INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

Invito alla lettura. Colloqui con una professoressa

Invito alla lettura. Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale

COLLOQUI CON UNA PROFESSORESSA
Presentazione del libro di Mirella Bocchini, Docente di Lettere all’Istituto Professionale Pacinotti di Milano (Ed. Cantagalli). Partecipa l’Autrice.
A seguire:
EVOLUZIONE. CINQUE QUESTIONI NEL DIBATTITO ATTUALE
Presentazione del libro di Fiorenzo Facchini, Professore Emerito di Antropologia alla Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna (Ed. Jaca Book). Partecipano: l’Autore; Carlo Cirotto, Docente di Citologia e Biologia Teorica all’Università degli Studi di Perugia; Elio Sindoni, Docente di Fisica Generale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

 

INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.
Ore: 15.00 eni Caffè Letterario D5

CAMILLO FORNASIERI:
Un caro benvenuto a voi tutti a questo primo appuntamento della giornata, che il Meeting dedica alla presentazione di alcuni libri per una lettura e comprensione di noi stessi e del nostro tempo. Abbiamo due proposte: una della casa Editrice Cantagalli e una della casa Editrice Jaca Book. Sono due temi che, in modo molto diverso, riguardano la cultura cioè il modo con cui concepiamo la vita: nel primo caso l’istruzione, la scuola, e nel secondo caso la domanda permanente da dove viene l’uomo e chi è, e il contributo della scienza, cioè l’evoluzione.
Partiamo dal primo. Protagonista è Mirella Bocchini, coautrice, che salutiamo, ci racconterà il libro Colloqui con una Professoressa, che ha scritto in forma di dialogo insieme con Rosa Papa ed Enrico Leopardi. La professoressa è lei e si tratta dell’esperienza del “Pacinotti”, scuola di Milano, professionale, dagli anni ’70 ai primi anni ’80, al ’85. Il sottotitolo è “da insegnamento a movimento”. Il libro ha una bellissima prefazione di Padre Bernardo Cervellera, che è Direttore di ASIA News, che è qui, e salutiamo, perché siamo tutti molto in contatto con lui, sia per la possibilità di leggere e partecipare attraverso un giornalismo intelligente alla vita in tutti i luoghi e persone che descrive, sia per sostenere questa sua iniziativa e realtà. Mirella Bocchini aveva studiato al liceo Berchet ed è lì che ha incontrato don Giussani, con cui ha iniziato un confronto serrato, perché lei proveniva da una esperienza familiare e culturale diversa, molto diversa. E forse proprio questa l’ha attrezzata – insieme alla grande fedeltà, che la sua storia testimonia, al desiderio di rispondere alle domande, anche quando le domande, apparentemente non ci sono – di una intelligenza di metodo, intelligenza di proposta, di metodo, di vita, di studio, di tempo libero, che questo libro manifesta. Mi verrebbe da dire, avendolo letto, seppur con un po’ troppa velocità, che due termini sintetici si intravedono, unitari, nella sua proposta ai ragazzi, agli studenti, in quel momento della vita dove la domanda realmente urge, anche quando non è espressa, anche quando diventa immediatamente gesto, diventa contestazione, due termini unitari, dicevo, di cui il primo è la bellezza. Quella bellezza che fa domandare a Bernardo Cervelliera, quando l’ha incontrata nel primo anno della scuola professionale, quando Mirella Bocchini insegnava a Sesto San Giovanni: “Ma tu come mai sei così? Che cosa ti rende così?”. Ecco, bellezza come punto unitario che comprendeva tantissimi fattori della vita, che apparivano nel momento della scuola, ma che poi continuavano nel tempo libero, nel tempo della politica, nel tempo dell’impegno, nel tempo anche delle cose da guardare. E questa domanda mi pare che sorga sempre dal fatto che trovi uno che vive la realtà in modo diverso, che vive tutti i particolari, come dire, spiegandoli, offrendo un legame con sé e con tutto il mondo che fa sgorgare questa domanda: “Ma da dove viene tutto questo?”. L’altro elemento importante, che oggi è come messo in secondo piano, è il giudizio. Il giudizio significa riuscire a stabilire quel legame leale, profondo, tra una cosa e la luce della verità, la luce dell’apertura a una verità che non sia semplicemente il dominio nostro su una cosa, su una materia, su un esito, su un successo, sui rapporti, sulla conoscenza. Una domanda sulla verità che diventa giudizio, mentre oggi, spesso, il giudizio è sentito come una infiltrazione. D’altra parte quelli erano gli anni in cui si parlava della neutralità del sapere…

MIRELLA BOCCHINI:
Prima di tutto dai cattolici, la neutralità dell’insegnante.

CAMILLO FORNASIERI:
Certamente. Ecco, io vorrei che lei raccontasse l’importanza che io ho trovato in questo libro per l’oggi: c’è una forza degli esempi, ma soprattutto una forza di metodo, così aderente a quel grande educatore, a quel grande padre che è stato don Giussani per lei. Mirella…

MIRELLA BOCCHINI:
Allora, prima di tutto vi dico come è fatto questo libretto. È fatto di tre parti, ognuna con una sua specificità assolutamente diversa dall’altra. La prefazione del nostro carissimo Padre Bernardo Cervelliera, che è stato uno dei nostri ragazzi, è la cosa più bella del libro. Dopo c’è la parte propriamente mia, che è un tentativo di applicare, nel senso più stretto del termine, ciò che avevo ricevuto come dono da don Giussani e dal Movimento alla didattica e alla pedagogia, ma propriamente alla didattica. E la terza parte risponde alla richiesta della casa editrice: “Sì, ma il vostro gruppo, la vostra comunità, la vostra scuola, come vivevate, cosa facevate? Una narrazione, dunque, e questo l’ha fatto Rosa Papa, che ha lavorato con me in questa scuola, e il suo prezioso marito, che mi hanno voluto far fare a tutti i costi questa cosa. E’ la parte più divertente, cosa facevamo insieme, dal mattino alla sera, e tante volte anche di notte, quando si preparavano gli esami e molti studenti che abitavano lontanissimo, dormivano a casa nostra. Tutta la giornata. Dunque questa scuola era, ed è, un professionale con varie specializzazioni, di tre anni più due. Primo diplomino e poi se uno se la sentiva, si andava avanti fino alla quinta. Come è nata la cosa? Subito dopo la laurea, pur interessandomi anche di giornalismo, mi hanno chiesto di fare un anno in un istituto tecnico, ma a me interessava rifare a Milano quello che aveva fatto don Milani in montagna. La cosa era semplicissima: se lui era riuscito a recuperare totalmente un retroterra culturale che non esisteva per i figli dei montanari, non si vede perché non potevamo farlo a Milano per i figli degli operai della bassa. Questo è il motivo, o meglio il debito per cui l’ho chiamato Colloqui con una professoressa; quello era Lettere a una professoressa e raccontava giustamente tutti gli ostacoli, i dubbi, le ingiustizie che subivano questi figli dei poveri. Noi abbiamo cercato di rispondere a questo, facendo scuola, io e poi Rosa Papa che è arrivata qualche anno dopo di me in questo professionale, scuola totale, globale, a tempo pieno, mattina, pomeriggio e sera; facendo scuola a questi ragazzi che arrivavano con il giudizio sufficiente dalle medie, che non era sufficiente affatto, perché sapevano leggere pochissimo e praticamente il 90% non sapeva scrivere. Allora cosa si fa? Di tre classi di prima ne rimaneva una in terza, per dire la selezione che c’era, e c’è tuttora, e l’ingiustizia a cui questi ragazzi erano sottoposti. A parte il fatto che, quello che tra un attimo vi descriverò sull’io semi-distrutto di questi ragazzi che incontravamo, adesso è diventato immensamente più grande. Anche ai licei non si sa più molto scrivere, studiare ho i miei dubbi, perché all’università, i professori universitari sono assolutamente sconvolti dal fatto che nelle tesi fanno errori di grammatica e di ortografia, che noi non facevamo più neanche in terza elementare. Quindi il problema è attualissimo.
“La sfida dell’educazione è costruire l’io. Non è possibile annunciare Cristo se l’io non esiste: bisogna prima ricostruire l’io. Non possiamo dare per scontato il soggetto che vuole imparare”. La prima cosa da costruire è l’io, diceva don Giussani, che proprio negli anni ’70 aveva parlato, a proposito dell’io, di Chernobyl: “Come inizia la ricostruzione dell’io? Inizia, per l’insegnante in classe e per i genitori nel quotidiano con i loro figli, con il metodo di sempre, l’esperienza di Cristo, di una pienezza inusitata, eccezionale, di un di più, e assolutamente ora, adesso e ora, hic et nunc”. Non qualcosa che capita domani, o tra un mese, quando saranno abbastanza grandi per capire: hic et nunc, adesso, in classe, oggi, in quest’ora di lezione; o capita qualcosa adesso o non capita più. “Quindi l’istante in cui nella classe, in quell’ora lì” – per 15 anni abbiamo vissuto con i ragazzi, come vi ho detto, mattina, pomeriggio, sera, magari anche notte; negli ultimi anni, dovendomi occupare dell’Amministrazione di Milano non potevo fare questo tutto il giorno, insegnavo e basta, quindi l’unico spazio era il mattino in classe, l’ora di insegnamento – “l’istante in cui si accende una luce di passione o di curiosità negli occhi dei ragazzi, anche nel ragazzo più disacculturato, più distratto, a cui non gliene frega assolutamente nulla della scuola, appena un briciolo di luce si accende, si registra l’esperienza di un brano di verità, in quell’ora in classe. Cristo è la verità tutt’intera, qualunque brandello di verità gli appartiene, anche la scoperta di come mai quando declini il verbo avere si mette l’h davanti alla o, cosa che nessuno insegna loro, tranne noi”. Dunque non possiamo dare per scontato il soggetto che deve imparare. E a causa del disinteresse, della passività dei giovani di oggi, della strage dei mas media, delle discoteche e di tutte queste altre schifezze, neanche nei licei si può dare per scontato oggi un soggetto che vuole imparare. Allora, negli anni ’70 e nei primi anni ’80, questi ragazzi, essendo figli di gente che a loro volta non avevano studiato, addirittura certe volte di genitori analfabeti, erano una preda, fin da allora, assolutamente vulnerabile della sub-cultura dei Mass media, rispetto alla quale non avevano nessuna difesa. Noi continuavamo a mettere in guardia i nostri colleghi ed amici sul fatto che bisognava ricostruire un briciolo di umano e di ragione, fino alle categorie logiche, fino a spiegare che non si può nello stesso tempo dire questo è bianco, questo è nero, nello stesso istante. Non ci credevano, la maggior parte non ci credeva. Allora abbiamo cominciato da qui, a scuola. All’epoca erano gli anni di piombo, un po’ prima forse, tutta la sinistra mandava i suoi professori nelle scuole professionali, pensando che essendoci i figli dei poveri fosse più facile trascinarseli dietro. Non è successo proprio del tutto. Comunque noi avevamo un intero spettro, l’allora PCI, di molti insegnanti, con i quali si riusciva, se non altro, a parlare, a dialogare. Facevamo la sezione sindacale insieme: Avanguardia operaia, Democrazia proletaria, Lotta continua, Lotta comunista – c’era solo a Genova, ma noi avevamo pure quella – Autonomia operaia fricchettona, sostanzialmente inoffensiva, allegra, Autonomia operaia armata, e per finire due brigatisti, come abbiamo saputo quando sono dovuti scappare, perché avevano addosso la polizia, per cui avevamo i pacchi di volantini della BR a scuola. Questo era il nucleo di 40-50 professori a cui si aggiungevano altri, magari bravi nelle loro materie, senza nessuna particolare posizione ideologica, armati di due e tre come voti normali, perché proprio se ne sbattevano, e scusate la parola ed è ancora un eufemismo, del fatto che questi ragazzi non sapevano quasi leggere. Essendo materie scientifiche o tecniche con libri difficilissimi che facevo fatica a leggere pure io ed essendo che i professori spiegavano un po’ sì, un po’ no, era un disastro, era un vero disastro, proprio un omicidio di massa di questi ragazzi. Cosa, allora, facevamo noi, ve lo dico tra un attimo, ma riparto dal punto di fondo. Allora come oggi, la prima necessità è di ricostruire l’io dei ragazzi che si hanno davanti. Erano tutti ragazzi che dicevano “non sono capace”, tranne alcuni rarissimi e per altro splendidi esempi, ma proprio la grande massa erano quelli che dicevano quelle frasi terribili che i professori gli avevano insegnato: non sei dotato in questa materia; tu non riesci a fare i temi perché non hai idee; non sei dotato in questo, non sei dotato in quell’altro e loro lo ripetevano: io non sono dotato in questa roba. Noi volevamo fare in modo che potessero dire di sé: io possiedo da sempre, come chiunque altro, la possibilità di capire, di ragionare, di fare qualche scoperta e di trasmetterla agli altri, sia con le parole che con lo scritto; io sono dotato: ho una dote, una ricchezza che mi è data per natura in modo misterioso e che non mi viene dai genitori, né dalle cosiddette compagnie di amici; una ricchezza che mi è data da altro e che non mi viene dalla famiglia e dai compagnoni; una ricchezza già presente e che può comunicarsi e può crescere senza limiti precostituiti. È necessario costruire l’io e farlo diventare consapevole di sé in due aspetti: innanzitutto nella capacità logica, cioè nella capacità di ragionare, in secondo luogo nella capacità affettiva, cioè nella curiosità amorosa verso la realtà, le cose e le persone. La sfida che la realtà ci poneva e che pone oggi a voi insegnanti e genitori è dunque quella di far sperimentare ai ragazzi, uno ad uno, che sono capaci.
Didatticamente qui c’è talmente tanta roba, e credo che possa essere utile. Ma diciamo il criterio: in generale occorreva valorizzare il vero, qualunque cosa vera loro facessero, nel senso di impegno di studio, eccetera, o scoprissero, e non penalizzare l’errore ma partire da quello per ricominciare. E sulla cosa sbagliata vanno poste delle domande serie, in modo che il ragazzo arrivi da solo a capire l’errore. Ora, qui spiego come io con Rosa abbiamo insegnato loro come si faceva a studiare – banalmente, sottolineare i libri, eccetera -, come interrogavamo quando la materia era già stata da noi spiegata e rispiegata. Alla fine di ogni lezione, io almeno, facevo sempre, obbligatorio, sanzionavo chi non lo faceva, venti minuti di sintesi scritta di tutto quello che avevo spiegato, e siccome facevo intervenire continuamente i ragazzi, anche delle cose più serie, più intelligenti, i commenti più seri che erano venuti dai ragazzi. Alla fine si scriveva venti minuti e controllavo, chi non lo faceva veniva sanzionato con i voti, perché così aveva fatto don Giussani con noi al Berchet: quaranta minuti di lezioni vivacissime, spero anche le mie, cattedratiche, ma interrotte continuamente con domande e i ragazzi che rispondevano, e venti minuti scritti, perché non erano assolutamente in grado di seguire e prendere appunti contemporaneamente, era impossibile, era impossibile per loro. Così sui libri sceglievamo le parti più semplici e quindi le spiegavamo ben bene, perché altrimenti non riuscivano a leggere. Ma di tutto questo lavoro didattico, che è davvero tantissimo e che è spiegato in modo anche molto pedante, c’è una cosa che è importante, nuova, credo. Intanto il criterio qual era? Vi ho detto che ho applicato in maniera pedissequa quel che il Gius ci ha insegnato. Decine di volte lui ci raccontò, invitandoci a rifletterci sopra, un episodio famosissimo di un vangelo apocrifo. Gesù con i suoi apostoli sta girando vicino a Gerusalemme, dove gettavano immondizie e si imbattono in una carogna di cane. E mentre gli apostoli gli suggeriscono di girare alla larga perché puzza, lui si avvicina e stupito dice “guardate che bei denti bianchi ha”. Questo è il criterio didattico, questa è la chiave di tutto. Vedere, guardare quindi prima, vedere e fare emergere anche un solo dentino bianco. Dunque vi dicevo, faccio solo un esempio di didattica, facilissima – vorrei un giorno, se mai fosse rieditato questo, scrivere Colloqui con una professoressa, ovvero l’uovo di Colombo: bastava pensarci.
Un sistema stimolante, direttamente rivolto al ragionamento e alla credibilità dei singoli studenti, nonché al confronto vero e proprio di tutti i componenti della classe. Proprio mentre spiegavo – quindi nella fase di lezione ex-cattedra – fornivo tutti i dati di un problema, per esempio storico. Poi mi interrompevo e chiedevo per esempio alla classe quali fossero le conseguenze secondo loro di questi dati. Oppure in letteratura spiegavo dei nodi del pensiero d’un certo autore e poi leggevamo un testo. Alla luce delle considerazioni precedenti, secondo voi questa parola, questo brano, queste tre parole di una poesia, cosa potrebbero voler dire? Sul registro, invece di segnare solo i soliti voti, notoriamente a penna, quando spiegavo un argomento nuovo, oltre ai voti dell’interrogazione globale che avveniva quelle due, tre volte a quadrimestre, io usavo la matita e mettevo dei più. Se lo studente diceva una cosa geniale, otteneva tanti più con la matita, se diceva una cosa non sbagliata, ma non proprio ragionevole, imprecisa o parziale, un più, se sbagliava, nessuna valutazione, perché si trattava di materia nuova. In questo modo, qualsiasi studente, anche quello più disinteressato, o che aveva sempre avuto paura di parlare per non rischiare un brutto voto, prima o poi, sapendo di non correre rischi rispetto ai voti, provava ad alzare la mano e finalmente interveniva spontaneamente, magari per la prima volta in vita sua. Serviva solo il minimo coraggio di provarci, superando l’ultima paura di essere preso in giro dai compagni.
È bello vedere l’esplosione di gioia negli occhi di un ragazzo quando si accorge che può dire cose sue, interessanti e magari su cui stimolava gli altri studenti a intervenire. L’apporto di uno può essere dialetticamente vagliato, integrato dall’intervento di altri. Attenzione, qui l’insegnate deve vigilare, perché dopo un mese sono tutti con la mano alzata e tutti che parlano e si rispondono a vicenda, e bisogna molto vigilare, anche in modo rigoroso, anche duramente, perché si verifichi un confronto leale e reale e non una sterile polemica, perché si passa dall’afasia alla polemica. Infine ogni ragazzo sapeva che quanti più prendeva, tanto si alleggerivano le interrogazioni tradizionali, finali; se accumulava tanti più, il voto dell’interrogazione tradizionale poteva passare dal cinque al sei, dal sei al sette e così via. È docimologico questo sistema, perché tiene conto proprio di ogni capello, di ogni unghia del lavoro mentale e dell’impegno. Usa un sistema empirico ma docimologico. Sapendo di non correre rischi, prima o poi uno a uno alzano la mano, poi tutti insieme. La classe incomincia a voler intervenire in continuazione, provatelo insegnanti, vi do tempo due mesi, vedete se non funziona. Accadeva spesso che un ragazzo che andava malissimo, d’improvviso sbocciava, gli scattava un’intuizione e provava ad alzare la mano, mentre gli altri della classe lo guardavano con stupore: si trattava di un fatto irreversibile, non per la scuola, per la vita. Un io improvvisamente poteva dire di sé: io ho pensato.
Dunque, spieghiamo tante altre cose che abbiamo fatto, che abbiamo cercato, inventato, eccetera. Attenzione che, come dico ad un certo punto, il problema non è di sapere tutto fin dall’università e avere in mente i più raffinati progressisti metodi didattici: ognuno si trova il suo. Se l’insegnante ha passione, trova il suo metodo, l’unico adatto con quei particolari ragazzi, non solo con quella scuola, con quella classe lì, che è diversa dall’altra. Allora mi hanno chiesto i miei amici qual è tutto il fondamento di questo atteggiamento descritto. Nella Redemptor Hominis, per sette volte il Papa dice che in qualche modo Dio si è unito a ogni uomo e lo dicono anche i documenti del Concilio. “Cristo è l’uomo perfetto. In lui la natura umana è stata assunta senza per questo venire orientata. Con la sua incarnazione infatti il figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (Gaudium et spes).
Cristo incarnandosi si è unito in certo modo ad ogni uomo, del presente e del futuro, sta dentro di lui. Si è fatto carne fisicamente nel ventre di una ragazzina, ma in qualche modo è dentro tutti gli uomini. Se manca questa certezza di fede e questo atteggiamento nell’insegnante – fosse anche il più cristiano, il più ciellino di tutti – diventa impossibile penetrare nella mente e nel cuore dei ragazzo singolo che si ha dinnanzi, uno per uno, addentrandosi, passo passo, nel sentiero del suo io e scoprendo gli elementi del Dio nascosto in lui, cioè gli elementi della verità che è in lui, perché Dio ha posto l’esigenza elementare nella struttura dell’io. Noi però – dico noi del Movimento – possiamo pigramente ripetere l’espressione “esigenza elementare” come una formula, senza capire che queste esigenze ontologiche si documentano e si concretano anche in precisi brandelli di verità. Ciascuno, come dire, ha il suo, ha la cosa a cui è sensibile, non lo sa, ma è la cosa che sente lui di più, è il suo brandello di verità. In uno può essere una grande capacità e un grande piacere di stare con gli altri, proprio l’amore agli altri, anche se sono compagnoni del cavolo che ti sbattono fuori dalla compagnia se hai le scarpe diverse non firmate; però lui ha dentro una capacità di rapporto che deve essere solo scoperta. Un altro, e si vede da come affronta, che so, ciò che gli racconto, quando gli spiego come nasce l’universo: se diventa rosso in viso quando gli spiego la nascita dell’uomo, il suo brandello di verità, che è più forte dentro di lui, è il piacere della conoscenza, della verità. Altri, allora era di moda, ma altri effettivamente sentono in modo torturante, infuocato, il problema dell’ingiustizia o della giustizia. Parti da lì, parti da lì. Se no, cosa vuol dire scoprire le esigenze elementari se non è scoprire ciò che Dio ha esattamente messo più forte nel cuore e nella testa dell’uno, dell’altro e dell’altro? Quando poi accade, il massimo è questo: il ragazzo anticipa quello che vuoi dire tu, articola meglio i suoi dubbi, si sente totalmente scoperto tanto è amato e non può non cedere a uno sguardo che lo guarda così. Questa resa può continuare o può fermarsi per la libertà di ciascuno, ma in quell’istante è l’avvenimento di Cristo che si pone hic et nunc durante la lezione. Dopodiché abbiamo fatto di tutto, siamo stati insieme, vi ho detto, mattina, pomeriggio, eccetera, le classi erano divise in equipe che studiavano insieme materia per materia, chiedevamo che fossero interrogate lo stesso giorno, di solito i professori ci dicevano di sì, in modo che poi potevano ricominciare a prepararsi in un’altra materia. Le interrogazioni programmate non sono un sacrilegio, sono una santa cosa e fanno lavorare insieme i ragazzi, di pomeriggio, perché tutto si può fare anche al mattino, ma se non si dedica a loro, e loro a noi, un pezzo del sacro tempo libero, si va avanti poco. Li portavamo a vedere le cose dell’arte più belle del mondo, gli insegnavamo a partire dalla musica rock – la Rosa è fantastica nella musica contemporanea – ma pian piano li allenavamo anche ad amare, a gustare la musica classica: uno dei nostri è diventato professore di chitarra classica e così via. Naturalmente tutti i momenti importanti, belli, del Movimento, soprattutto il triduo di Pasqua, tutti quelli che volevano venire erano invitati. Vacanze insieme di ogni tipo. In una di queste, un gruppetto di noi ha incontrato una cosa meravigliosa, un prete in crisi di San Giovanni a Piro, vicino a Sapri, con un bel gruppone di ragazzi e ragazze simpaticissimi ma con cui non era mai riuscito a fare una comunità cristiana. Ci ha incontrato con molta diffidenza, perché allora come oggi era di moda parlar male di CL, però alla fine gli siamo stati simpatici, è stato con noi un po’, ha conosciuto il Movimento e lui e tutti i suoi ragazzi sono diventati di CL nel giro di un mese. Abbiamo qui il loro capo, Rino Marotta, il mio più grande amico, il leader, e tutto il gruppo di San Giovanni a Piro si è sparso sulla costa di Sapri, e ha fatto Gs da tutte le parti, sono andati a Napoli e hanno fatto il Clu e da lì è nato CL in tutta la Campania, il Movimento Popolare, la CDO. E lui, il Sindaco del paese, è leader di tutto questo gruppo, insieme col nostro caro amico don Gennaro, che è morto l’anno scorso. Ecco, questo è nato da quest’esperienza e nel libro è descritto parola per parola, così come viene detto come si può proporre con semplicità e libertà totale l’avvenimento di Cristo, l’ipotesi di Cristo. E se qualcuno, anche uno solo, dice di sì, nasce il luogo di una presenza amorosa, offerta a tutti. Un’unica cosa utile, non la spiego, la dico: c’è un capitolo molto lungo su come si fa a fare i temi, incominciando a insegnare l’ortografia e, parola per parola, su come si compone un tema, che nessuno, mai, spiega a nessuno. Come si fa, l’ho scritto.

CAMILLO FORNASIERI:
Un grande grazie a Mirella Bocchini. Solo due cose. È un libro prezioso perché ci aiuta a sorprendere in movimento tutti questi piccoli particolari, tutte queste proposte, modello di una passione educativa. Poi ci dice che la fedeltà ha un metodo: nulla nasce dall’improvvisazione, tutto nasce da un seguire, domandandosi personalmente le ragioni, i motivi, le evidenze di risposte e infatti l’educazione è sempre la comunicazione di un sé, di sé. Grazie di questo che fa di questo libretto un libro, una cosa molto preziosa e attuale. Chiamo ora gli altri ospiti e protagonisti del secondo libro, Evoluzione: cinque questioni nel dibattito attuale, edito da Jaca Book.
Jaca Book ci propone un nuovo testo di Fiorenzo Facchini, amico storico del nostro Meeting, presente in tantissime nostre città e centri culturali. Facchini è Professore Ordinario di Antropologia e Responsabile del Museo di Antropologia dell’Università di Bologna, attualmente è Professore Emerito nella stessa Università ed è il punto più vivo, più attento, più aperto e anche più di grande sintesi sul tema dell’evoluzione. E’ qui con noi, qui al centro, lo salutiamo con molto affetto e calore, perché la sua ricerca instancabile, il suo paragone costante anche con le ultime scoperte, ne fa una guida in una tematica affascinante, che è quella appunto di una domanda costante, che è quella che dice in una parte, mi pare, dell’introduzione, di tutte le centinaia di milioni di uomini che da sempre si sono chiesti da dove venivano e chi veniva prima di loro. E, da un certo punto in avanti, le modalità di osservazione, le possibilità di connessione tra le inflessioni storiche, antropologiche, chimiche, scientifiche e quant’altro, hanno permesso di indirizzare con più precisione questa domanda, all’interno di un dibattito attuale dove assistiamo a un evoluzionismo che cancella quasi le tracce di un’intuizione, di una osservazione intelligente e interessante come quella nata con Darwin, e dove a volte reazioni che, semplificando e volendo difendere una identità, una proprietà, tolgono in realtà tutto quello spessore e documentazione che porta alla grande evidenza che tutto concorre a suggerire costantemente questa unicità dell’essere umano, non attraverso dei salti o delle rotture, ma attraverso una costante presa di coscienza, come ci racconteranno i nostri ospiti che vado subito a presentare.
Il prof. Carlo Cirotto, alla sinistra del Professor Facchini, che salutiamo, è Ordinario di Citologia e Istologia nell’Università di Perugia e si è occupato moltissimo dei processi di differenziamento embrionale a diversi livelli di complessità e ci illustrerà un po’ questi cinque punti, questi cinque problemi caldi sul tema dell’evoluzione, che questo libro di Jaca Book presenta.
E poi Elio Sindoni, Ordinario di Fisica Generale nell’Università di Milano, lo salutiamo, caro amico anche lui, che in questi ultimi dieci-quindici anni ha sempre collaborato alle mostre scientifiche che il Meeting propone, radunando sempre, forse tra i primi, i giovani studenti, nella creazione delle mostre. Lui dirige da oltre quarant’anni l’International Centre for the Promotion of Science, che organizza meeting e incontri dove diverse discipline dialogano tra loro.
Quindi subito la parola, dopo un ringraziamento ancora a Jaca Book, che è l’editore di Facchini e sempre ha seguito tutti gli sviluppi della sua ricerca, la parola al Professor Cirotto. Grazie

CARLO CIROTTO:
Grazie. Come prima cosa vorrei scusarmi con voi se seguirò passo passo gli appunti che mi sono preparato, perché in queste occasioni ho la tendenza a perdermi in chiacchiere, il tempo invece è piuttosto ristretto e quindi avrete pazienza. Desidero esprimere il mio ringraziamento agli organizzatori di questo incontro e al Professor Facchini per l’invito a presentare quest’opera, uscita in questi giorni per i tipi di Jaca Book. E’ tra le iniziative di un Meeting che, per il suo tema, non potrebbe costituire cornice più adeguata.
“La natura dell’uomo è il rapporto con l’infinito”, affermazione impegnativa e può bene esprimere le conclusioni a cui l’Autore giunge al termine del suo libro quando, nel quinto capitolo, si pone da paleo-antropologo, da filosofo e da teologo il problema dell’identità dell’uomo. Ma procediamo con ordine partendo dal titolo: “Evoluzione” e dal sottotitolo: “Cinque questioni nel dibattito attuale”. Il titolo ci dice che l’evoluzione è l’oggetto primo di tutta la trattazione e questo è scontato.
Prima attenzione però: “evoluzione” e non “evoluzionismi”. Fin dalle prime pagine l’Autore si preoccupa che sia chiara la distinzione tra evoluzione e teorie evolutive. Per evoluzione infatti si intende il dato di fatto che le tipologie degli esseri viventi hanno subito e subiscono cambiamenti con il trascorrere del tempo, mentre le teorie evolutive, come il darwinismo, il neo-darwinismo e altre ancora, intendono spiegare come l’evoluzione stessa sia avvenuta, quali siano i suoi meccanismi. Il Professor Facchini non dedica un settore riservato del libro a descrivere gli aspetti storici ed epistemologici delle teorie evolutive, ma li richiama e li discute lungo tutta la trattazione; questi sono per così dire temi trasversali, scenario obbligato delle questioni particolari che di volta in volta affronta. Di solito, nella lettura dei libri, i sottotitoli vengono snobbati, o perché giudicati un’inutile riproposizione del titolo o perché ritenuti un indesiderato intervento volto ad indirizzare la successiva lettura. Non è questo il caso del libro di Facchini, che da uomo di scienza, non ama utilizzare inutilmente le parole, né suggerire precomprensioni e il sottotitolo che ha dato alla sua opera fa concretamente riferimento ai cinque capitoli nei quali è suddiviso il testo e i cui titoli sono proprio le cinque questioni scottanti che intende proporre all’approfondimento. Ne faccio l’elenco in modo che risulti definito fin da ora l’orizzonte entro il quale ci muoveremo.
La prima questione è: evoluzione e creazione; la seconda: crescita della complessità ed evoluzione; la terza: caso, finalità e finalismo; la quarta: le specie nell’evoluzione umana; e infine la quinta: identità dell’uomo. Che siano proprio questi i punti nodali delle discussioni che oggi si accendono attorno ai temi dell’evoluzione, è più che evidente anche a coloro che, non essendo specialisti, seguono il dibattito sui normali mezzi di comunicazione. Il merito del nostro Autore è quello di trattarli tutti e cinque con l’impostazione sobria, seria e consequenziale dello scienziato. Ne è una riprova l’abbondante e circostanziata bibliografia, indiscutibile indice di serietà scientifica, ma anche il taglio dell’esperto divulgatore, capace di comunicare in modo incisivo i fatti e le considerazioni della scienza anche a lettori poco attrezzati. Non è mia intenzione sottrarvi il piacere di scoprire da soli leggendo o, perché no, studiando il libro del Professor Facchini, come egli affronti e risolva i cinque nodi scottanti. Mi preme invece richiamare la vostra attenzione su un carattere trasversale della trattazione, una scelta di fondo dell’Autore che, come un fiume carsico, attraversa tutta l’opera, emergendo chiaro laddove è necessario, ma continuando comunque a fornire linfa buona all’articolazione del discorso. Intendo riferirmi all’impostazione epistemologica, aspetto di certo assai rilevante in un discorso come il suo, strumento delicato che l’Autore utilizza per districare quei nodi dell’evoluzione su cui confluiscono le competenze di saperi differenti: la scienza, la filosofia e la teologia.
La costante preoccupazione dell’Autore è quella di evitare sempre e comunque qualsiasi confusione di campo, giudicando, a ragione, ingiustificabile l’attitudine a cercare risposte in campi del sapere diversi dai quali sono emerse le domande. E così prende in modo fermo le distanze dai tentativi di fornire risposte teologiche a problemi scientifici e viceversa. Si schiera in maniera chiara, per esempio, contro le diverse versioni dell’intelligent design, tanto da quelle più grezze delle origini, quanto da quelle apparentemente più raffinate dei giorni nostri. Così come combatte qualsiasi forma di concordismo, come quello che è propenso a vedere descritte le ere geologiche nei sei giorni del racconto genesiaco o il Big Bang nella Creazione e fa capire che l’Atto creatore, concetto tutto teologico, rappresenta quel “che” rispetto al quale le teorie evoluzionistiche cercano di esporre il “come”. E’ per questo che spessissimo nelle pagine del libro ci si imbatte in avvisi come questi: attenzione, questa è una domanda filosofica; oppure, attenzione: questa è una domanda teologica, domande che esigono risposte rispettivamente dalla filosofia e dalla teologia, anche se a sollecitarle sono state delle scoperte scientifiche. La lettura del testo del Professor Facchini ha evocato nella mia mente un’immagine, quella di tre orti tra loro confinanti, fatti di terreni diversi, che fanno crescere tipi diversi di semi e danno diversi tipi di raccolto: l’orto della scienza, l’orto della filosofia e l’orto della teologia. Per avere frutti buoni i semi di scienza, filosofia e teologia devono quindi essere interrati negli orti a loro riservati. Fin qui le cose appaiono abbastanza semplici, c’è però una difficoltà, i confini tra un orto e l’altro non sono sempre facili da identificare, li si può attraversare senza accorgersene, per cui è possibile che si interrino i semi in un orto sbagliato oppure che si semini in un orto e si cerchino i frutti in un altro.
Fuori di metafora, occorre grande attenzione nel seminare le domande nel terreno adatto per ottenere risposte adeguate.
A tal proposito va espresso un apprezzamento particolare all’Autore per le tante volte che nel suo scritto suona il campanello d’allarme per uno sconfinamento avvenuto. L’importante comunque non è non sconfinare, ma essere consapevoli quando lo si fa. Nel territorio dei tre campi infatti valgono regole diverse. Diversi sono i presupposti per la seminagione, diverse le metodologie di coltivazione, diversi i modi di trattare i frutti che si raccolgono. Tre orti totalmente diversi e altrettanto totalmente chiusi quindi? Non sono pochi gli scienziati, antichi e moderni, che propendono per questo modo di vedere le cose. Un esempio per tutti: Steven Gould, con i suoi magisteri non sovrapponibili. Nel suo contesto i magisteri sono due, della scienza e della religione. Se fosse vero questo, un povero studioso che volesse sviluppare le proprie considerazioni sui diversi campi rischierebbe la schizofrenia. Fortunatamente gli orti di don Fiorenzo non sono di questo genere, non sono cioè ermeticamente chiusi, ma hanno per così dire dei cancelli di comunicazione attraverso i quali è consentito il normale passaggio; i cancelli sono quegli strumenti della logica che permettono di passare correttamente da un campo del sapere all’altro. Anche qui un esempio per tutti: l’analogia, potentissimo strumento, mai apprezzato a sufficienza. Agli occhi del nostro Autore, quindi, i tre campi fondamentali del sapere sono distinti ma non separati e la loro reciproca apertura è giustificata dalla stessa unità dell’oggetto studiato, che è l’Universo nel quale viviamo. E’ superfluo, credo, che debba sottolineare il mio completo accordo con la posizione di don Fiorenzo.
A motivo degli argomenti trattati, tale impostazione risalta con evidenza soprattutto nei capitoli uno e cinque. Il primo infatti è dedicato a evoluzione e creazione, l’ultimo a identità dell’uomo; con ciò Facchini vuol dirci che i due grandi problemi, quello di Dio Creatore e quello dell’uomo, vanno affrontati contando anche sul bagaglio delle nuove conoscenze che la scienza rende disponibili all’approfondimento filosofico e teologico.
Tornando agli orti e ai cancelli, che cosa avviene quando si nega l’esistenza dei cancelli che immettono al terzo orto, quello della teologia o addirittura si nega l’esistenza stessa dell’orto?
Nel primo caso avviene che tutto quanto succede al suo interno, non essendoci contatti legittimi, cioè cancelli con gli altri, non può che esser visto come un fatto meramente personale, legato alle proprie tendenze intime. E’ questo il caso del cosiddetto naturalismo.
Nel secondo caso, è tutto il pensiero teologico a risultare un’illusione, anzi, secondo Dawkins, una vera e propria malattia, dalla quale è doveroso liberare l’umanità. In ambedue i casi, però, la visione condivisa del mondo viene a perdere alcune componenti fondamentali, delle quali non è possibile fare a meno e allora se ne cercano i sostituti nei due campi rimanenti della Scienza e della Filosofia, spesso trasformando in ideologie alcuni aspetti dei due saperi ed erigendoli a supporto di fedi atee. Si pensi all’ideologia del caso, promossa a spiegazione universale e ispirata a quella casualità delle modificazioni dei viventi che, insieme alla selezione naturale, è posta alla base del darwinismo e del neo-darwinismo; ad essa il nostro Autore dedica il terzo capitolo, mettendone in evidenza le molteplici incongruenze e non stancandosi di ricordare che se è scorretto chiamare la scienza a supporto di fedi teiste, altrettanto scorretto è invocarla a dimostrazione di fedi atee. Fondare sul caso l’evoluzione dei viventi e la storia stessa dell’Universo, significa inoltre negare spazio ad una qualsiasi forma di finalismo. Ciò procura imbarazzo, soprattutto nel caso dell’uomo, nella sua comparsa nel corso dell’evoluzione.
Eravamo attesi oppure no? Alcuni scienziati sono convinti di no e non esitano ad affermarlo persino nei titoli dei loro libri; altri sono convinti del contrario. Il comportamento della nostra società è altrettanto schizofrenico, mentre si rifiuta l’idea di un percorso evolutivo in qualche modo preordinato all’uomo, si finanziano progetti costosissimi, come il SETI, per cercare nello spazio segnali di eventuali civiltà extra-terrestri. Sono convinto che alla base di questi comportamenti contrastanti, oltre a motivazioni ideologiche e trend alla moda, ci sia anche una grande confusione sul diverso significato di caso e di probabilità.
Le problematiche evolutive, accanto al problema di Dio e in particolare di Dio Creatore, ripropongono il problema dell’uomo. L’uomo è qualitativamente diverso dagli animali o lo è solo quantitativamente? In altri termini, abbiamo qualcosa di particolare che negli animali manca o la nostra diversità da loro è solo una diversità di grado? Siamo scimmie nude o angeli calati in un corpo? Come per il problema del finalismo, che per quello dell’identità dell’uomo le opinioni nel mondo della scienza sono molteplici e contrastanti e sono spesso direttamente collegate alla risposta che è stata data al problema trascendenza o naturalismo. O, se si vuole, alla questione Dio. L’Autore li mette ben e in evidenza negli ultimi due capitoli del suo libro, capitoli corposi, dai quali traspare in ogni riga la competenza professionale del nostro paleo-antropologo.
A parte le questioni difficili da dipanare e per le quali potrà essere di grande aiuto la lettura del libro, è interessante notare che l’attribuzione dei più antichi reperti fossili al genere uomo, vecchi più di due milioni e mezzo di anni, è stata fatta non solo sulla base delle loro caratteristiche morfologiche, ma anche sul fatto di essere in associazione a strumenti litici, agli inizi semplici, ma successivamente sempre più raffinati e simmetrici, testimonianza di un’abilità manuale, ma anche di una capacità progettuale, non testimoniate per nessun altro animale, neanche per i nostri cugini australopitechi. Ora ovviamente anche gli animali utilizzano strumenti, ma nessuno di loro è in grado di fabbricare strumenti utilizzando altri strumenti e soprattutto nessuno di loro li conserva in vista di un futuro utilizzo. Il primo fatto sta ad indicare la comparsa dei primi bagliori dell’autoconsapevolezza, il secondo la consapevolezza della ricorsività del tempo e della storia. Era avvenuto qualcosa in quei nostri antichissimo progenitori, non la comparsa di una caratteristica nuova allo stesso livello delle altre, ma una caratteristica nuova in grado di riorganizzare in modo nuovo tutte le preesistenti, una caratteristica spirituale, la stessa che farà fiorire l’arte, il sentimento religioso, la filosofia, la teologia e anche la scienza. I nostri antichi antenati non lo sapevano, ma lavoravano già agli orti di don Fiorenzo.

FIORENZO FACCHINI:
Ringrazio gli organizzatori di questo incontro che mi da la possibilità di parlare di questo tema sul quale ho scritto in varie occasioni e ho voluto anche recentemente portare l’attenzione. Perché affrontando questi argomenti e anche andando in giro per conferenze sul tema dell’evoluzione, dell’evoluzione dell’uomo in particolare, io ho notato che c’è molto interesse, ho notato che a volte c’è oltre un interesse anche la presunzione di avere chiaro tutto, di spiegare tutto. Il darwinismo, che certamente è la teoria scientifica più diffusa, viene presentato a volte come una teoria che spiega tutto, per cui la mia sensazione è che anche nella divulgazione ci sia una eccessiva semplificazione del problema, perché in realtà l’evoluzione, come serie di eventi che hanno caratterizzato la storia della vita sulla Terra, credo che sia da riconoscersi, da ammettersi. Tutto quello che ha causato, ha determinato le modalità dell’evoluzione, non soltanto quindi il modo con cui è avvenuta, ma le cause, i fattori, questo non è ancora così acclarato, anche se noi conosciamo fondata la teoria dell’evoluzione e allora, anche leggendo opere specialistiche a questo riguardo, ho pensato che forse valeva la pena appuntare l’attenzione su quelle che, secondo me, rappresentano cinque questioni, potevano essere anche sei, sette, però mi è sembrato di cogliere queste cinque questioni, alle quali è già stato accennato dal Professor Cirotto – che ringrazio per la sua generosa presentazione di questa opera – cinque questioni che mi sembrano aperte, non chiuse, intorno al tema dell’evoluzione, che io adesso non vorrei riprendere. Per esempio, il tema della complessità, cioè la crescita della complessità nell’evoluzione, una complessità che parte addirittura dal primo periodo che succede al Big Bang, a partire dai quattrocentomila anni dopo il Big Bang e quindi a livello di macrocosmo diremmo noi. Una complessità che poi si manifesta in un certo modo quando le condizioni della vita sono possibili sul pianeta Terra, cioè in strutture che sono strutture viventi, che si trasmettono, si conservano e si trasmettono. Ora, questa complessità che è una crescita, che non è la stessa in tutte le direzioni, che a volte si ferma, a volte si sviluppa ulteriormente in una certa direzione, questa complessità che arriva fino all’uomo, che certamente rappresenta il risultato più complesso della evoluzione, a che cosa è dovuta?
Noi la possiamo descrivere, ma quali sono le cause, i fattori che la determinano? Si avanzano delle ipotesi, delle interpretazioni, ma non siamo in grado di dare delle risposte esaustive. Una complessità che parte dalla capacità di relazione che hanno gli elementi della natura, anche a livello infra-atomico. La capacità di relazione fra le particelle subatomiche (elettroni, neutroni, il nucleo, eccetera), questa capacità di relazione e di combinarsi, di aggregarsi in certe condizioni di temperatura, in certe condizioni di pressione, questo può spiegare una crescita anche della complessità? Ci possono essere queste maggiori strutture, o meglio, maggiori complessità di strutture, che possono essere spiegate per delle leggi puramente della fisica – questo lo chiedo al Professor Sindoni, casomai – ma bastano queste leggi, ci sono delle proprietà che portano a questa crescita delle complessità? Nel campo della fisica, per esempio, nel campo della chimica, anche certe strutture ordinate – qui andiamo a un altro punto problematico, cioè il principio finalistico e la casualità nell’evoluzione -, si manifestano in natura delle strutture che sono poi in relazione tra di loro ed è una relazione finalistica. La finalità che esiste all’interno della cellula che si riproduce, la finalità che esiste fra l’organo e la funzione, la finalità che esiste, ancora potremmo dire, fra il seme che si sviluppa e la pianta o l’organismo che ne deriva. Potremmo dire che in natura c’è un principio finalistico che si riconosce e che poi nell’insieme manifesta anche un finalismo, un’armonia e quindi anche un finalismo nella natura? Sono problemi che da una parte possono essere a un livello scientifico, cioè il riconoscimento di principi finalistici è un’operazione che posso fare dal punto di vista scientifico; dedurre però da questo un finalismo come concezione generale della realtà, che acquista un senso nel suo insieme, questo mi porta già su un piano che è un piano filosofico, non è più un piano strettamente scientifico delle scienze naturali. Io ho cercato un pochino anche di abbordare queste problematiche per quanto possibile, però lasciandole evidentemente anche molto aperte.
Altrettanto, per esempio, per quanto si riferisce anche in questo caso al rapporto fra strutture, principi finalistici e casualità nella evoluzione, perché la casualità non è affatto da escludersi anche in un universo ordinato, anche in un’armonia della natura. Ci sono eventi casuali, segnati dalla casualità, intesa anche proprio semplicemente come incontro casuale di due serie di cause indipendenti che si incontrano fra di loro; anzi direi che la storia della vita è segnata da questa combinazione curiosa fra le finalità che si riconoscono e la casualità di molti eventi, non soltanto la casualità per esempio a livello di ricombinazioni geniche oppure negli errori del DNA, che può essere più immediata, ma anche la casualità che può dipendere da eventi esterni e che possono interferire con la storia della vita e quindi questa combinazione, dicevo, fra aspetti casuali e aspetti anche di tipo deterministico, che sono dovuti alle leggi della natura. Le leggi della natura quali sono?
Sono le leggi della fisica, sono certe proprietà a livello fisico-chimico o a livello di vivente, che si manifestano e che portano anche ad un’armonia, ad un ordine, pensiamo al rapporto aureo che si riconosce in molti casi.
E poi il discorso dell’uomo; indubbiamente l’uomo rappresenta la grande novità in assoluto, perché è segnata poi dal pensiero e nell’uomo c’è una continuità e c’è una discontinuità, anche sul piano fenomenologico, anche rispetto al mondo animale, una continuità di tipo biologico e una discontinuità di tipo culturale, che poi può essere interpretata come discontinuità di tipo anche filosofico o ontologico, ma il discorso andrebbe molto, molto lontano.
Quello che potrei ancora proprio in poche battute rilevare, è il rapporto fra evoluzione e creazione. Il Professor Cirotto accennava alla osservazione di Steven Gould, cioè ai due magisteri non sovrapponibili, però è un po’ poco, a me sembra, perché non c’è solo un non-contrasto fra i due magisteri perché riguardano due mondi diversi, come dice Gould, io credo che ci possa essere una complementarietà nella ricerca della conoscenza delle cose. Uno dice: ma non mi interessano questi problemi; va bene, se vuoi rimanere nella tua ignoranza, rimani, però se io cerco delle risposte alle diverse domande che si pongono sulla storia della vita, io vado a finire anche in un ambito che è l’ambito del senso, del significato, che è un ambito filosofico. Quindi c’è allora una complementarietà e poi a me sembra che ci possa essere anche qualche cosa di più nel rapporto fra evoluzione e creazione e cioè un’armonia, nel senso cioè che la creazione – potremmo dire – si connota in un modo particolare alla luce dell’evoluzione. Questa osservazione non è mia, è di Giovanni Paolo II in un Simposio del 1985 su fede ed evoluzione. A me piace molto, perché dire che l’evoluzione può portare luce sull’evento della creazione, inteso non tanto come un fatto accaduto agli inizi, al Big Bang, ma come quella cosa che si manifesta nel tempo, allora credo che ci possa essere un’armonia in questo, tra la creazione che appare in una luce nuova nell’evoluzione e l’evoluzione che manifesta per così dire la creazione nelle sue potenzialità, nel suo sviluppo nel tempo. Quindi c’è più che una complementarietà, c’è anche un’armonia che mi sembra si possa cogliere in questo modo di vedere le cose.

ELIO SINDONI:
Voglio anch’io ringraziare per l’invito a questo incontro e premettere che non sono un biologo, non sono un antropologo, sono un fisico.
Io mi sono occupato un pochino di un altro tipo di evoluzione, l’evoluzione dell’Universo. Sappiamo che è nato 13,7 miliardi di anni fa, più o meno 0,5, quindi quando mettiamo il più o meno vuol dire che siamo abbastanza sicuri, quindi al confronto dell’evoluzione dell’Universo, l’evoluzione dell’uomo occupa praticamente un soffio, però è questo soffio che ha portato a un essere autocosciente, a un essere che come noi si può porre adesso queste domande: da dove veniamo, dove andiamo, perché siamo qui?
Ora, leggendo il libro molto bello del mio caro amico Fiorenzo, vedo frasi come – devo ammettere che l’ho capito abbastanza bene anche se sono un fisico, e quindi lo raccomando molto a tutti – “la regolarità del movimento degli astri come le interazioni a livello infratomico e molecolare non sono inquadrabili nella casualità”. Se c’è una cosa che veramente è stupefacente è come – tra l’altro lo diceva già Galileo – l’Universo segua delle leggi geometrico-fisiche molto, molto precise. Noi vediamo che a parte delle perturbazioni dovute alle azioni di forze di gravità, i pianeti percorrono orbite quasi perfettamente ellittiche. Possiamo studiare le equazioni della parabola studiando la traiettoria di una cometa, possiamo vedere delle bellissime figure geometriche vedendo come è fatta la doppia elica del DNA o certe conchiglie, per esempio, quindi anche in natura c’è questa enorme precisione e pare che il Creatore conoscesse bene anche la geometria, perché ha utilizzato la sezione aurea in tantissimi casi: la stessa forma dell’uomo segue in qualche modo la sezione aurea. Quindi parlare di caso, per me, è un pochino complicato. Noi in fisica parliamo di caso quando non conosciamo le condizioni al contorno, ma se noi conoscessimo di qualunque fenomeno – ancora non lo facciamo, non lo sappiamo – esattamente quali sono le condizioni in cui l’evento ha preso l’avvio, allora sapremmo scrivere una legge ben precisa e quindi non parleremmo più di caso. Quindi trattare il caso in Fisica è una cosa molto, molto delicata e direi che è un pochino fuori uso, era un pochino più in uso un po’ di anni fa.
Fiorenzo ha parlato un po’ di leggi della fisica. Quello che noi sappiamo è che le leggi della Fisica sono molto precise e soprattutto sappiamo che quelle che col nostro ingegno, che appunto grazie a quello che vi ho detto prima, grazie a come l’uomo è stato fatto – dice anche la Bibbia “a immagine e somiglianza di Dio, l’ha fatto” – siamo riusciti a costruire – più che a costruire a scoprire – queste leggi, che valgono non soltanto sulla Terra, ma in tutto l’Universo che conosciamo. Noi, grazie alle prove della relatività di Einstein, possiamo chiaramente dire che la Fisica che stiamo sviluppando sulla terra, vale in tutto l’Universo, ma questo vale anche per la chimica, perché grazie alla spettroscopia sappiamo esattamente che elementi ci sono sulle stelle, di cosa sono fatti i pianeti – attualmente è aperta la caccia ai pianeti extra-solari, c’è il satellite Kepler che ne trova circa 100 al giorno, però finora nessuno è stato trovato simile alla Terra -, quindi ci sono queste leggi molto, molto precise che regolano diciamo l’evoluzione della natura, quindi dell’uomo, ci sono le forze fondamentali di cui sentirete parlare, per esempio, sabato a proposito del famoso bosone di Higgs, ma alla fine però sappiamo che queste leggi funzionano ma descrivono solo una piccolissima parte dell’Universo, ci sono ancora tantissimi misteri che noi non riusciamo a scoprire. Noi siamo un po’ dei cacciatori di verità, però vorrei fare un esempio: grazie a queste leggi e grazie al fatto che l’Universo è stato fatto bene, è stato fatto da un architetto – quand’è che è incominciato infatti uno studio profondo della scienza? E’ cominciato nel Medioevo, quando hanno capito appunto che essendo l’opera di un architetto, valeva la pena studiare l’Universo, perché se fosse una cosa basata su processi assolutamente casuali, non ci sarebbe nessuna possibilità di studiarlo, invece lo studiamo perché vediamo che segue delle leggi molto precise; grazie appunto al fatto che conosciamo queste leggi, cioè conosciamo esattamente l’orbita di tutti i pianeti, conosciamo esattamente l’influenza del sole, eccetera – due anni fa, il nostro caro amico che ha parlato anche ieri, Marco Bersanelli, ha potuto collaborare a una grande impresa, cioè sono riusciti a spedire un satellite in un punto che chiamiamo L2, cioè nell’esatto punto in cui la gravità della Terra è controbilanciata da quella del sole, a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra. Questo vuol dire che queste leggi non sono casuali, queste leggi dicono qualcosa di estremamente preciso e questa cosa estremamente precisa, a mio parere, vale anche per la nascita della vita. Si dice che la vita sia nata, quindi parlo dei primordi dell’evoluzione, sia nata nelle cosiddette sorgenti calde nel fondo degli Oceani, credo, dove adesso sappiamo, per esempio, che lì vivono dei batteri che chiamiamo estremofili, che possono vivere a circa 100 gradi, eccetera, ed è nata, certi dicono, per urto casuale tra molecole. Però, sono stati fatti certi conti e avevo presentato un libro l’anno scorso anche su questo, dove si è visto che, se questo brodo primordiale occupasse tutta la Terra, ci vorrebbero circa 10 elevato alla 90 anni perché con urti casuali potesse formarsi una molecola di emoglobina. Quindi parlare di caso, sia in fisica che in evoluzione, secondo me è un problema molto, molto discutibile.
Questo cosa porta a dire? Porta a dire che sono abbastanza convinto – e troverete parecchi esempi in questo libro – che dietro di noi o davanti a noi o sopra di noi c’è un finalismo, un finalismo che attraverso questi processi evolutivi doveva portare all’essere autocosciente, l’essere che, come diceva prima il nostro amico, sa costruire strumenti per fare altri strumenti, ma soprattutto l’essere che, come dice il poeta Leopardi, guardando le stelle dice: “Ed io che sono?”

CAMILLO FORNASIERI:
Mi pare che anche da questo intersecarsi di diversi approcci scientifici, del Professor Cirotto, di Sindoni, fisico e nello studio di Facchini, emerga certamente tutta la complessità di tutto l’Universo, del mondo e di tutto ciò che è la vita e nello stesso tempo l’accurata ricerca che nasce dalla constatazione dell’esistenza di leggi, come si diceva nell’ultimo intervento, leggi precise e che, nella ricerca tra casualità, finalità, evoluzione, causalità di tutti i processi, del divenire dell’essere, sia rintracciabile un punto di discontinuità e di continuità insieme.
Io vorrei leggervi una frase di Boltzmann che riecheggia una sia di Ratzinger che di Facchini: “Il Creatore ripete a ogni istante il suo sì originario. Dio non crea nulla di nuovo, ma crea continuamente ciò che ha creato, in quanto lo sostiene e lo conserva”.
Ecco, questo punto di continuità, questo punto di unità del tutto in queste leggi straordinarie certamente non ci faranno forse identificare il momento di uno scarto, ma senz’altro le sue ragioni, il suo ipotetico incontro.
E’ un libro dunque importante per chi insegna, per chi ama approfondire. È anche molto divulgativo, oltre che essere fortemente soddisfacente, anche per la sua vicinanza con le ricerche attuali di questi ultimi anni, anche per chi è scienziato, docente e ricercatore.
Grazie a Facchini per la sua costanza di continuare a spiegare e a raccontare a tutti noi questo grande mistero.

Data

23 Agosto 2012

Ora

15:00

Edizione

2012

Luogo

eni Caffè Letterario D5
Categoria
Testi & Contesti