INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

Invito alla lettura. La fortuna di appartenerGli. Lettera confidenziale ai credenti

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LA FORTUNA DI APPARTENERGLI. LETTERA CONFIDENZIALE AI CREDENTI
Presentazione del libro di S.Em. Card. Giacomo Biffi, Arcivescovo Emerito di Bologna (Ed. ESD). Partecipano: Stefano Alberto, Docente di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Giorgio Carbone, Direttore delle Edizioni Studio Domenicani.

 

INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.
Ore: 19.00 eni Caffè Letterario D5

CAMILLO FORNASIERI:
Un benvenuto a tutti. Presentiamo in questo tardo pomeriggio un libro: si tratta di una lettera del cardinal Giacomo Biffi, “La fortuna di appartenerGli. Lettera confidenziale ai credenti”. Abbiamo qui con noi, per introdurci alla lettura di questa sintetica ma molto confidenziale, molto semplice e molto profonda lettera ai credenti, il padre Carbone dell’Ordine dei Domenicani, che è presente al Meeting da vari anni con le proposte delle Edizioni Studio Domenicani, la casa editrice dell’ordine dei domenicani, di cui è direttore. Insieme a vari altri confratelli non manca mai a questo appuntamento da vari anni, non solo con proposte librarie. Poi don Stefano Alberto, molto conosciuto e noto, docente all’Università Cattolica di Milano di “Introduzione alla Teologia”. Prima di lasciare la parola a loro, dico solo due punti che ci collegano al Meeting che è appena cominciato. Uno, questo tema della fortuna di appartenergli, dell’appartenenza. Abbiamo sentito nel bellissimo messaggio autografo di Benedetto XVI quella domanda: come è possibile per noi, per l’uomo, vivere interamente quella aspirazione, quella apertura, quel desiderio di totalità? Ecco allora che il tema dell’appartenenza, così visto con sospetto, una parola travisata, ridotta, decostruita dalla mentalità contemporanea, ritorna fuori con quella forza della proposta di accoglienza e di appartenenza, a quel livello dell’io che è appunto questo luogo incontenibile, in cui il cuore stesso ha bisogno di trovare un volto altro, decisivo. Dice Biffi in questa lettera: «Gli uomini aspirano naturalmente a superare lo stato di individui isolati». L’individuo isolato è esattamente la condizione normale in cui la il mondo del potere lo facilita in una sua intrapresa anche di non verità, di non confronto. «Gli uomini non si rassegnano a vivere senza qualche inserimento e perciò danno vita a diverse opinabili aggregazioni – e qui c’è l’ironia del cardinal Biffi -: club, logge, partiti, tifoserie sportive, ordini cavallereschi eccetera. Tali diffusi desideri di appartenenza, molti dei quali sono buoni o almeno legittimi, manifestano a ben guardare l’inconscia aspirazione di ogni creatura a quella totalità trascendente all’interno della quale siamo nel disegno del Padre». Ecco, questa è una cosa che mi ha colpito fin dal titolo. E l’altra è quella lettera scritta pochi mesi fa ai credenti di cui anche noi siamo parte, ma lo racconterà padre Carbone cui cedo la parola. E’ un libricino nato proprio in concomitanza a questo Meeting, alle proposte di lettura che vogliamo fare e vivere insieme. Quindi a lui prima la parola, poi don Stefano Alberto per il secondo intervento. Grazie.

GIORGIO CARBONE:
Grazie a Camillo e al Meeting innanzitutto dell’invito. Inizio però con una brutta notizia, brutta per voi, perché temo questo: quanto tempo dobbiamo parlare? Un quarto d’ora, venti minuti? Quindi in totale sarà quarantacinque minuti. Quanto tempo pensate di impiegare per leggere questo? Io ci ho messo quindici minuti, quindi la presentazione sarà più lunga della lettura personale del libro. Però è un libro che si legge e si rilegge, è un libro da meditare. Ĕ talmente profondo come contenuto e bello come stile di manzoniana memoria, che si rilegge con piacere, anche perché se si vuole crescere nell’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa è necessario interiorizzare le verità di fede che il cardinale Biffi illustra in questa breve lettera. Il libro nasce da una telefonata che il Cardinale mi fece. Io abitualmente mi prendo un febbrone ogni inverno, nonostante i vaccini, mi prendo un gran febbrone, e in genere in occasione dei febbroni il Cardinale telefona. Non voglio dire che sia importuno, per carità, però coincidenza vuole che io avessi anche quest’anno questo febbrone, e lui mi disse che lui voleva fare un regalo per la Pasqua e quindi voleva pubblicare questa lettera, perché molti scrivono ai non credenti – cosa, oltre che legittima, anche nobile – ma pochi si ricordano di rivolgersi ai credenti per confermarli nella fede. Il rischio che la Chiesa oggi corre, uno tra i tanti, è quello di smarrire la propria identità, di smarrire il senso di appartenenza a Cristo e alla sua sposa che è la Chiesa. E quindi in queste tredici pagine il Cardinale elenca almeno sei fortune che derivano a noi credenti dal fatto di appartenere, di fatto di volere appartenere e di sapere di appartenere a Cristo e alla sua Chiesa. Lo fa con il suo stile solito, intanto ironico, poi continuamente cita la Rivelazione biblica e un suo grande maestro che è Sant’Ambrogio. Ma è tutto condito con degli aspetti molto esistenziali, cioè fa degli esempi che ci toccano da vicino, ad esempio quello del panettone: a Natale tutti mangiano il panettone, ma solo i discepoli di Gesù sanno perché si festeggi il Natale, come tutti quanti festeggiamo la Pasqua o tutti quanti abbiamo festeggiato l’Assunta a Ferragosto, ma solo i credenti conoscono il fondamento oggettivo, davvero solido, che dà senso alla festa del Natale, della Pasqua e dell’Assunta. Quindi la fede ci libera innanzitutto dalla mancanza di senso, dà il senso a tutte le cose, a tutti i fatti con cui noi trattiamo, poi ci libera anche dal convincimento, oggi molto diffuso, che viviamo a caso, cioè veniamo dal caso e la vita è un guazzabuglio casuale di fatti. Noi credenti non siamo come coloro che sono senza speranza: abbiamo una meta, siamo inseriti all’interno di un disegno, che è il disegno eterno di amore di Dio, che prevede come suo vertice, come suo culmine, Cristo, e Dio Padre ci prepara una meta. Lo stesso Signore nel Vangelo di Giovanni dice: “Non temete, vado a prepararvi un posto”, oppure “una dimora”, e lì ci attrae. Quindi queste sono le prime due fortune illustrate dal Cardinale in questa lettera, proprio per i credenti. Mi soffermo sull’ultima, quella di appartenere alla Chiesa, che è una fortuna. Prima Camillo ricordava: questo senso di appartenenza ad una comunità è insito nella persona umana. Aristotele definiva l’uomo “animale sociale”, in ognuno di noi c’è questa inclinazione strutturale al vivere associato e la Chiesa è la comunità dei Santi, di coloro che appartengono a Cristo. È tanto diffusa però la dicotomia tra Cristo e la Chiesa: io credo in Cristo ma non credo nella Chiesa. E tutti gli scandali, gonfiati dai mass media recentemente, sono funzionali in gran parte a disaffezionare molti dalla Chiesa, a operare questa dicotomia, a fare ancora di più separazione tra Cristo e la Chiesa. Il cardinal Biffi dice: «Se c’è una divaricazione ideologica come questa – separare cioè Cristo dalla Chiesa -, snaturerebbe sostanzialmente la Chiesa e alla fine ci porterebbe ad una conoscenza alterata anche del Figlio di Dio. Perché il Figlio di Dio intrinsecamente è Capo e Salvatore del corpo che è la Chiesa, come dice San Paolo, quindi guai a separare Cristo dalla Chiesa o la Chiesa da Cristo. La Chiesa non si può pensare senza Cristo e Cristo non si può pensare senza la Chiesa. Sarebbe nell’uno e nell’altro caso – cito San Tommaso – un “mostro”, come “veder camminare una testa senza corpo o un corpo senza testa”, per usare sempre le espressioni paoline». Chiudo citando il cardinal Biffi, una cosa che non ha scritto in questo librino, ma che lui ha detto nell’ultimo incontro pubblico che fece qui al Meeting: «Guai parlar male della Chiesa, perché ha uno Sposo, e questo Sposo, essendo meridionale, è molto geloso». Questo librino quindi ha visto la luce il trenta marzo. Dopo il successo strepitoso di questo piccolo libro, un mio confratello del Santuario di Fontanellato mi ha proposto la pubblicazione di questo, a cui il Cardinale ha dato il titolo “L’ABC della fede”, che sono due piccoli libri che ci possono introdurre molto bene all’anno della fede, indetto da Benedetto XVI proprio per riapprezzare e prendere nuova consapevolezza dei fondamenti sostanziali della nostra fede. Grazie.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie padre Carbone. Don Stefano Alberto.

STEFANO ALBERTO:
Innanzitutto vorrei riprendere la questione dello stile, perché è rarissimo, nella esperienza di credenti e non credenti, poter attingere a un linguaggio, a un modo di presentare l’esperienza cristiana che, senza rinunciare a nulla, senza diventare mai superficiale, restando sempre a un livello molto profondo, riesce a farsi capire da chiunque. Io – non andatelo a raccontare al cardinal Biffi, per favore – conosco solo un grande Pastore che ha questa straordinaria qualità, di dire cose estremamente profonde in termini assolutamente semplici, così che anche mia mamma mi dice “sai, ho capito tutto”: parlo di Benedetto XVI. Attenzione, questa è una grazia che Dio ci fa: poter avere persone che fanno risplendere la bellezza, la coincidenza tra contenuto e metodo dell’annuncio cristiano, in termini che raggiungono il cuore di ciascuno. Naturalmente occorre una grandissima esperienza, una grande prova: l’essere stati per lunghi anni Pastori in tempi e in luoghi non facili. È una particolare grazia, perché è impressionante trovarsi al cospetto di un Pastore che ama profondamente Cristo e sa dirlo in termini così semplici e così affascinanti. Ha ragione il padre: voi avete – potete metterlo in tasca – un catechismo completo in termini molto semplici, molto essenziali: la verità sull’uomo, su Dio, su Cristo, sulla Chiesa. Nota bene: campeggia, non a caso situato nel cuore del libro – e qui rifulge la tradizione ambrosiana cui io sono particolarmente attaccato come figlio di don Giussani – il motto di Sant’Ambrogio: “Ubi fides, ibi libertas”. Il fatto che si rivolga a dei credenti dimostra una dote inconfondibile del buon pastore: il rispetto dell’interlocutore. Non è di quei Vescovi e/o Arcivescovi – non bisogna criticare la Chiesa ma gli uomini – le cui prediche hanno bisogno di essere ritradotte in italiano. Parlare in termini assolutamente comprensibili alla casalinga, all’operaio, al semplice fedele, nasce non solo da un’arte che fa usare la bella lingua italiana del Manzoni in termini gustosissimi, ma nasce innanzitutto dalla coscienza che la Chiesa è il Corpo di Cristo, che ciascun battezzato è un dono prezioso che merita rispetto. In un certo passaggio dice: «Dio non si accontenta del cinquanta per cento, basta un figlio e l’altro si è perso. Dio non si accontenta neanche del novantanove per cento delle pecorelle che sono nell’ovile: va in cerca di quella smarrita». Ecco, questo amore alla esperienza della persona singola. Poi, lo dico per me, lo dico per ciascuno, occorrono – ripeto – lunghi anni di preghiera, di sacrificio, di lavoro personale per arrivare a questa semplicità, a questa immediatezza. Vi ho detto, rifulge la splendida tradizione ambrosiana: se uno è di Cristo è una creatura nuova, e può portare il suo contributo di novità a tutto il mondo. Se c’è un’altra cosa che colpisce è, insieme alla profondissima semplicità del linguaggio, la straordinaria apertura – non solo di un uomo che ormai, per usare una bellissima canzone di Claudio Chieffo, ha la vita davanti e il tempo alle spalle, la vita vera, sazio di giorni ma, penso, ancora non del tutto sazio, per la verve che si intravede ancora nel suo scrivere, nello scrivere del Cardinale – apertura a chi non crede, apertura a chi ha una fede diversa da quella cristiana, apertura a dire “guardate, in un mondo così matto, in un mondo così smarrito, dobbiamo accorgerci della grazia che abbiamo ricevuto”. Non per una superiorità, non per una superbia, ma per l’urgenza di una testimonianza. Non per dimostrare di avere ragione in termini ideologici, ma per affascinare l’uomo che, tutto sommato, cerca e non trova, non trova perché non s’accorge di quello che ha sotto il naso, di quello che ha davanti. In questo senso mi ha molto colpito – scusate questo collegamento tra i grandi maestri del linguaggio, quindi grandi Padri della Chiesa, Benedetto XVI e il cardinal Giacomo – una osservazione che il Papa ha fatto nel suo ormai memorabile discorso al Bundestag, il ventidue settembre dell’anno scorso, quando, usando quest’immagine dell’uomo chiuso nel bunker, in una realtà autocostruita dove tutto è artificiale, fa questa osservazione: che anche nel suo mondo autocostruito l’uomo-misura-delle-cose, l’uomo-del-bunker, attinge in segreto ugualmente alle risorse di Dio per illudersi di trasformarle in prodotti suoi. Con quale ironia ce n’è stata data una testimonianza con l’esempio del panettone, poi c’è l’anno duemila… Ecco, questo impadronirsi dei doni di Dio illudendosi che sono prodotti della mia genialità umana. Con quanta ironia, non sarcasmo, non disprezzo, il cardinal Biffi ci dice “guardate che almeno noi che abbiamo avuto la grazia, che abbiamo la grazia dell’incontro, rendiamoci conto di che cosa portiamo nella nostra fragile esistenza come contributo per tutti, anche quelli che sono contro, anche quelli che sono lontani, anche quelli che sono diversi”. A me pare, questa urgenza di una presenza che non sia discorso ideologico, preoccupazione organizzativa. A me, per esempio, viene male quando vedo ormai ogni uomo di Chiesa che deve falsare le cifre delle presenze alle grandi manifestazioni, moltiplicando tutto per quattro. La Chiesa non dovrebbe usare i metodi, almeno questi, dei sindacati, perché non conta “un milione”, ma conta uno, uno che è Gesù Cristo, e uno che è stato afferrato da Lui, che viene afferrato da Lui. Per cui questo ruolo sempre un po’ demitizzante che il cardinal Biffi riveste con l’arma dell’ironia, che è un’arma difficilissima da usare, che lui sa usare abilissimamente, in un modo affascinante, è prezioso per riportarci alla vera questione. La fede è un’apertura della ragione – è stato molto sottolineato -, ci rende appassionati al senso vero delle cose e continuamente curiosi, e poi ci rende liberi. Ritorna quella frase, sempre di Ambrogio, che don Giussani ha usato in più di un corso di Esercizi: “Guardate quanti padroni hanno quelli che rinunciano, che respingono l’unico Signore”. E poi questa mi ha molto colpito, perché la cosa a cui ogni uomo, anche il più distante, anche in apparenza il più ribelle, anela è la possibilità che chiediamo ogni giorno nel Padre Nostro di essere liberati dal male. Anche qui c’è una pagina stupenda in cui non solo siamo richiamati non a un rapporto generico con Dio, ma a renderci conto della misericordia di un Padre. Questa novità assoluta nella storia dell’umanità, novità che ci porta continuamente Cristo nella sua Chiesa di poter chiamare l’Altissimo, l’Onnipotente, il Misericordioso con il nome più familiare: Padre. E qui ce lo ricorda il cardinal Biffi, spesso a torto accusato di qualche rigidità e esclusivismo: Dio in questa paternità vuole salvare tutti, tutti, basta un istante per cambiare anche il cuore più tremendo, basta un breve atto di adesione alla giustizia e alla iniziativa riscattatrice del Signore e l’amicizia tra la creatura sviata e il suo Creatore immediatamente si ristabilisce. Questa è una grande differenza sulla quale dobbiamo vigilare, siamo troppo abituati alla pornografia – non intendo solo quella di certi film a luci rosse -, alla sottolineatura del particolare scabroso, al compiacimento per il limite e la debolezza, a un gusto perverso per lo scandalo, anche dentro alla Chiesa. Ci dimentichiamo troppo spesso della colomba dello Spirito Santo, abituati ormai al gracchiare di corvi di cui la Chiesa è sempre stata piena, con la differenza che i corvi gracchiano ma non si dà così importanza a questo gracchiare. Questa possibilità del cambiamento ciascuno di noi la sperimenta nella propria vita e nell’incontro improvviso con persone che vivono quella bellissima frase di Sant’Agostino: «Basta che lo voglia ed ecco che io già sono diventato amico di Dio». Non solo, ma qui si sente veramente – speriamo che il nuovo arcivescovo, mi permetto di dirlo, riporti in auge – questa forza di umanità, di ragionevolezza, di bellezza del cristianesimo. Portiamo una ricchezza incommensurabile e, son d’accordissimo, il più grande contributo ai lontani, ai non credenti, ai diversamente credenti è presentare questa straordinaria ricchezza che noi, come dice San Paolo, portiamo in vasi di creta, cioè non solo la vittoria sul male ma anche il modo di questa vittoria, che usa anche il male per trarne un bene più grande. Sant’Ambrogio, due frasi bellissime: «La mia colpa è divenuta per me il prezzo della salvezza, attraverso cui Cristo è venuto a me. Per me Cristo ha assaporato la morte». Io vi chiedo, quando andate a messa – purtroppo c’è una crisi della liturgia che è diventata troppo clericale – ma ci rendiamo conto che quel gesto è il sacrificio che riaccade, lo stesso identico sacrificio di Cristo? «Per me Cristo ha assaporato la morte». Ed ecco il maestro del paradosso, Ambrogio: «È stata dunque più proficua la colpa dell’innocenza. L’innocenza mi aveva reso arrogante, la colpa mi ha reso umile». Ed è ancora Sant’Ambrogio che plasma questo bellissimo prefazio che ci introduce al momento più solenne della liturgia, quando Cristo diventa corpo e sangue, presenza reale, sacrificio reale per noi. La liturgia ambrosiana, così provata in questi ultimi tempi da riforme non sempre troppo avvedute, qui esprime la sua potentissima verità: «Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Così anche il peccato, in virtù del Tuo invincibile Amore, è servito a elevarci alla vita divina». Ecco, vi ho dato dei brevissimi accenni della profondità: come in una giornata di arsura poter tuffare la testa in una fontana di acque fresche e chiare, la bontà di chi con tutta la sua sapienza, la sua esperienza, tutta la sua passione per Cristo ci mette, attraverso parole semplici, ironiche e nello stesso tempo profonde e drammatiche, più in rapporto con Lui. Dopo che si è letto questo libro, un quarto d’ora, si ha subito voglia di rileggerlo, e poi di leggerlo più piano, e poi di riprendere frase dopo frase, perché è innanzitutto la passione di un grande amore. Infatti, ancora una volta con grande ironia, sembra di sentire Benedetto XVI affacciarsi quel diciannove aprile alla finestra di piazza San Pietro dicendo: «Umile lavoratore nella vigna del Signore». Il congedo risuona un po’ identico: «State in buona salute, figli miei e continuate a servire il Signore perché è un buon padrone». Grazie.

CAMILLO FORNASIERI:
Un grazie alle parole che ci hanno offerto i nostri due ospiti. Una lettera, come avete sentito, semplice, come dice Biffi in chiusura, per risvegliare un atteggiamento di gioia per tutto quello che ci è stato donato. Abbiamo capito che questo dono è anche la fonte della correzione di noi stessi, è l’unico punto da cui guardare il proprio male, il proprio niente; non la norma esterna che è sempre posseduta da qualcuno che vuole portare l’uomo dove lui non si può ritrovare. È dunque con questo dono che chiediamo a padre Carbone di salutarci il cardinal Biffi a nome di tutti i presenti qui, quindi noi e il Meeting, per questo dono che sentiamo proprio rivolto a noi, proprio perché ci sentiamo pronti a servire tutti. Grazie della vostra opera, della vostra edizione, grazie a don Stefano Alberto. In libreria a un euro, quindi volano le copie. Arrivederci.

Data

19 Agosto 2012

Ora

19:00

Edizione

2012

Luogo

eni Caffè Letterario D5
Categoria
Testi & Contesti