INVITO ALLA LETTURA CHECK UP CALCIO. Migliorare tecnica & tattica con il metodo dei movimenti fondamentali

Presentazione del libro di Roberto Scandroglio, Allenatore A.S.Cometa S.D., Istruttore Milan Camp (Ed. Ares). Partecipano: l’Autore; Sandro Bocchio, Giornalista di Tuttosport; Innocente Figini, Vice Presidente A.S.Cometa S.D.; Marco Platania, Presidente Cdo Sport. Introduce Nando Sanvito, Giornalista TV.

 

NANDO SANVITO:
Possiamo cominciare. Buongiorno a tutti, grazie di essere venuti. Io non so se la ragione della vostra presenza qui è suggerita dal titolo: Come migliorare tecnica & tattica con il metodo dei movimenti fondamentali. Quindi immagino che magari qualcuno è venuto qua sperando di imparare a giocare a calcio. Noi però presumiamo di avere uno che il calcio lo insegna veramente e che ha fatto un libro, raccogliendo vent’anni di esperienza sua con i ragazzi. Intanto ho fatto sparire questa cosa qui, perché Attilio Malderea non è potuto venire. Attilio, voi sapete, è responsabile del settore tecnico giovanile federale e collaboratore anche di Filippo Galli nella Primavera del Milan. In compenso abbiamo acquisito, ma era già stato acquisito prima della defezione di Malderea, Sandro Bocchio di Tuttosport, che non ci aggiornerà sul calcio mercato, quindi vi deludo subito. Per cui possiamo andare sulla sostanza e la sostanza è che come insegna il Meeting, tante cose succedono non perché è giusto che succedano, ma perché ci sono degli incontri che le fanno succedere e non saremmo qui a presentare questo libro di Roberto Scandroglio, se non ci fosse stato un incontro, un incontro di Roberto Scandroglio con Innocente Figini e la sua Cometa.
Per questo io direi di partire da questo incontro e da come è nata questa cosa, cedendo la parola a Innocente Figini, che è uno dei due animatori del’esperienza di Cometa che ci può raccontare cosa è successo.

INNOCENTE FIGINI:
Come premessa devo dire che non sono un addetto ai lavori come è stato detto prima, quindi non sono un tecnico sportivo, tantomeno un tecnico di calcio. Comunque io sono qui perché mi è capitato di incontrare Roberto Scandroglio cinque o sei anni fa, quando all’interno dell’associazione Cometa, con mio fratello Erasmo, avevamo deciso di far nascere un’associazione sportiva, per impegnare i tanti ragazzi che vivono lì. L’Associazione Cometa, vedo qui tante facce che sono state su e sanno cos’è, è una associazione che è nata dieci anni fa esattamente, da due famiglie, quella mia e di mio fratello, che sono andate a vivere insieme e che si sono aperte all’accoglienza. Da lì c’è tutta una storia, ormai sono più di cento i ragazzi che girano attorno a questa associazione. Però dovete concedermi un minuto, perché è nata questa idea dell’associazione? E’ nata quando io e mio fratello abbiamo accompagnato uno dei ragazzi che vive lì con noi alla solita partita domenicale. Di solito noi non ci fermiamo, li accompagniamo e andiamo e poi magari qualcuno li porta a casa. Quel giorno ci fermammo e la cosa che ci sorprese, forse anche disgusto si può dire, fu la posizione dell’allenatore, a cui erano affidati questi ragazzi. Primo per l’agonismo che vedeva come unico punto del calcio e nell’agonismo intendo i calci alle caviglie degli avversari suggeriti e voluti, oppure un individualismo esasperato oppure anche un’assurda competizione all’interno della squadra e anche sugli spalti, per cui sugli spalti c’erano i genitori e oltre a volare parolacce volava anche qualche pugno. Come dire, era come se tutto fosse legato a quei novanta minuti della partita, il resto non c’entrasse. Venivano esaltate le individualità e venivano sempre più lasciati lontani invece quelli che sapevano meno giocare. Ecco, Roberto Scandroglio è proprio l’opposto di questo. Basta guardare soprattutto quando allena i pulcini, lì tra i pulcini ci sono parecchi che hanno, come dire, delle difficoltà motorie, ecco il suo punto di allenamento è quello di tirar fuori da tutti il massimo delle potenzialità che hanno, proprio di educarli, nel senso vero della parola, di educere, cioè di tirar fuori. Comunque io, quando vedo Scandroglio, vedo proprio…perché i nostri figli sono viziati, sono viziati proprio nel loro io, sono un po’ deviati, sono loro il centro del mondo e soprattutto quando fanno attività sportiva sono loro il centro e non vedono più niente e non si fanno più provocare da niente altro che dalla presenza. Scandroglio lavora su questo non con dei discorsi, ma con dei gesti precisi, con l’ordine, con la cura degli spogliatoi, delle maglie e con altre cose.
Comunque torniamo alla storia, torniamo a casa e ne parliamo con Achille Ostinelli che è qui, che è in pratica quello che coordina tutte le attività dell’associazione sportiva ed è uno che ha ben preciso che lo sport, il calcio sono qualcosa che servono ad educare, sono qualcosa che c’entra con la vita, sono assolutamente l’opposto di quei novanta minuti che sono tutto lì e il resto non c’entra. Cioè che il calcio, come ci ha detto più volte, è qualcosa che serve a diventare degli uomini veri e che non c’è nessuna antitesi tra tecnica e uomini veri, tra tecnica ed educazione e così nasce l’associazione sportiva. Allora la preoccupazione prima nostra, mia e di mio fratello, era di sottrarre proprio a un adulto, a un educatore, a un allenatore insomma per quei pochi momenti con cui aveva a che fare con i nostri ragazzi la possibilità che questo distruggesse tutto quello che le famiglie con fatica andavano a rischiare sul punto dell’educazione.
Scandroglio invece è uno che gioca tutto sulla persona, ha una coscienza precisa dell’unicità che ciascun bambino rappresenta. E’ uno che gioca proprio tutto sulla persona e valorizza la persona. Ecco, andando a leggere il libro, soprattutto quando parla dei fondamentali, lui pone un punto, secondo me, in cui anche nel calcio, l’istintività non serve. Il calciatore, cioè chi gioca deve mettere in gioco la sua libertà e starci con degli atteggiamenti precisi. A un certo punto parli Roberto, di stecca o sponda. Leggendo e vedendo un po’ e conoscendo, lui ci insegna quello che faticosamente stiamo imparando noi tutti e che don Giussani ci ha insegnato, che è l’oggetto che impone il metodo e l’oggetto è il gioco del calcio, che ha delle regole, delle caratteristiche, delle dinamiche oggettive. Ed è il gioco stesso, l’oggetto a cui l’individualità del giocatore deve sottoporsi. Poi lui entra nei dettagli a un certo punto del gioco con il collo quando si rattrappiscono le dita, insomma un po’ più difficile entrarci però leggendo questi fondamentali vien fuori che il gioco alla Scandroglio, se possiamo chiamarlo così, è un gioco di grandi geometrie, di infinite possibilità di intersezione tra la traiettoria dei tiri, tra il piede d’appoggio e il tiro che calcia, tra i movimenti senza palla, tra il ginocchio appoggiante e l’altro. Ecco, però tutto questo è con la coscienza che tutto il calcio è per la persona. Il calcio serve a diventare uomini e serve a questo. Per cui siccome mi hai chiesto un’introduzione in pochi minuti, a me pare che questa sia la parte introduttiva e chiuderei come tutte le volte che io vado a vedere le partite dei pulcini o gli allenamenti, finiscono sempre: grazie Mister Scandroglio.

NANDO SANVITO:
Innocente nonostante la grandezza del personaggio, è una persona umile e quindi non ha voluto dire anche un’altra cosa, che è così vero che non c’è contrasto tra educazione e tecnica che la squadra maschile della Cometa non ha ancora perso una partita quest’anno.
Direi che questa introduzione era la migliore possibile per capire qual è l’intento di noi che siamo qui e di questo libro. Ma si può anche rapportare questo discorso a uno scenario più vasto, insomma non passa giorno dopo il disastro dell’Italia ai mondiali in cui non compare sulla Gazzetta dello Sport piuttosto che sul Corriere dello Sport o Tuttosport, la classica letterina del tifoso che dice, che è perché in Italia non si insegnano più i fondamentali che i ragazzi non sanno più colpire la palla, e che perciò e inevitabile che succeda quello che succede. Sentiamo cos’ha da dire uno che di mestiere fa questo, cioè analizzare il calcio e i suoi problemi e le sue situazioni, è Sandro Bocchio che è soprattutto un amico prima che un collega giornalista.

SANDRO BOCCHIO:
Sì, buongiorno a tutti. Io la prendo un po’ alla lontana. Però alla fine vedrete che si va comunque a finire sempre sull’argomento di questo libro. La prendo alla lontana per esperienza diretta, perché a giugno ero in Sud Africa a fare il Mondiale per il mio giornale e devo dire con tristezza per alcuni o finalmente secondo il sottoscritto, che questo mondiale ha tolto la foglia di fico dal calcio italiano, un calcio italiano di cui nessuno se ne era accorto ma che da anni passava una gravissima crisi, perché non più in grado di produrre talenti, non più in grado di attirare talenti, non più in grado di generare degli attivi economici che potessero far muovere il motore calcio. Partiamo dalla crisi della nazionale. L’Italia di Lippi, abbiamo visto tutti com’è stata eliminata dal mondiale. Siamo andati là come campioni del mondo e siamo tornati a casa senza una vittoria. Poco dopo, europeo under 19, tutti a dire “è un’ottima nazionale”, siamo tornati dalla Francia, tre partite senza segnare un goal. Adesso andremo a giocarci la qualificazione per l’under 21 e l’under 21 dopo 12 anni rischia di non partecipare alla fase finale dell’europeo e questi, più per la nazionale maggiore, l’under 19 e l’under 21, sono i sintomi più gravi della malattia del calcio italiano, perché se tu non hai dei giovani in grado di vincere, vuol dire che tu non hai un futuro davanti a te. Infatti voi ragazzi sapete tutti benissimo chi è Andrea Pirlo, chi è Francesco Totti, chi è Daniele De Rossi, tutta gente che è stata campione europeo con l’under 21. L’ultimo titolo lo abbiamo vinto nel 2004. L’under 19, dove giocava Aquilani, neo acquisto della Juventus, l’ultimo titolo lo abbiamo vinto nel 2003, un eternità nel calcio. Ma non c’è soltanto la crisi delle nazionali. C’è anche la crisi dei club. Perché anche qua abbiamo la foglia di fico rappresentata dall’Inter, l’Inter, che ha vinto tutto, è soltanto la punta di un iceberg che non esiste, perché dietro l’Inter non c’è nessuno. Guardiamo cosa hanno fatto le nostre squadre nelle coppe: è il termometro la coppa, perché a me di primeggiare in Italia non me ne frega niente. Ranger e Celtic da anni primeggiano in Scozia, quando vanno in Europa prendono bastonate, perché tu ti devi confrontare con il calcio europeo. Noi in Europa non contiamo più nulla, non a caso quest’anno l’Italia è stata sorpassata nel ranking Uefa dalla Germania. Siamo scesi al quarto posto e avremo una squadra in meno in Champions League. I soldi, sempre esclusa l’Inter, ditemi la società italiana che oggi è in grado di andare a fare mercato all’estero, di attirare un campione dall’estero. Perché noi negli anni ’80 abbiamo avuto Maradona, abbiamo avuto Platini, abbiamo avuto Falcao, negli anni ’90 abbiamo avuto l’Inter dei tedeschi, abbiamo avuto il Milan degli olandesi, grandissimi giocatori. Ditemi, adesso, chi sono – ripeto, Inter esclusa – i fenomeni che vengono a giocare in Italia. Il Milan si è fatto dare Boateng in prestito, e questo è un segnale pericolosissimo perché quando tu, le tue squadre principali, i tuoi club principali non sono in grado di imporre loro i tempi ma sono loro che se lo fanno imporre dalle società più piccole, diventa un problema, per cui a livello europeo scendi. Un mercato, quello economico che ha una sua precisa raccolta all’origine, visto che il 70% dei bilanci di una società se ne vanno in stipendi dei giocatori. Poi una crisi del sistema che quest’anno è esplosa in maniera devastante cancellando 21 società. Non si è mai vista una cosa di questo genere. L’Italia è l’unico paese d’Europa con 132 club professionisti, è un dato devastante, elefantiaco in confronto ai già tanti 92 dell’Inghilterra, ai 42 di Francia e Germania e ai 36 della … scusatemi, 42 di Francia e Spagna e 36 della Germania. Perché il sistema calcio in Italia non può permettersi di tenere in piedi 132 società e quindi è un impoverimento generale, perché comunque tu dai più spazio a tanti giocatori che magari meriterebbero di fare altro nella vita e invece tu li fai giocare a pallone. È un impoverimento a livello economico perché – andate a vedere sugli almanacchi, se li consultate ancora oppure su Internet – guardate quante società di B sono retrocesse nella D e sono scomparse perché non avevano più i soldi che ricevevano dalle televisioni e dalle mutualità, pensate al Mantova quest’anno, pensate al Treviso, all’Avellino, pensate al Rimini. Il Rimini era già retrocesso, però andate a vedere per vostra curiosità: almeno il 75% delle società sono scomparse perché non ce la faceva più a reggere con i soldi, per la mancanza di soldi, per gli stipendi. Un’altra crisi è quella dei talenti. Ve l’ho già detto prima. Ditemi qual è il giocatore italiano di talento che abbiamo, perché Lippi, purtroppo, aveva drammaticamente ragione quando ha detto “non ho lasciato talenti a casa”, perché uno poteva essere Cassano forse, ma il calcio Italiano, ditemi quale talento ha espresso negli ultimi anni. Citatemene uno per dire “questo qua può giocare in una squadra di livello europeo”. Balotelli è tutto da dimostrare, Montolivo, non esageriamo, per favore…, voglio molto bene a Montolivo ma è da molti anni che lo aspetto ad alti livelli. Altro problema, perché adesso esaminiamo i problemi, gli stranieri. A dicembre 1995, prima della famigerata o giusta sentenza Bosman, in Italia avevamo 66 stranieri, 2009-2010 ne avevamo 1005 e ripeto un conto è avere 1005 stranieri quando si chiamano Messi, Ibraimovich, si chiamano Tevez, si chiamano Mascherano, si chiamano Kakà, piuttosto che un talento qualsiasi e un conto è quando ti vedi queste società che appunto … come il Milan l’anno prossimo che punterà tutto su Boateng, magari poi diventerà un fenomeno in Italia ma è un ragazzo che gioca nel Ghana e che ha tutto da dimostrare e che in Inghilterra giocava in una società arrivata ultima in campionato e questo è uno degli stranieri su cui si fa forza il Milan quest’anno. Gli stranieri di valore perché sono importanti? Perché portano gente allo stadio ed insegnano ai nostri ragazzi a giocare al pallone. Rivera, non lo sapete magari, i più piccoli, ma Rivera se non ci fosse stato Schiaffino non sarebbe diventato Rivera all’epoca e Schiaffino era un grandissimo campione uruguaiano, insegnò a Rivera a giocare al pallone. Rivera era un fenomeno di suo, ma Schiaffino gli insegnò materialmente a giocare al pallone e a stare sul campo perché sempre, ricordatelo, c’è bisogno di un maestro, di qualcuno che ti insegni. Perché tu puoi essere un fenomeno al mondo ma se non hai qualcuno che ti insegna certe cose non diventerai mai un fenomeno. Per questo dico, Balotelli, vedremo. Lui è potenzialmente un fenomeno ma fino ad ora non ha trovato un maestro che gli insegni a diventare un fenomeno, perché il fenomeno va coltivato.
Di stranieri non solo ne abbiamo 1005 ma negli ultimi anni sono cresciuti del 15%, mentre nelle altre nazioni all’avanguardia nel calcio sono diminuiti. Questo cosa causa? C’è una mancanza di ricambio. Il campionato italiano è secondo per età media in Europa, l’età media delle squadre italiane è di 27 anni, davanti a noi c’è Cipro. Non mi sembra una nazione di grandissimo livello calcistico. La Spagna che è quarta – ricordiamo l’Italia ha 27 anni e mezzo – la Spagna che è quarta ha 26 anni e mezzo, la Francia, la Germania ha 25 anni e mezzo, la Francia ha 26 anni … 25 anni e mezzo anche la Francia. Ben due anni di differenza. Quindi il nostro campionato è un campionato per anziani. Non solo. In Francia la percentuale dei giocatori che sono passati dal vivaio in prima squadra, è del 27%, in Germania … in Inghilterra, comunque, è del 16%, in Italia, sapete, è dell’8%. Cioè vuol dire che su 100% ragazzi che giocano in una squadra, 8 arrivano in prima squadra che è una clamorosa controtendenza rispetto agli anni in cui gente come Alberini, come Maldini, come Del Piero – non era del vivaio della Juve ma comunque è cresciuto nella Juve – come Totti, come De Rossi, andava direttamente in prima squadra. L’Arsenal e il Barcellona hanno il 50% dei giocatori che proviene dal proprio vivaio e sapete cosa fa l’Arsenal da qualche tempo? Ha aperto scuole calcio in Italia: una a Torino, dove abito io, una in Lombardia, una in Emilia Romagna perché loro vanno a prendere i talenti. Fabregas è cresciuto nel Barcellona, a 16 anni se ne è andato all’Arsenal. Loro fanno così e il Bayern quest’anno, che ha fatto il primo ritiro in Italia, fuori dalla Germania, in Alto Adige, anche in Alto Adige ha aperto una scuola calcio perché cerca i nostri talenti.
Aggiungiamo altri problemi. Gli stadi. Siete mai stati in uno stadio? Io sono stato al mondiale in Germania, in Sud Africa, e ho visto degli stati che i nostri al confronto sembrano dei campetti di terza categoria. E lo stadio, in Inghilterra, per esempio, è il primo motore di una società, per introiti, perché l’Arsenal incassa 75 milioni all’anno dal suo stadio, Inter e Milan devono versare 4 milioni di affitto. Vedete qual è la differenza? Se tu questi soldi invece di buttarli via per un affitto, li hai per investire nella tua società oppure il tuo stadio diventa uno stadio di tua proprietà, è grasso che cola, come si suol dire. Siamo in attesa dell’ennesima legge sugli stadi, vediamo come va il governo perché comunque la legge è al Parlamento e bisogna discuterne e ci sono vari progetti. Però anche sugli stadi che sono importantissimi siamo indietro.
Ultimo dei problemi, per il quale il calcio in Italia se la passa male. I tifosi. L’anno scorso un mio amico mi ha chiesto i biglietti per Juve-Parma, per fortuna che dicevo va bene, è una partita tranquilla, li trovo senza problemi, per fortuna non li ho trovati, Juve-Parma è finita con incidenti gravi, perché i tifosi juventini erano furibondi contro la società. Le società italiane purtroppo sono ostaggio, non dei tifosi, di una frangia dei tifosi, i quali in questo momento stanno contestando anche la tessera del tifoso, perché dicono di non voler essere schedati. E attenzione. Tutti i casini che sono successi quest’estate, hanno dovuto rinviare, annullare Fiorentina-Padova per paura di scontri, si sono picchiati a Parma, Pisa-Viterbese, a Rimini-Riccione si sono picchiati. Hanno tirato i fumogeni a Inter-Roma. Perché? Perché c’è in atto una strategia per rendere ancora più invivibili gli stadi. Non a caso nel 2009-2010 gli incidenti sono cresciuti del 20%, c’è stato un 80% in più di feriti tra le forze dell’ordine e un 50% di feriti in più tra la gente comune.
Ultimo problema e mi spiace qua per Nando, ma lo vedo come un problema, è la televisione. Perché l’Italia è l’unico Paese europeo che trasmetta tutte le partite del campionato in televisione, tutte. In Spagna le scelgono, in Francia le scelgono, in Inghilterra le scelgono, in Germania le scelgono, non le trasmettono tutte. In questo modo tu cosa fai? Svuoti gli stati, perché la gente dice “devo buttare via dei soldi, rischiare magari della mia pelle per andare a vedere una partita. Me ne sto a casa e me la guardo tranquillamente in televisione”. Giustissimo. Guardate la percentuale di riempimento degli stadi in Germania che sono sempre strapieni anche per partite che contano poco e guardate in Italia. Un pianto, brutto anche per chi va a giocare.
Altro problema. Le televisioni in questi dieci anni hanno dato 5.000 milioni di euro alle Società di calcio. Dove sono finiti? Gli stipendi dei giocatori.
Quindi il tonfo del Sud Africa finalmente ha portato a una presa di coscienza per cui senti uno come Mino Favini, grandissimo istruttore dell’Atalanta calcio, che dice di ripartire dalla tecnica; senti Gianni Rivera dire “il calcio si riaffidi alla tecnica” e la FGCIin qualche modo si è mossa perché ha cercato di fare delle scelte che andassero un po’ contro corrente – vedi Roberto Baggio, presidente del settore tecnico, Arrigo Sacchi coordinatore delle under, Gianni Rivera presidente del settore scolastico – per cercare di dare una mossa e una smossa al calcio. Per esempio Alberini che dice “andare all’estero a fare lo scouting dei giocatori di gente nata da italiani in modo tale da poterli riportare in Italia, maggiore interazione della federazione con i settori giovanili, una formazione e una metodologia degli allenatori e un coordinamento nazionali”. Perfetto, vedremo perché comunque sono i primissimi passi. Io, dal mio punto di vista, qualcosa mi sento di dire perché, come vi ho accennato prima, il primo passo da fare è arrivare agli stadi di proprietà, perché in qualche modo tu società – come ha intuito la Juventus – hai la forza di vivere su quello che tu produci, com’è giusto che sia. Secondo, la lotta alla violenza, perché dobbiamo riportare le famiglie allo stadio, perché è una delle cose più belle che si vede quando tu guardi la Premier League dove sono i bambinetti in prima fila delle partite senza recinzione. Io in questo periodo in tribuna stampa mi ritrovo magari al sesto piano e la persona più vicina è lontana 8 metri minimo dal campo. Quindi anche da questo punto di vista poter riconsegnare gli stadi alla gente.
Poi lascio perdere il fair play finanziario che ha introdotto Platini, ma questa sarà una cosa che darà un impulso al calcio perché ce ne è bisogno. Io, ricollegandomi ai temi di oggi, dico che l’Italia dovrà andare a riscoprire i suoi talenti. Io ho avuto un esempio personale in Sud Africa. Parto da Città del Capo e vado a Durban a vedere Germania-Australia, di fianco a me c’è Jurgen, tifoso della Germania, di Dortmund, ma tifava Bayern, e in due ore di volo ce la raccontiamo sulla squadra. Io ammetto la mia ignoranza, non conoscevo bene la Germania e gli ho detto che la Germania è una buona squadra, perché è una squadra di giovani. Io vado a vedere Germania-Australia e mi ritrovo in campo ragazzi del ’89, del ’87 un ’86, gente che aveva vinto l’europeo l’anno prima under 21 e l’anno dopo era titolare nella nazionale maggiore. Per noi invece, per certe società, un giocatore a 26 anni è ancora considerato acerbo. Vi sembra normale? A me non sembra normale. Ma perché hanno fatto questo in Germania? Perché dal ’96 non vincono più nulla. L’ultima cosa che hanno vinto è stato l’europeo in Inghilterra ai danni dell’Inghilterra. Quindi cos’hanno fatto? Sono stati più furbi di noi, perché da noi diventi italiano a 18 anni e non prima. Quindi sono andati a prendere i ragazzi di gente magari immigrati in Germania o che ha contratto matrimonio in Germania e li hanno fatti diventare tedeschi. Tutta gente che però è tedesca a tutti gli effetti, gente che gioca insieme dall’under 15. Quindi pensate che possibilità hanno avuto di crescere insieme nel corso degli anni e questo è il progetto appunto della Germania, che in piccolo sta facendo anche la Svizzera, perché Fernandez, quello che ha segnato il goal decisivo contro la Spagna, è di Capo Verde. Quindi cos’hanno fatto loro nel 2000? Sono partiti con un progetto. 366 centri regionali per tutta la Germania coordinati da 1000 allenatori istruiti a livello federale, quindi gli hanno dato un metodo a questi allenatori. Perché in Italia purtroppo, tu lo sai bene, si vive sul fai da te, sulle cose che mi ha insegnato là, sulle cose che ho letto lì. Non è che ci sia un metodo per gli allenatori, metodo tecnico e metodo di insegnamento, rapporto con il ragazzo. Quindi 366 regionali che coinvolgono 14.000 giocatori, ragazzi dai 10 ai 14 anni con passaggio di 4,500 a dei centri di qualifica superiore, finanziati direttamente dalla Bundes Liga. Ecco dove vanno i soldi delle squadre tedesche. 50 milioni di euro all’anno vanno in questi centri; il nostro calcio, invece di dare soldi ai giovani, aspira soltanto … se guardate i dati dei soldi che danno ai vivai sono veramente delle cifre irrisorie.
Vi ricordate com’è tornata la Francia dal mondiale, distrutta completamente anche a livello di rapporti interpersonali tra i giocatori? Cosa hanno fatto loro? Hanno subito vinto l’under 19, vuol dire che un futuro ce l’hanno, perché in Francia come in Germania da anni ci sono i centri di formazione regionali, quelli dai quali erano usciti i vari, Henri, Roland Blanche, tutta gente che è uscita da lì, Zidane, la gente che ha vinto il mondiale in Francia, che ha vinto l’europeo. Per cui, concludo con un ultimo dato che secondo me è significativo, ad inizio agosto l’under21 ha giocato un amichevole con la Danimarca, è finita 2 a 2. Nella squadra, titolari di serie A, ce ne era solo uno su 11, Poli che ha giocato 31 partire nella Sampdoria lo scorso anno. Se noi non diamo spazio a questi ragazzi nelle prime squadre, dove volete che vadano? Infatti, secondo me, la cosa giusta da fare sarebbe di abolire il campionato primavera e fare come in Germania e Spagna, dove i ragazzi giocano nelle seconde squadre in prima o in seconda divisione, perché ti confronti veramente con l’avversario. Perché il campionato in primavera è un campionato dove tu puoi pure perdere tanto non retrocedi e non cresci. Però, restando alla giornata di oggi, quello che manca – e l’esempio ce lo stanno dando Germania e Francia – sono dei maestri che, come diceva lui nell’introduzione, insegnino ai ragazzi come comportarsi sul campo, come comportarsi fuori dal campo, come rapportarsi con l’avversario, come rapportarsi con l’arbitro e soprattutto dei maestri che insegnino a comportarsi e, che Dio lo voglia, insegnino anche a giocare a calcio. Il libro che ha scritto Roberto Scandroglio è una possibile soluzione, spero, magari per voi che siete più giovani, per rivedere di nuovo l’Italia che vince un titolo mondiale o almeno un europeo. Grazie.

NANDO SANVITO:
Beh, visto che noi siamo originali, ci siamo inventati a questo tavolo la presenza di uno che di calcio non capisce nulla, non perché è tifoso dell’Inter – non siate maligni, è un merito essere tifoso dell’Inter – ma perché è stato un giocatore di rugby, della nazionale di rugby, e dunque “che c’azzecca?” – direbbe Di Pietro – con la presentazione di un libro di calcio? Vediamo che ci azzecca. Marco Platania, ex giocatore anche della nazionale italiana di rugby e oggi presidente della Compagnia delle Opere Sport.

MARCO PLATANIA:
L’alibi mio l’hai già detto tu. Volevo cominciare dicendo che non capisco nulla di calcio, per cui scusatemi ogni sciocchezza che potrò dire. Voglio brevemente raccontare la mia esperienza. Io ho trovato nello sport agonistico, nel rugby agonistico che ho giocato, ma penso che questa cosa si possa generalizzare, una grandissima approssimazione tecnica. Ho Trovato davvero poche persone che sono state in grado di spiegarmi bene, nel dettaglio, come si facevano le cose e che quindi sono state in grado di sviluppare pochi o tanti talenti che ho avuto. Nella gran parte di casi queste persone sono stati allenatori stranieri e, guarda caso, sono anche stati quelli che mi hanno messo alla prova in età giovane, a 19 anni nella prima squadra, a 20 in nazionale. Quando sento dei commenti che dicono – li ho sentiti alla televisione – chiamare un giocatore acerbo a 27 anni, è una roba che veramente … conoscendo lo sport, come si gioca lo sport all’estero, è una cosa che veramente fa impressione. Nel rugby le nazionali australiane, neo zelandosi, inglesi hanno un’età media molto bassa e hanno regolarmente dentro qualche fenomeno di 19, 20 anni che è, guarda caso, quello che fa la differenza. Da noi, appunto, i titolati della nazionale under 19 non ci sono, ce ne sono solo due. Tutti gli altri devono fare esperienza, devono maturare. Io non so, forse siete tutti appassionati di calcio e non vi interessa nulla di rugby e le regole non le capite, però in giovanili ho giocato da mediano di apertura che è un ruolo più tecnico nel rugby, quello che ha in mano il gioco della squadra, quindi ha tutta l’impostazione tattica della squadra, fa giocare almeno metà squadra, tutti i tre quarti e ha una complessità tecnica notevole: deve saper correre molto bene, correre, nel senso di lanciare il gioco molto bene, deve saper fare in maniera efficace diversi tipi di passaggi, deve saper calciare molto bene – è quello che di solito fa le trasformazioni – prende la palla, calcia per guadagnare terreno e deve saper difendere molto bene. Quindi è un ruolo tecnicamente complesso. Io ho trovato pochissime persone che sono state in grado di spiegarmi da quando avevo 9 anni a quando ne avevo 25, 26, 27 come si giocava in quel ruolo, come si calciava una palla, come si mettevano le mani sulla palla, come si impostava la difesa. Questa cosa ha evidentemente condizionato la mia crescita, la mia capacità di giocare, tant’è che a livello internazionale, una volta entrato in prima squadra, ho dovuto cambiare ruolo, cioè non sono stato più in grado di reggere il livello massimo espresso in Italia e confrontarmi con il livello all’estero e ho dovuto cambiare ruolo e giocare al centro, che è un ruolo bellissimo di cui poi mi sono appassionato, che però richiede caratteristiche differenti, più intuitive, più istintive, che sono stato in grado di imparare da solo con l’aiuto dei compagni di squadra ma che sono meno articolate e hanno meno complessità.
Perché è interessante arrivare a spiegare la tecnica a un ragazzo, a un bambino? Perché quello che un ragazzo chiede – quando io ero in campo di fronte al mio allenatore, gli chiedevo di insegnarmi a passare la palla, gli chiedevo di insegnarmi a calciare la palla e quelli che non me l’hanno insegnato mi hanno in qualche modo tradito, cioè non sono stati all’altezza dei miei desideri. Non si può pensare di attrarre i giocatori, i ragazzi con la promessa di un divertimento, di un gusto su un campo e poi non essere in grado di sostenere la serietà di questa domanda, suscitata appunto dagli adulti. Quindi bisogna necessariamente diventare più bravi dal punto di vista tecnico. Nel rugby – mi dicono anche nel calcio – molti genitori si improvvisano allenatori. Ora, gran merito a questi genitori che tappano i buchi delle società che non ce la fanno, ma c’è qualcosa che non va. Bisogna riuscire ad avere un competenza tecnica tale da poter riuscire a rispondere alla domanda dei ragazzi. Voi dovete chiedere ai vostri allenatori di insegnarvi a fare le cose bene, di insegnarvi come si tira un rigore, di insegnarvi come si passa un destro, di insegnarvi come si passa il sinistro, di insegnarvi come si guarda al gioco e come si imposta il gioco.
Io per la verità so molto poco perché non ce l’ho fatta per il mio impegno come tempo, ho provato ad allenare i ragazzini di 14-15 anni, una cosa gustosissima, forse più bella ancora che giocare. Ho provato a mischiarmi a loro nell’allenamento e magari a seguirne uno in particolare, in diverse fasi di gioco e fargli fare passo, passo, le cose che era giusto fare in quel momento. Non ti seguono, si perdono, si distraggono, non ce la fanno, quando però seguendoti riescono a fare una cosa che non sono mai riusciti a fare prima, li conquisti. Mi è capitato una volta che stavo impostando la difesa. La difesa nel rugby è un movimento molto, molto di squadra, deve andare in maniera estremamente coordinata. Tutti inizialmente devono avere la posizione corretta e poi devono prima salire e spostarsi in maniera coordinata, evitando di lasciare buchi. Se parti male la difesa non viene. Io mi sono messo di fianco a un ragazzo invitandolo a partire nella direzione, col tempo, nella posizione corretta per riuscire a fare una difesa bene. È riuscito a fare un placcaggio e ad interrompere l’azione dell’avversario in un modo che non aveva fatto prima. Si è alzato, mi ha guardato commosso, quasi commosso. I ragazzi non si divertono quando li si fa giocare, si divertono quando gli si insegnano le cose. Si divertono quando ci divertiamo, quando impariamo a fare le cose.
Recentemente mi hanno segnalato un articolo di Ratzinger, del ’86, in cui Ratzinger parla dei mondiali di calcio. Vi consiglio di leggerlo perché è straordinario, ne leggo solo una frase, che aiuta allo scopo: “il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al paradiso – cioè paragona lo sport al paradiso – l’evasione dalla serietà schiavizzante dalla vita quotidiana, della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello”. Ora, un po’ sintetico e magari fuori contesto è difficile da comprendere però, dopo un articolo di questo tipo, non c’è più nulla da aggiungere. È chiaro ormai di che cosa stiamo parlando, è chiaro che le squadre di calcio – come dimostra l’esperienza di Cometa – o le squadre in generale, hanno un’importanza pari a quella delle scuole. Non c’è più nulla da aggiungere a livello di giudizio. Il lavoro che ci aspetta è quello di tradurre questo in comportamenti, in modalità di gestione delle società, impostazioni, allenamenti, in tecnica, come si mette un piede per calciare la palla o come si mettono le mani per ricevere una palla da rugby. Il lavoro che manca è tradurre questo in gioco. A me colpisce che un libro come questo che, ripeto, non riesco a comprendere fino in fondo, dal punto di vista tecnico, sia nato dall’esperienza di Cometa, perché una profondità così dice che la tecnica non è il punto di partenza. Il punto di partenza è l’amore, la carità che hai nei confronti del ragazzo che ti sta di fronte, che arriva al punto tale da tradursi in tecnica, da essere in grado di rispondere alla domanda precisa, seria che il ragazzo ti sta facendo.

NANDO SANVITO:
Io non so se qualcuno di voi in questi giorni è passato nell’area sport, se è andato in fondo in fondo, uscendo andando fuori verso l’uscita. A destra, infondo, c’era appunto un signore, Roberto Scandroglio, che era attorniato da una serie di ragazzini a cui dava un pagellino, nel senso che gli faceva fare un esercizio e poi c’era una specie di foglio precompilato dove si scrivevano delle cose. Quello era il check up, il vagellino; quelli andavano a casa poi tornavano nel pomeriggio a farsi vedere, a fare l’allenamento. Era una prova pratica di quello che c’è scritto in questo libro, molto – ovviamente – limitata ma… E allora vorrei partire, prima che dal libro, dall’esperienza di questi quattro giorni. Che idea ti sei fatto dei ragazzini che venivano da te?

ROBERTO SCANDROGLIO:
Allora, l’idea che mi sono fatto è che ci sono tanti bambini che hanno una gran voglia di imparare a giocare al pallone. C’erano molti bambini che era la prima volta che si approcciavano alla palla, alcuni che avevano già giocato a calcio, però mi sono accorto che nelle coordinazioni specifiche alcuni erano proprio all’inizio, avevano bisogno di imparare, di essere educati bene nei movimenti giusti, nella coordinazione specifica giusta. E ho notato dei miglioramenti in alcuni ragazzi che sono sempre ritornati nei quattro giorni, ce ne sono diversi che ogni volta miglioravano sempre.

NANDO SANVITO:
Era mica Platania, no?

ROBERTO SCANDROGLIO:
No. Comunque, giustamente, quando un bambino capisce che impara che quello che gli viene insegnato serve e lo vede sul suo corpo, lui si appassiona e continua e capisce che può migliorare e può andare avanti ancora.

NANDO SANVITO:
Ecco, Roberto Scandroglio non è solo uno che è vent’anni che insegna calcio ai ragazzini, è uno che ha fatto anche Coverciano, quindi non è insomma l’ultimo degli arrivati, anche dal punto di vista teoretico. Però, in un panorama editoriale pieno di manuali di tecnica, tattica, eccetera, si è inserito con questo libriccino anche poco corposo, con tante belle figurine, dove insegna delle cose all’apparenza ovvie come il coordinamento. Io per esempio sono rimasto colpito e a tutto ciò non avevo fatto caso, io gioco amatorialmente, quindi mai fatto cose serie, per fortuna di tutti, ma non sapevo, non so se voi lo sapevate, che quando tu calci il pallone il piede che calcia e il piede portante fanno sempre un angolo retto. Voi ci avevate fatto caso? No, questa è una regola elementare per non intralciarsi, per non intralciarsi, che però messo nero su bianco poi aiuta a tutta una serie di movimenti che aiutano le tecniche fondamentali che oggi mi sembra siano ridotte al minimo, anche perché spesso gli allenatori, soprattutto quelli dei grandi club, smettono di allenare e delegano tutto ai preparatori atletici.

ROBERTO SCANDROGLIO:
Bruno Bolchi, che è stato un grande dell’Inter, che adesso è un consigliere federale, nel 2003 ha scritto che quasi tutti gli allenatori dei settori giovanili hanno sposato le nuove idee, abbandonando l’insegnamento della tecnica. E questa frase che ripeto sempre quando anche scrivo su qualche blog qualcosa, la ripeto sempre perché se hanno abbandonato l’insegnamento della tecnica, da una ventina di stagioni, vuol dire che sono vent’anni che non si insegna più la tecnica e allora tutti quelli che in vent’anni non hanno imparato la tecnica poi in teoria dovrebbero essere capaci di trasmetterla, ma se non l’hanno imparata come fanno a trasmetterla?

NANDO SANVITO:
Tra l’altro tu fai anche dei movimenti molto semplici no?

ROBERTO SCANDROGLIO:
Si, i movimenti base che poi servono anche per tutti gli sport sono avanti, indietro, a destra e a sinistra. Quindi i movimenti fondamentali sono cinque: avanti indietro, andare a destra, andare a sinistra, tutto a sinistra, tutto a destra e tirare indietro. E si applicano i fondamentali di base che sono il piatto, l’interno collo, l’esterno collo, sotto la pianta del piede. E ogni movimento si può fare, son tutti cambi di direzione e di senso, perché praticamente i movimenti chiave sono l’andare a destra l’andare a sinistra, a 90 e a 180 gradi, e basta.

NANDO SANVITO:
Quindi…

ROBERTO SCANDROGLIO:
Cioè, l’importante è farli con i fondamentali correttamente eseguiti, le basi, bisogna solo sapere come si fa a farli, insegnarli e farli applicare.

NANDO SANVITO:
Occhio che se Scandroglio va ad allenare in serie A, si mette a insegnare i fondamentali a Pato, a questa gente qui, no? Perché in serie A si vede…

ROBERTO SCANDROGLIO:
Possono migliorare ancora se hanno delle carenze di base. Più tocchi il pallone, più l’affinamento della tecnica ce l’hai, però bisogna vedere se tutto tutto è corretto, perché l’istintività è una cosa, la correttezza del movimento è un’altra cosa. Io mi sono accorto, che per esempio l’altro giorno c’era lì un volontario che, quando gli ho fatto fare i movimenti del check up che lui ha voluto provare, si è rallentato drasticamente, cioè non era più capace di esprimersi, di esprimere quello che faceva prima. Perché ha dovuto muovere i piedi in un altro modo. Quindi i movimenti sono fondamentali, sono di base, e con questi movimenti che creano precise geometrie, si sviluppa tutto il gioco del calcio, sia individuale che di collaborazione.

NANDO SANVITO:
Diciamo che questo è uno strumento prezioso per chi allena, soprattutto i bambini, ma anche per i genitori che vogliono fare il fai da te, perché purtroppo ci sono delle società di calcio, soprattutto a livello amatoriale, che stanno in piedi solo perché ci sono dei genitori che si danno da fare. Quindi non è neanche da buttare via questa cosa. Ma la cosa che commentavamo anche a pranzo, è che Roberto non è che si è inventato nulla, si è inserito nel solco della tradizione del calcio italiano, che ultimamente è stata abbandonata a favore della tattica, quasi che la tecnica non fosse più importante e necessaria, e rinverdisce questa tradizione nel contesto di velocità di gioco di oggi. Se voi guardate in televisione le partite di vent’anni, trenta, quarant’anni fa, al quinto siete già addormentati, perché è un’interpretazione totalmente diversa: oggi tutto è basato sulla velocità. E questo è il recupero della tradizione del calcio italiano nel contesto della velocità attuale con cui si interpreta il gioco.

ROBERTO SCANDROGLIO:
Sì, è tutta questione di velocità, di rapidità del gesto tecnico che è basato sulla velocità del movimento. Quindi più il movimento è veloce, più sei rapido col gesto tecnico. Però se lo fai correttamente, lo fai al massimo della velocità senza sbagliare, mentre attualmente se uno va un po’ troppo veloce, più veloce di quello che è la sua possibilità, può sbagliare, sbaglia.

NANDO SANVITO:
Senti, se non c’era tua figlia usciva questo libro?

ROBERTO SCANDROGLIO:
No, non poteva uscire, perché è stata determinante, perché ho dovuto spiegare tutto a lei, perché lei era in grado di fare i disegni col computer, io non sono capace di usare il computer. Quindi lei è stata bravissima e c’è stata un’empatia, c’è un’empatia tra di noi incredibile, ha avuto la pazienza negli anni di coordinare tutto il progetto e di chiedermi “Papà ma si fa così perché?”, mi ha chiesto sempre il perché di ogni cosa, e io ho dovuto rispiegarle sempre tutto e questa è la prova che il metodo è altamente trasferibile.

NANDO SANVITO:
Quindi se leggendo la formazione del Fiamma Monza femminile troverete a un certo punto Scandroglio capirete perché.
Tu devi fare qualche domanda?

SANDRO BOCCHIO:
Mi veniva in mente un episodio, parlando appunto di come i gesti vadano ancora. C’è stato un attaccante che mi aveva impressionato perché un attaccante che aveva sempre segnato poco, un anno a Verona ha l’esplosione e intervistandolo “Ma perché hai avuto questo cambiamento?”, fa: “Perché Prandelli mi ha insegnato a correre”. Questo qua ha ventitre anni, cioè a ventitre anni devi trovare qualcuno che ti insegna a correre in campo, a gestire il movimento della corsa per non sprecare energie. Cioè è questa la cosa drammatica, che tu devi arrivare a ventitre anni per imparare non a caso da Prandelli, perché Prandelli è uno che è uscito dal settore giovanile dell’Atalanta e ha vinto tutto nel settore giovanile dell’Atalanta. Prandelli fondamentalmente è ancora un maestro. E arrivare appunto a ventitre anni e sentirsi dire mi ha insegnato a correre, è devastante da un certo punto di vista, però è incoraggiante avere Prandelli come C.T. della Nazionale.

NANDO SANVITO:
Si tra l’altro Roberto si occupa anche dell’imparare a far correre.

ROBERTO SCANDROGLIO:
Con la palla.

NANDO SANVITO:
Con la palla

ROBERTO SCANDROGLIO:
Si perché la coordinazione è identica, cioè correre con la palla o correre senza palla è la stessa cosa. Perché il posizionamento del piede portante equivale a un passo e l’esecuzione equivale a un altro passo. Quindi se uno impara a coordinarsi bene impara a correre con la palla come se corresse senza palla. E mantiene le coordinazioni più precise.

SANDRO BOCCHIO:
Io ho dato un’occhiata al libro. Vorrei che tu mi spiegassi però un attimo, se hanno voglia di ascoltare, il concetto di stecca e sponda.

ROBERTO SCANDROGLIO:
I piedi devono stare ad angolo retto, mi aveva insegnato Facchini, poi mi sono accorto che praticamente se la palla arriva frontale, e io vado a destra e a sinistra, è a sponda, perché devo chiudere; se invece la palla arriva laterale e vado diritto è a stecca. Ufficialmente si parlava di apertura e di chiusura. La sponda e la stecca sono due opposti, precisi.

NANDO SANVITO:
Quindi se avete i piedi storti, potete benissimo rivolgervi a Roberto Scandroglio, ve li raddrizza.

ROBERTO SCANDROGLIO:
Un’altra cosa è l’esterno. Io e mi sono accoro che l’esterno è sempre una sponda. Quindi si esegue a sponda di piatto interno collo, l’esterno, e si esegue a stecca di piatto e di interno collo e basta. La stecca di esterno non esiste.

SANDRO BOCCHIO:
E poi leggetelo perché per esempio ha distrutto il mio concetto di colpire di piatto col piede. Io pensavo che si colpisse in un certo modo, ho scoperto che devi colpire col malleolo praticamente.

ROBERTO SCANDROGLIO:
Si, la caviglia interna sotto il malleolo, la parte più bassa prima della zona incavo. Ufficialmente è la zona incavo al centro del piede. Di solito si dice che più la superficie del piede è grande, più possibilità hai di prendere la palla.

SANDRO BOCCHIO:
E poi, e anche qua l’ho già spiegato a mio figlio che come rigorista è un po’ carente, spiega anche come tirare i rigori. Quindi quando dovete andare a fare dei tornei che poi si decide ai rigori, sappiate che se leggete questo libro avrete molte più possibilità di poter vincere, perché anche la storia del calcio italiano insegna che noi diverse finali le abbiamo perse ai rigori.

ROBERTO SCANDROGLIO:
Sono le basi per tirare i rigori, le basi, cioè piatto interno collo. Avevo letto anche un articolo una volta sul Corriere delle Sera secondo cui gli scienziati inglesi avevano trovato una formula per il rigore perfetto. Allora cosa ho fatto? Sono intervenuto sul Corriere e praticamente non mi ha mai risposto nessuno, ma in tal modo ho messo su la base per creare il calcio di rigore: piatto interno collo e basta.

ROBERTO SCANDROGLIO:
Si deve tirare 110 km orari di piatto all’incrocio dei pali, a 50 cm dal palo, con una rincorsa di quattro sei passi. Però io ho scritto anche che non si deve mai tirare di piatto destro a sinistra o di piatto sinistro a destra, perché? Perché per la posizione dei nostri piedi, se io dovessi tirare a sinistra di piatto, è come se la palla mi arrivasse da dietro, siccome fanno un angolo retto io non posso da fermo tirare di piatto, posso tirare di interno collo, perché i piedi sono più mobili e allora c’è la possibilità di tirare sia a sinistra che a destra.

NANDO SANVITO:
Va beh insomma avrete capito che qui a questo punto potremmo riscrivere tutto. Direi che si sono fatte le quattro, alle sette e mezza gli allenatori si incontrano presso lo stand CDO SPORT per un aperitivo, dove ci sarà anche la dimostrazione di rigore calciato da Platania.

MARCO PLATANIA:
Faccio il placcaggio.

NANDO SANVITO:
Fa il placcaggio, sull’aperitivo però. Chi resisterà alle sei al Villaggio Ragazzi, io ripropongo quello che ho proposto domenica, cioè le Olimpiadi naziste di Hitler del ’36, sono le immagini, dal titolo Il potere dei senza potere. Purtroppo non potrò riproporlo integralmente, perché abbiamo solo un’ora a disposizione. Taglierò la parte delle olimpiadi invernali, farò vedere la parte delle olimpiadi estive. Al villaggio dei Ragazzi stasera alle diciotto. Domani presenterò invece La forza dell’imprevisto. Sono storie di sport, storie di vita, in A4 alle quindici, sempre ovviamente sono immagini video o storie di sport, Attenzione, IN ultimo c’e anche una mostra di Bartali molto bella e alle sei c’è l’incontro quindi mi faccio concorrenza, faccio concorrenza a me stesso con il figlio di Bartali.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2010

Ora

15:00

Edizione

2010

Luogo

Sala Mimosa B6
Categoria
Testi & Contesti