un gesto di presunzione, di superbia, di un autore che aveva voluto incidere per sempre nella storia il suo nome ai piedi di un angelo. E lui mi ha detto: “Guarda ti sbagli, tu ragioni come un uomo di questi tempi, Basilio ragionava come un uomo del suo tempo e non aveva presunzione né orgoglio, si firma ai piedi di un angelo semplicemente per ringraziare il cielo di aver realizzato questa opera e per chiedere a questo angelo di accompagnarlo nel suo percorso verso la grotta”. E’ quindi una firma di devozione, non di presunzione. Forse allora tutti i restauratori che hanno lavorato a questa Basilica, alla mia domanda se si fossero resi conto di essere entrati nella storia, hanno sorriso perché loro non vogliono entrare nella storia ma si sentono grati di aver partecipato ad un restauro di questo genere per semplice devozione e gratitudine. Questo è quanto. Voglio concludere dicendo soltanto una cosa. Le storie sono infinite, Betlemme è una miniera di storie tragiche, bellissime, la storia più bella, però, è quella che racconta il sindaco di questa città, quando dice che questo restauro è un segno di pace che Betlemme lancia al mondo. Vi posso assicurare che questa frase non ha niente di retorico e non ha niente di banale, è la verità, perché effettivamente attraverso questo restauro Betlemme lancia al mondo un messaggio di pace importantissimo. Mentre in alcuni luoghi monumenti anche bellissimi vengono distrutti in nome della fede, in questo caso un monumento, grazie al Governo palestinese, grazie anche all’aiuto della comunità e di privati mussulmani, viene restituito a una bellezza originale, mai vista prima e questo avviene insieme a degli europei, a degli italiani. Questo è molto significativo e avviene con tre chiese che per la prima volta si sono unite per fare questo lavoro, superando secoli di odio e di discussioni. Per questa ragione effettivamente è valso la pena raccontare questa storia, in maniera lineare, forse anche didattica e didascalica, perché in fondo è un messaggio di pace che arriva dalla Palestina e di questo sono felice: in qualche modo abbiamo testimoniato un messaggio di pace in questo periodo di guerra, e di questo dobbiamo essere grati.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie Tommaso, adesso vediamo i trailer del documentario.
Vi invito tutti a guardare la mostra e per chi non riuscisse a vederla in questi giorni, la mostra sarà resa itinerante appena finito il Meeting, quindi potete anche portarla nelle vostre città. Voglio fare un’ultima osservazione: il titolo che abbiamo scelto, “Restaurare il cielo”, sembra paradossale, ma penso che le tre testimonianze lo abbiano espresso in maniera commovente. Il cielo ha toccato la terra, un pezzo di cielo è in terra e noi tutti auspichiamo, speriamo di poter far esperienza del fatto che in qualsiasi ambito della vita il cielo ha toccato la terra. Restaurarlo, edificarlo vuol dire edificare se stessi e creare luoghi di pace. In questo senso la mostra vuole essere un simbolo vero per tutti. Grazie e buon Meeting.

Data

20 Agosto 2016

Ora

20:45

Edizione

2016

Luogo

Sala Poste Italiane A4
Categoria
Incontri