INVITO ALLA LETTURA. Introduce Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano.

Una nuova cultura per un nuovo umanesimo. I grandi discorsi di Benedetto XVI
Presentazione del libro a cura di Lorenzo Leuzzi (Ed. LEV). Partecipano: il Curatore, Cappellano di Montecitorio; Pierluca Azzaro, Professore di Storia del Pensiero Politico all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Edmondo Caruana, Responsabile Editoriale della Libreria Editrice Vaticana; Giuseppe Costa, Direttore della Libreria Editrice Vaticana; Fabrice Hadjadj, Filosofo e Scrittore.
A seguire:
Passaggio d’epoca. L’Italia al tempo della crisi
Presentazione del libro di Pietro Barcellona (Ed. Marietti 1820). Partecipano: l’Autore, Professore Ordinario di Filosofia del Diritto all’Università degli Studi di Catania; Davide Rondoni, Poeta e Scrittore.

 

CAMILLO FORNASIERI:
Benvenuti all’appuntamento odierno di “Invito alla Lettura”, sarò telegrafico perché abbiamo due proposte molto belle e interessanti. Partiamo dalla prima. Presentiamo e ascoltiamo gli interventi relativi a I grandi discorsi di Benedetto XVI, una nuova cultura per un nuovo umanesimo, la proposta è della Libreria Editrice Vaticana, e questo libro riguarda le letture teologiche che si sono svolte presso l’Università Lateranense, con il desiderio di riprendere tre grandi discorsi del Papa, quello di Regensburg, anche noto come di Ratisbona, quello di Westminster, svolto nella visita in Inghilterra, e quello di Parigi al College de Bernardin. Sono discorsi che abbiamo seguito con grande interesse e anche con un desiderio comunicativo, anche popolare, nei luoghi di studio, nelle università e dunque siamo molto contenti di sentire e di vedere come anzitutto anche a Roma, nella città del Papa, ci sia il desiderio che ciò che dice il Vescovo di Roma sia vissuto e conosciuto. Dunque questo è un grande segno, perché siamo in un tempo in cui la parola colpisce ma non diventa lavoro, un tema anche questo a noi molto caro. Dunque presento i nostri ospiti in ordine di intervento, che sono: Giuseppe Costa, Direttore della Libreria Editrice Vaticana, alla mia immediata sinistra, che è grande animatore della casa editrice e dà impulso a tutte queste attività; Padre Edmondo Caruana, Direttore editoriale della Libreria Editrice Vaticana, alla mia sinistra; Pierluca Azzaro alla mia destra, Professore di Storia del Pensiero Politico all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Fabrice Hadjadj alla mia immediata destra, filosofo e scrittore. Spero che alcuni ieri sera abbiano visto il suo Job, Giobbe, altrimenti andate tutti a vederlo stasera, perché è l’ultima ed è veramente una cosa bellissima ed eccezionalmente legata al sentimento che abbiamo della vita e che hanno i nostri compagni attorno a noi. E in ultimo il curatore, che però è quello che ha tessuto tutto il lavoro, Lorenzo Leuzzi, all’estrema sinistra. Un ultimo accenno: i tre discorsi del Papa sono integralmente riportati, insieme agli interventi di rettori, professori di università italiane, di Roma, della Università Cattolica e della Lumsa, che hanno partecipato a queste giornate di lavoro su questi grandi temi. Noi auspichiamo che si apra lo stesso dibattito anche sugli altri grandi discorsi, tipo quella della Sapienza, tipo anche quello alla Chiesa italiana di Verona, che hanno segnato tantissimo la traccia del pensiero del Papa, che è avanzatissimo, che tanti intellettuali ma anche tanta gente, sentono come un novità e una grande…. Padre Costa.

GIUSEPPE COSTA:
Grazie. Grazie, sono ovviamente lieto di trovarmi in mezzo a voi, per più motivi. Il motivo principale è il servizio alla Parola che ci ammannisce e ci dona il Santo Padre. Noi siamo impegnati, come Editrice Vaticana, attualmente a promuovere il Gesù di Nazareth, abbiamo raggiunto in Italia quota 400.000 copie vendute, ci sono varie edizioni all’estero, prevediamo nei mesi di ottobre e novembre di fare diverse presentazioni in ambienti universitari. Perché in ambienti universitari? Perché la parola del Santo Padre va fatta gustare, va fatta meditare, e i giovani sono i più aperti all’ascolto della sua parola, prevediamo 10-12 presentazioni in diversi ambienti universitari. Credo nessun altro Pontefice stia trovando tanto spazio nell’ambito della cultura, e mi diceva una professoressa che questo Papa ci ha regalato, diciamo così, l’orgoglio di essere intellettuali cattolici; spero di poter dare un contributo ulteriore alla diffusione della parola del Santo Padre. Questi libri, per i quali Monsignor Leuzzi ha già pubblicato due titoli, vogliono essere un’iniziativa di sostegno alla diffusione del ricco patrimonio di Benedetto XVI. Se voi avete avuto modo di accostarvi direttamente ai suoi testi, vi accorgete che la pregnanza di significato è tale e tanta, che si apprezza sempre più il libro man mano che viene letto. Pubblicare dei commenti, pubblicare delle testimonianze, mi sembra la forma migliore di sostegno alla diffusione, alla conoscenza, di questo grande patrimonio che noi abbiamo a disposizione. Vi ringrazio per l’attenzione, e non voglio togliere altro tempo ai relatori.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie. Allora padre Caruana, per un primo intervento.

EDMONDO CARUANA:
Buongiorno a tutti, mi hanno detto di restringere il mio discorso. Parlando di tre grandi discorsi del Santo Padre, non è facile restringere per poter spiegarvi che cosa voleva il Santo Padre, ma cercherò di fare del mio meglio. La prima cosa cui do importanza è quella del titolo scelto, Una nuova cultura per un nuovo umanesimo; per me è un titolo eloquente, perché? Perché rappresenta un punto di indagine che diventa, ogni giorno che passa, sempre più attuale. Tutti gli uomini di ogni cultura e di ogni nazione, perché abbiano il vero senso della vita, sono chiamati a partecipare all’espressione che il Santo Padre ha usato, “il nuovo cortile dei Gentili”, che in realtà significa un dialogo rinnovato con la cultura contemporanea, in modo che la secolarità e la sacralità non saranno più in lotta l’uno contro l’altra, ma, nella propria specificità storica essenziale, diventeranno un cammino insieme al servizio di tutta l’umanità. Sappiamo il famoso discorso del Santo Padre del 21 dicembre 2009, quando lui parla della necessità di un dialogo con le altre religioni, un dialogo aperto verso l’umanità, perché si capisca il vero senso della Chiesa, e il vero senso dell’umanità stessa. Non c’è bisogno per me di descrivere il libro, nel senso che il libro ha un punto, cominciando dai tre discorsi, un punto importante, che è stato chiamato dal curatore “punto propulsore”. Si tratta del realismo, partendo dal quale possiamo trovare le tre tappe necessarie per la costruzione di umanità unita, che creda o non creda, le tappe per trovare una soluzione migliore e un significato della nostra vita. Il libro è uno stimolo a riconoscere l’attualità della comunanza di tanti problemi che abbiamo. Il Pontefice stesso ricorda i diritti umani, gli aiuti contro la povertà e la fame, gli impegni per la sanità, per l’infanzia, per l’ambiente, per le nostre famiglie, per il lavoro che al di là di ogni credo religioso. Sono problemi che si pongono sia per il credente sia per il laico, al fine di individuare un vero significato, un vero aiuto a trovare delle soluzioni nella nostra vita. Il Papa, secondo me, e anche altri sono d’accordo con questo, continua il discorso cominciato nella sua enciclica Fides et Ratio. Infatti sia Giovanni Paolo II, in realtà più di una volta nel suo pontificato, sia Benedetto XVI nel suo discorso a Ratisbona del 12 Settembre 2006, hanno usato questa espressione “fare uso della ragione, nella sua totalità”, sottolineando che con l’espressione “nella sua totalità” si intende che la ragione non può essere divisa ma completata dalla fede. La fede è chiaro che si basa sulla rivelazione, sulla parola di Dio. La ragione invece su che cosa basa? Su quella che è la cultura di ogni essere umano che vive nella sua vita. Allora viene spontanea la domanda: se ragione e fede sono cose contrarie, perché non si può tentare di unirle insieme? Vedete, la cultura in se stessa è una cosa che una persona eredita dalla sua nascita. Io sono nato maltese e maltese cresco, però non significa che questa mia cultura debba essere chiusa, la cultura non si chiude mai, non è ristretta, ma è sempre aperta, aperta per nuove evoluzioni della vita. Uno che ha vissuto in Italia, se va in America, rimane nella sua cultura italiana, ma ciò non esclude che lui si adatti anche a un’altra cultura, che è quella americana. Allora vediamo questi due poli, la fede e la cultura, in cui la cultura è sempre aperta all’evoluzione, ed è aperta anche per capire il messaggio mandato da Dio tramite il suo Figlio, che si chiama la Parola, il Logos incarnato per noi. E’ l’insegnamento che troviamo nel discorso del Santo Padre a Parigi, dove lui dice che la parola di Dio in realtà è sempre dinamica, perché in questa parola, ogni volta che noi la leggiamo, scopriamo qualcosa di nuovo per la nostra vita. E’ qui che si radica il realismo della fede, che secondo me l’autore ha completato nel libro, La questione di Dio oggi. Io domando a tutti voi, perché chiamiamo grandi discorsi, questi tre del Santo Padre? È chiaro che sono grandi discorsi del Santo Padre, perché il Santo Padre affronta, come suo dovere, non soltanto l’aspetto della fede, ma anche l’aspetto dell’uomo creato da Dio a sua immagine. Noi quando vediamo l’uomo, vediamo l’uomo da parte della ragione umana, ma la ragione umana non si ferma lì, la ragione umana non è bloccata, ma, a causa dell’evoluzione che deve fare, è sempre aperta alle esigenze, alle novità, secondo il disegno creato da Dio… Perciò vorrei comunicarvi un pensiero che mi è venuto nella lettura: i tre discorsi ci mostrano qual è il problema di oggi. Il problema non è, come pensiamo noi, l’eccesso della fede, ma il contrario, la difficoltà sta nel credere in qualcosa. E allora io vi faccio questa domanda: qual è la prospettiva per cui i credenti e non credenti possono incontrarsi? Secondo me è l’amore per la verità, la verità di quello che sono, la verità di essere uomo, la verità di credere in qualcosa. Ciò non significa che devo lottare o ostacolare chi non crede, ma camminare insieme per poter trovare insieme delle soluzioni. Perciò la verità, l’adaequatio inter intellectum et rem, quella che unisce l’intelletto con la cosa. Nella nostra vita noi uniamo quello che viviamo con l’idea di un Essere supremo, chiamatelo come volete. Questo ci può aiutare a scoprire di più, a camminare di più insieme, per risolvere i problemi della nostra vita. Il Papa Benedetto XVI, nel suo discorso ai vescovi italiani nella Basilica di Santa Maria Maggiore, il 26 maggio scorso, ha detto: in ogni stagione storica, l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stata sorgente di civiltà. Il Papa tratta questo nel secondo discorso, quello sul monachesimo e poi passa, nel discorso di Westminster, alla realtà di quella che è la nostra vita quotidiana, in modo particolare di quelli che sono responsabili della loro missione verso gli altri. Concludo con questo: il volume secondo me è rivolto a tutti, non sono d’accordo con quelli che dicono che vale soltanto per i credenti, vale per tutti, perché? Perché soltanto con l’unità, che produce la forza, superiamo le incomprensioni e contribuiamo alla costruzione di una nuova civiltà e di un nuovo sviluppo futuro. Il libro è uno strumento che invita ciascuno ad un ruolo attivo. L’essere umano non è mai statico ma sempre dinamico, sia riguardo alla vita fisica, perché cresciamo ogni giorno, sia riguardo a quella che è la nostra formazione. Questa opera di Benedetto XVI ci invita tutti a un ruolo attivo. Per questo mi è piaciuta tanto la postfazione che ha fatto il professor Cesare Mirabelli, quando dice che dobbiamo camminare uniti insieme in queste nuove strade, nella ricerca, in un rapporto fecondo tra le scienze naturali, tra la stessa filosofia e il modo di ragionare della teologia. Se io ragiono è perché ho ricevuto il dono di ragionare, che mi porta a quell’essere supremo che ci accompagna in ogni momento della nostra vita. Grazie per l’attenzione.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie. Azzaro.

PIERLUCA AZZARO:
Io mi scuso intanto con i traduttori, mi hanno chiesto di consegnare il testo scritto, evidentemente non seguirò il testo scritto, ma, come dire, esporrò alcuni pensieri riallacciandomi un po’ a quello che ha detto padre Caruana che mi è sembrato molto significativo. Io credo che questo libro colga nel segno e che colga nel segno, cioè che colpisca al centro, come un disco immaginario è colpito da una freccia. Questo è dato dalla impostazione che dà il curatore. Il curatore nell’introduzione dice che auspica, che incoraggia con questo volume una lettura sapienziale dei discorsi di Benedetto XVI. Sapienza è un termine tra i più belli dell’Antico e del Nuovo Testamento. Perché? Perché sapienza ci rimanda ad una accezione di cultura che non è solo l’unità, la addizione delle scienze naturali e delle scienze umanistiche. Monsignor Leuzzi viene dal mondo universitario che certamente intende cultura così, mai lui ci dice: “io non la intendo così e vi prego di tenere bene a mente che nemmeno il Papa la intende così”. “Il Papa intende cultura”, ci dice Monsignor Leuzzi “come l’unità, come l’espressione di tutte le attività dell’uomo, come l’espressione di tutte le forme in cui l’esistenza umana si esprime”, e questa accezione di cultura, per sua natura, presuppone un centro intorno al quale tutte queste espressioni girino. Presuppone un quid rispetto al quale tutte queste espressioni siano commento, intorno al quale si dispongano, come dire, a corona, armonicamente, non come atomi impazziti. Questo centro è la sapienza, che con una espressione biblica bellissima è definita “Porta del cielo”. La sapienza il cui inizio è il timore di Dio. Insomma la sapienza intesa come l’incontro creativo tra il creatore e la sua creatura, dunque né panteismo, né umanitarismo. Non un Dio lontano, un ente supremo, come dice Monsignor Leuzzi citando il Papa, che sì c’è ma non è incontrabile, ci suscita nostalgie, sentimenti nostalgici. Ora, perché Leuzzi invoca una nuova cultura? Io propongo una chiave di lettura: nella chiave di lettura che ci ha dato Monsignor Leuzzi, bisogna chiedersi chi è nell’Antico Testamento l’antagonista della sapienza? È descritta nel Libro dei Proverbi, evidentemente darò solo qualche schizzo, è descritta nel Libro dei Proverbi come una donna folle, una donna stolta, che sta sulla città, seduta su un trono, sulla città, e cerca di attirare chi passa a sé, ma con un fine ben preciso, è scritto nel Libro dei Proverbi, cioè col fine di ingabbiarli come in una rete, cioè, secondo un’altra espressione del Libro dei Proverbi, di portarli nel regno dei morti, pur essendo ancora fisicamente vivi. Cosa voglio dire? L’antagonista della sapienza, cioè del centro della cultura come l’abbiamo intesa prima, non è l’intelligenza. Nel Libro dei Proverbi è scritto che sapienza e intelligenza vanno sempre mano nella mano: quando la sapienza parla, l’intelligenza ascolta. La sapienza è lì quando l’intelligenza indaga. No, la vera antagonista della sapienza è esattamente il suo contrario, cioè è quel sistematico tentativo di impedire che il Creatore incontri la sua creatura, che la creatura possa cercare, incontrare il suo Creatore. Da qui credo, rispetto ai vari interventi, e qui chiudo, si evincono altre due conclusioni. La prima: una cultura folle, cioè una cultura anti-sapienziale, è allo stesso tempo una cultura non creativa, è una cultura sterile, è una cultura morta, è una cultura che non genera storia. Non ho portato con me l’Antico Testamento, lo cito perciò a memoria, anche se, per quello che io sappia, chi sa citare l’Antico Testamento a memoria, oltre il Papa è il Cardinale Ravasi, io certamente no, ma insomma, c’è scritto all’inizio del Libro dei Proverbi: “Quando il Signore fissava il firmamento, dice la Sapienza, io ero lì, quando dava il limite ai mari io ero lì, quando fissava le radici degli abissi io ero lì”. Ero lì quando il Signore amorevolmente preparava la sua casa per l’uomo, anche perché l’uomo potesse incontrarlo attraverso la contemplazione del creato. Credo che emerga un aut-aut drammatico, ma anche pieno di speranza, dalla lettura sapienziale dei discorsi di Benedetto XVI che ci offre Leuzzi, drammatico perché, utilizzando l’insuperabile dicotomia agostiniana, afferma che c’è una cultura della morte che mette al centro l’amore di sé portato fino al disprezzo di Dio, e c’è una cultura della vita, cioè che genera storia, che genera concretamente fatti della storia, che genera bene comune, che mette al centro l’amore di Dio portato sino al disprezzo di sé. Mi piace sottolineare un punto che ha accennato il Direttore Costa, cioè il punto dell’università su cui veramente chiudo. Il Papa, ai giovani docenti di Madrid, ha detto: “state attenti a non attirare le persone a voi, ma attiratele alla verità, siate cercatori della verità”. E se noi guardiamo il Salmo 53 dell’Antico Testamento, l’uomo sapiente è il cercatore della verità, il maestro sapiente; il buon maestro non è quello che attira a sé, ma quello che attira alla verità. Io credo che così, così sia possibile che nasca una nuova umanità, da una cultura così intesa è possibile che nasca una nuova umanità, che può partire dall’università, che può partire dall’università e che può estendersi anche a tutta la cultura. Ecco, tutto qua.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie, grazie, molto originale la chiave di cultura di Azzarro. Adesso Fabrice Hadjadj, avviso anche i tecnici per la traduzione simultanea. Grazie.

FABRICE HADJADJ:
“Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione”: è su questa frase forte che conclude il discorso di Ratisbona che vorrei appunto pormi delle domande. Questa frase ci lascia intendere che non ci troviamo in una crisi di fede, ma in una crisi della ragione, la ragione che diventa incapace di accogliere la fede, perché diventa incapace di accogliersi lei stessa. E vorrei precisare anche che il Santo Padre, in questa frase, parla di coraggio, ma là dove c’è il coraggio c’è innanzitutto paura, e qual è questa paura? Vorrei precisare anche che se parliamo di un nuovo umanesimo, ebbene ciò significa che l’umanesimo antico è morto e quindi questo spaventa naturalmente. E che cosa ci spaventa nell’ampiezza della ragione? E’ perché preferiamo la riduzione della ragione, la riduzione della ragione, il restringimento della ragione. I tre discorsi del Santo Padre ci rinviano a tre aperture della ragione. Quando si rivolge al mondo delle scienze parla dell’apertura metafisica che si apre verso la teologia; quando parla al mondo della cultura parla di una apertura poetica della ragione; e quando parla a Westminster ai deputati, ebbene parla di una apertura politica della ragione. E queste aperture suppongono delle chiusure, dei restringimenti della ragione moderna. Di che restringimento si tratta? Ebbene la ragione moderna ha tendenza ad essere una ragione tecnica, tecnicista, si interessa alla materia, ha la predizione per i fenomeni materiali e quindi tende alla padronanza delle forze della natura, e se la ragione è solo materialista, quindi predittiva, ebbene non vuole aprirsi a ciò che è la fonte della materia, e non può aprirsi all’incontro che è apertura verso l’imprevedibile. Quindi se la ragione è solo tecnica, la fede sembra irrazionale, e questo è l’errore del fondamentalismo. O ancora, la fede ridotta alla morale, alla ragione pratica, a un sistema di valori, è ciò che vediamo con Kant, il filosofo, o anche con Harnack, che è citato dal Santo Padre nel suo discorso di Ratisbona. E, secondo Harnack, Gesù avrebbe mandato, congedato il culto religioso a beneficio della morale e quindi la fede diventa sentimentale, moralizzatrice. Ma se la morale non si fonda più su una ragione, è condannata presto al relativismo ed è questo relativismo che tocca appunto la democrazia di cui si parla nel discorso di Westminister, sul quale si insiste molto. Ora, la fede cristiana con il prologo di san Giovanni ci parla appunto del dio Logos, “All’inizio era il Logos”, e il Logos viene tradotto con “il Verbo” generalmente, ma per i Greci la parola Logos indicava la ragione, la parola interna ma anche esterna. Da dove viene questa tragica separazione di due traduzioni, e perché non è stata tradotta la stessa parola greca con la stessa parola in italiano, in francese? Quando Aristotele dice “l’uomo è un animale dotato di logos”, traduciamo con “l’uomo è un animale dotato di ragione”, ma quando san Giovanni, dice “all’inizio era il Logos” traduciamo “all’inizio era il Verbo”, e quindi bisognerebbe dire o l’uomo è un animale dotato del verbo oppure “all’inizio era la Ragione”. Quindi questa separazione, questa distinzione nelle traduzioni è spiegabile con il fatto che il Logos divino non coincide con il logos umano. Il Logos divino oltrepassa di lungo, di gran lunga il logos umano, ciononostante il logos umano è una partecipazione al Logos divino. Quindi essere razionali, in ultima istanza, è partecipare alla follia di Dio, alla sua follia di amore creatore e redentore. E la fede non è una rinuncia alla ragione, ma una apertura della ragione umana ad una ragione più ampia, più alta, che può sembrare una follia, certo, ma che è una ragione infinitamente più elevata. E insisto su questo punto contro il fondamentalismo, perché il discorso del Santo Padre attacca, allo stesso tempo, il fondamentalismo e l’ateismo, perché il fondamentalismo e l’ateismo sono fondati sullo stesso principio, cioè Dio è fuori dalla ragione, la fede non ha nulla a che fare con la ragione, quindi la ragione è di per se stessa agnostica e la religione deve essere una violenza fatta alla ragione. Da dove viene il fondamentalismo, che ha dato luogo all’ateismo? Viene dal desiderio di preservare la trascendenza di Dio, ma il fondamentalismo inizia a concepire la trascendenza come una esteriorità, e quindi la fede sembra una alienazione. Ora, paradossalmente, pensare la trascendenza come una esteriorità più elevata è diminuirla in qualche maniera, è mettere, porre Dio allo stesso livello delle creature ed è dire che è una creatura suprema e inaccessibile come un’altra galassia inaccessibile, come qualcosa che sarebbe in questo mondo ma totalmente oscuro. Ora Dio non è invisibile per mancanza di luce, ma per eccesso di luce, perché è la fonte del reale, perché è il sole che non possiamo guardare davanti direttamente, ma tutto ciò che possiamo guardare con la nostra ragione è illuminato da Dio. Quindi Dio non è una supercreatura, è il Creatore, ed è per questo che la sua trascendenza lo rende ancora più grande di ciò che è, più grande ma anche più intimo, allo stesso tempo, di ciò che abbiamo di più intimo. Intimior intimo meo. Più intimo in me stesso di me stesso. Insistendo su questo punto, il Santo Padre vuole farci uscire da uno schema concorrenziale tra creatura e Creatore. Più mi rivolgo al Creatore e più mi rivolgo alla fonte delle creature, e più quindi devo rivolgermi verso tutte le creature. Più mi rivolgo al Creatore, e non sono alienato, non sono sterilizzato, perché sono alla fonte della creazione e quindi divento ancora più creativo: non c’è concorrenza fra Creatore e creature. Ed è ciò che può spaventare, questa assenza di concorrenza è ciò che spaventa nella ampiezza stessa della ragione, e questa ampiezza, grandezza della ragione suppone l’umiltà, perché suppone appunto di aprirsi ad una ragione più elevata. Ma che cos’è l’umiltà? “L’umiltà è accettare di diventare Dio”, un Dio come partecipazione naturalmente. Aprirsi alla grandezza della ragione è accettare di entrare drammaticamente nella esigenza di una accoglienza totale del reale, nell’esigenza di un’ospitalità e di una creatività amorevole, ed è ciò di cui dicevamo parlando del realismo. La ragione è per essenza stessa apertura storica all’altro, e all’altro in quanto all’altro, alle cose così come sono e non come vorrei che fossero. Ecco perché la grandezza della ragione implica la morte della mia ristrettezza, del mio piccolo, del mio accontentarmi, del mio orgoglio, dei miei fantasmi. La ragione è una apertura all’altro in quanto altro. Che cosa significa questo? Significa che è apertura verso l’obiettività, ma questa parola non è sufficiente, bisogna dire anche che la ragione è un apertura verso il dramma, perché la ragione nella sua lucidità mi mostra che desidero la felicità e che morirò e che quindi devo trovare una verità che assuma la morte in considerazione della felicità, e quindi questo è il dramma. Ma parlare solo di questo non basta, ancora una volta significa che la ragione è comunione, unione con il reale, unione agli altri in quanto altri; e immaginare un amore senza ragione, se appunto amo qualcuno come amo la frittura mista, ecco, ciò rischia di causare non pochi problemi, perché rischio appunto di andare a letto con la frittura mista. Per essere in comunione con l’altro, ci vuole questa apertura razionale verso l’altro, per accoglierlo così com’è. La ragione è quindi comunione ma ciò non basta ancora, dire questo non basta ancora una volta. La ragione, e il Santo Padre insiste su questo, è nel cuore del suo discorso al Bernardins e quindi al cuore del libro, la ragione è celebrazione, perché è apertura verso quest’altra ragione, più alta ancora, quest’altra ragione che va oltre noi stessi e che ci salva, e che ci meraviglia. Per ultimo la ragione si esprime nella lode, ecco perché il moralismo passa accanto all’essenza della ragione, la ragione è meno morale che musicale. Il Santo Padre dice che la ragione canta, che la ragione è corale. Cito un passaggio del discorso al Bernardins: “Per pregare sulla base della parola di Dio, l’unica labializzazione non basta, la musica è necessaria”, e quindi rinvia alla parola di san Bernardo che commenta dicendo: “la cultura del canto è una cultura letteraria”. Naturalmente non si tratta di estetismo, perché il canto di cui si tratta consiste nel cantare in presenza degli angeli e quindi nella verità del cuore. È come precisa anche la regola di san Benedetto: “bisogna che lo spirito sia in accordo con la nostra voce”. Il Santo Padre dice: “cantate, cantare è unirsi agli spiriti sublimi che erano considerati come autori dell’armonia del cosmo”, e questa ragione musicale, questa ragione corale, questa ragione celebrativa ci permette di avvicinare tutta la grandezza della ragione con una grandezza che va fino alla spaccatura della lode stessa, cioè fino all’apertura all’eccesso di Dio. L’unica immagine della musica ci permette di capire che la ragione è comunione perché cantiamo insieme, e che la ragione è apertura dello spirito con l’uomo perché cantiamo col nostro corpo, e che la ragione è mistica perché quando cantiamo proviamo a dire ciò che va al di là della parola stessa. E quindi per ultimo e in conclusione, direi che la grandezza della ragione ci rinvia a questo fatto rivelato, che la ragione è un nome del Figlio, del Figlio di Dio. La ragione è divinamente filiale, e non cessa di essere ricevuta dalla realtà per darsi poi, riceve l’altro per offrirsi all’altro e come il Figlio, come il Cristo, la ragione è lì per riprendere tutto ciò che esiste in questa offerta amorevole. Grazie.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie a Fabrice Hadjadj, bellissimo intervento. Leuzzi, proprio un saluto.

LORENZO LEUZZI:
Sì, solo per ringraziare per questa opportunità e soprattutto per invitare a comperare il libro. Io vorrei soltanto innanzitutto ricordarvi i tre discorsi da tenere a mente, cioè Ratisbona, Parigi e Londra. Sono tre discorsi importanti e che considero di grande significato per un unico obiettivo, che vorrei lasciare così come momento conclusivo del nostro incontro. Per il Papa è possibile incontrare Cristo realmente nella storia, questo è il punto fondamentale dei tre discorsi ed è anche il cammino che il Papa sta proponendo, nelle sue omelie, nei suoi discorsi a Madrid in questi ultimi giorni. Ecco, l’obiettivo del Papa è uno solo: noi non crediamo in un Dio generico, non crediamo in una esperienza religiosa, non crediamo in una esperienza culturale, ma l’uomo può incontrare storicamente Cristo. Questo è la grande sfida per la Chiesa, ma anche la sfida per ciascuno di noi, perché se noi non ci prepariamo, se noi non ci impegniamo a riflettere sulla nostra esperienza di fede, noi pensiamo di potere incontrare Cristo, ma in realtà stiamo incontrando un Dio che non esiste oppure che è frutto della nostra immaginazione. Per questo vi invito a rileggere, riprendere questi tre grandi discorsi del Papa. Ce ne sono altri, noi a Roma in Vicariato riprenderemo tre grandi omelie pasquali di Benedetto XVI e faremo ulteriore esperienza di ciò che abbiamo vissuto quest’anno, ma vi invito innanzitutto a riprendere, a far conoscere ai vostri amici questi tre grandi discorsi del Papa, perché sono importanti, non solo per la vita personale, ma anche per il futuro della nuova evangelizzazione. Grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie tantissimo, accogliamo questo invito. Ringrazio davvero di questo lavoro offerto a tutti noi e ringrazio anche tutti i nostri ospiti e chiamo Piero Barcellona. Inviterei a rimanere, abbiamo preso un po’ di tempo, abbiamo iniziato un po’ in ritardo.
Passaggio d’epoca. L’Italia al tempo della crisi di Pietro Barcellona. Innanzitutto lo salutiamo. Caro ospite del Meeting, con questo libro posso dire che Pietro Barcellona esprime non solo il desiderio ma la consapevolezza di essere proprio dentro questo nostro tempo, che in questi giorni del Meeting stiamo sentendo così interessante per i giudizi che emergono da ogni parte, per le testimonianze di Paesi lontani e del nostro Paese. Ci sono dei riscontri interessantissimi, tra l’altro, con il discorso del Presidente della Repubblica. Prima parlando con lui, ho scoperto che la comune appartenenza di Napolitano e di Barcellona non è stata solo una continuità di esperienza di partito, di centri studi e di pensiero, ma anche una vicinanza precisa, una corrispondenza di riflessioni.
Il libro viene presentato da Davide Rondoni, scrittore e poeta e ormai anche lui molto impegnato nella scrittura e nella offerta di giudizi attraverso i media. Io non rubo parole perché è giusto che diventino protagonisti Rondoni e Barcellona, perché ci spronino a questa approfondita, acuta e anche drammatica disamina della nostra realtà. C’è un punto che ci accomuna con il libro precedente: in una parte del libro, Barcellona, con una suggestiva immagine, immagina di sentir cantare “Meraviglioso”, la bellissima canzone di Modugno, in mezzo al silenzio e al sole di una delle nostre valli del sud, del suo sud, e in questo invito alla positività esistente nella vita, e nello stesso tempo al silenzio che può attorniare fino a diventare assordante, anche se coperto da analisi, discorsi e da una continua ripetizione di se stessi, Barcellona individua la sfida che lui vuole lanciare.
Rondoni, a te il primo round.

DAVIDE RONDONI:
Allora, dopo quel vecchio ex comunista di Napolitano, che ha aperto il Meeting lanciando il giusto invito a portare la certezza di cui il Meeting parla in giro per il mondo, invito che accogliamo come abbiamo scritto oggi sul quotidiano del Meeting; dopo quell’apertura, un altro ex comunista come Pietro Barcellona ci aiuta a non fermarci alla retorica o agli slogan. Verso la fine del suo libro scrive: “sarà perciò necessario un grande lavoro per cercare di cogliere il significato di ciò che sta orientando i comportamenti verso una solitudine feroce, verso una solitudine feroce (ripeto) e un’indifferenza totale per ogni cosa che non appartenga al proprio arrogante egoismo”. Ripeto, perché ci sono i giusti slogan, i giusti inviti, le giuste frasi ad effetto e poi ci sono i pensieri, le riflessioni. Non sempre le due cose coincidono ma ho messo insieme l’invito di Napolitano con un vecchio collega e amico Pietro Barcellona in questa sua riflessione, perché a quell’invito, a quello slogan, a quel discorso come dire politico, nel senso alto e istituzionale del termine, o corrisponde poi un pensiero oppure le parole si perdono nella noia e nella retorica. Quindi dice, ripeto, Pietro: “Sarà perciò necessario un grande lavoro per cercare di cogliere i significati di ciò che sta orientando i comportamenti verso una solitudine feroce e un indifferenza totale per ogni cosa che non appartenga al proprio arrogante egoismo. Dovranno entrare in campo nuovi maestri, che siano modelli viventi del significato che la relazione amorosa fra persone può introdurre nella vita quotidiana, un nuovo bisogno d’amore, che non sia collegato al riconoscimento del proprio ego, ma che esprima essenzialmente il piacere e la libertà di donare, di amare un’ altra persona e di sentirne l’intimità e la vicinanza”.
A me ha colpito come questo libro, che già dal titolo “Passaggio d’epoca” e nei suoi vari passi si presenta come una riflessione sul nostro tempo, sui grandi movimenti della nostra epoca, su quello che la società ci presenta normalmente, anche nel grande teatro dei media e della politica, finisca però, o vada a finire, con un invito a un tipo di lavoro che invece è di scavo e di responsabilità assolutamente personali, assolutamente intime. Come a dire che tutto ciò che è epocale, sociale, apparente, più immediatamente ravvisabile anche se non comprensibile, necessita poi di un tipo di lavoro personale, intimo, per poter essere compreso e corrisposto, cioè aggredito da un’azione significativa.: Insomma non si può rispondere alla società con ciò che è solamente sociale. Non si può rispondere a quello che vediamo come movimento nella società – una solitudine sempre più feroce, un accamparsi sull’egoismo particolare – con un’iniziativa solamente sociale, occorre qualcosa di intimo. Questo è il primo punto che volevo dirvi.
La seconda cosa è che sono contento che ci sia questo libro, perché noi altrimenti saremmo lasciati soli nell’affrontare i passaggi epocali, affidandoci non so, ai libri di Bruno Vespa, con tutto il rispetto per Bruno Vespa, o alle analisi di qualche altro brillante giornalista che, essendo un giornalista, difficilmente ha tempo per pensare, perché i giornalisti hanno poco tempo per pensare, dovendo scrivere tanto tutti i giorni hanno poco tempo per pensare e invece è importante che ogni tanto scenda in campo un filosofo, come Pietro, che quindi unisce il giudizio sull’attualità anche a una profondità di pensiero, a un’attitudine al pensiero. E’ importante avere spunti di questo genere. Questo non significa concordare del tutto con quello che dice Pietro Barcellona, io stesso non sono d’accordo con tutto quello che lui dice in questo libro, per fortuna mia e sua soprattutto, ma è importante avere contributi di questo genere, altrimenti veramente nella società italiana saremmo lasciati a seguire questa specie di pensatori improvvisati, che sono i giornalisti, che fanno i libri per cercare di spiegare il mondo.
Qui il mondo è spiegato meglio che da tanti altri e qui vengo alla prima domanda, perché non voglio rubare altro tempo, già mi sembra che sia stato lungo il libro di prima e non voglio ripetere la cosa. E’ un libro che parte da una grande sconsolazione. Lui dice, l’Italia sembra ridotta a una gelatina, la politica italiana ha del “gelatinoso” ed è un po’ l’impressione che abbiamo tutti no? Uno apre i giornali, sembra di vedere un po’ una grande gelatina, l’Italia. E inizia con una grande sconsolazione e finisce in una grande disperazione, ma una disperazione, come dice Pietro rifacendosi a Nietzsche, ma poi qui lascio il campo al filosofo, una disperazione che può essere paradossalmente l’inizio di un aspetto costruttivo, cioè l’inizio di un aspetto per cui si cerca ciò che diventa essenziale, si cerca ciò che vale. Scusate se faccio un paragone che può sembrare un po’ strambo, questa specie di disperazione costruttiva finale, Pietro la prende, o meglio gli dà un posto, rispetto a una suggestione di Nietzsche, io invece io la prendo da un altro che si chiama Francesco d’Assisi, che non ha quasi niente in comune con Nietzsche, però era arrivato a una cosa simile quando spiegava che cosa è la perfetta letizia. E la perfetta letizia di cui parla Francesco d’Assisi, è quella che occorre per fare quel lavoro di cui dicevo prima, un lavoro per capire i significati, qualcosa di intimo, qualcosa che apra al dono di sé. La perfetta letizia, come la spiega Francesco d’Assisi, uno la sperimenta quando sembra che non ci sia nient’altro a dargli letizia, se non avere incontrato Gesù Cristo, è insomma una relazione amorosa profonda. Infatti Francesco, dice: quando arrivi al monastero, e piove, e bussi e non ti aprono e cominci a maledire il fratello dentro che non ti apre, ecco lì puoi sperimentare la perfetta letizia, perché perfetta letizia, che secondo me è un po’ più della disperazione costruttiva, la perfetta letizia è appunto nel momento in cui sembra che intorno non ci sia un motivo di speranza se non qualche cosa che ha così radicalmente toccato la tua persona, come solo un incontro, come solo un fatto storico può essere, ha così profondamente toccato la tua persona che non hai bisogno di nessun consenso esteriore, non hai bisogno di nessuna speranza data da nient’altro, se non da quello. E questo credo che sia un momento in cui il Meeting è la dimostrazione, per quanto fantasticamente confusa, supremamente ambigua come sono tutte le cose umane e anche disorientante per tanti che vengono, che nel nostro Paese non solo ci sono persone abitate da questa perfetta letizia. Ma su questo volevo dare lo spunto a Pietro per partire.

PIETRO BARCELLONA:
Io ringrazio tutti gli organizzatori, tutti gli amici del Meeting, lui che ha la pazienza di presentare queste mie riflessioni e Davide Rondoni per quello che ha detto e voi perché avete mostrato di resistere alla stanchezza e alla durata delle manifestazioni precedenti, convinti di ascoltare una testimonianza di una persona che si sente molto coinvolta in questo clima di partecipazione attiva e di tentativo di stare insieme in modi diversi da come solitamente accade. Voglio rispondere subito alla domanda, perché è una domanda centrale. Io ho voluto citare questo libro di Nietzsche, intitolato Le lacrime di Nietzsche, perché mi è capitato, mentre scrivevo alcune cose, di leggere questo libro molto bene, ma in realtà la grande disperazione, io l’ho provata personalmente, anche il riferimento a Francesco d’Assisi può andar bene, ma il punto è che se uno le cose non le prova non ne può parlare seriamente; ecco, seriamente si può parlare solo delle cose che si sono provate, cioè parliamo tanto di incarnazione ma l’incarnazione è prima di tutto l’esperienza sul proprio corpo, sul proprio stare fisicamente in una condizione determinata e concreta. Ecco, io sono andato incontro a una grande depressione. La grande depressione non è facile, se qualcuno ha provato un po’ di depressione può forse capire cosa vuol dire una grande depressione.
La grande depressione è lo spalancarsi dell’abisso, il senso di vuoto, la visione di se stessi come un niente, come qualcosa che non ha più nessuna consistenza. Ecco, questo vuoto è difficile da attraversare, però se si attraversa, io l’ho attraversato vi confesso anche andando in analisi e questa analisi mi è servita a capire una cosa, che questo grande vuoto, questo grande annichilimento di sé, non è un disprezzo di se stessi in senso masochistico, ma è proprio l’auto comprensione, il capire la propria limitatezza, il proprio confinare. Vedete, l’altro, di cui si è parlato tanto prima, spesso è declamato nei discorsi come un’astrazione, invece quando tu hai questa sensazione di vuoto, la prossimità di un altro corpo, la persona che ti ascolta la senti in un modo tale che ti risuona dentro, cioè non è un’alterità esterna. Io penso che prima di un’alterità esterna ci debba essere un’alterità interna, che è proprio questa intima consonanza che si avverte in un momento di perfetta letizia, perché ti sei spogliato, disarmato. Noi siamo armati da mille pregiudizi, da mille preconcetti, andiamo incontro alle persone pregiudicandole con le nostre valutazioni, quando mai andiamo disarmati? Per andare disarmati bisogna svuotarsi. Io dico che la grande disperazione è un’esperienza di disarmo. Noi faremo sempre la guerra se non ci disarmiamo. Perché poi questo attraversamento del vuoto ti fa incontrare la passione della verità, di cui anche Napolitano ha parlato e di cui si parla in questi giorni, che è la passione della realtà. Io per esempio, oggi, siccome sono un attento lettore dei giornali mattutini, avrei voluto parlare della solitudine feroce degli anziani a Milano che sono abbandonati nelle loro case, che ricevono un po’ di aiuto chiedendo soccorso con un telefono. Ma dove era questa solitudine feroce quando gli uomini magari avevano meno tecnologie, meno strumenti a disposizione, ma vivevano più di rapporti affettivi, di rapporti di vicinato? C’è una cosa persino comica, tutte le autorità milanesi invitano a fare in modo che i rapporti tra vicini vengano ripristinati, dopo anni di silenzio, dopo anni di indifferenza. Ma chi fa una riflessione lunga, seria, fino a farsi macerare dentro le viscere, su questa solitudine feroce? La crisi che stiamo vivendo e che segna questo passaggio d’epoca è proprio l’attraversamento di un vuoto. Perciò io non vedo la crisi soltanto in termini negativi. Noi ci stiamo svuotando, perché non possiamo più credere in tante idolatrie: il progresso, la ricchezza, il benessere, i soldi. Dobbiamo cominciare a vedere il mondo vicino, il mondo di cui Davide così efficacemente ha riassunto il senso, una vicinanza amorevole, una vicinanza in cui non ci si sente oppressi dal giudizio che si deve ricevere. Allora andiamo a vedere la realtà. Un grande insegnamento, Davide, per me è stata una lettura giovanile di un libro di Saint Exupery, non il Piccolo Principe che tutti leggono come grande fiaba, ma Terra degli Uomini, che è un libro straordinario, dove un certo punto mi ha colpito ed è diventato pure il motto della mia vita. Sapete, io venivo da una famiglia che aveva appreso l’arte di studiare come unica via per avere un qualche ruolo nel mondo e quindi leggevo, studiavo…, a un certo punto, tra i sedici e diciassette anni, incontro questo libro dove si legge: “…che si sbrogli la logica per dar conto alla vita: se le arance crescono nei giardini del Mediterraneo questa è la verità delle arance; se gli uomini stanno bene in una trattoria a mangiare insieme, questa è la verità degli uomini”. Lasciamo perdere tutte le astrazioni, cerchiamo di ritrovare la bellezza dello stare insieme, la gioia di riuscire per un momento a capirci, e a rompere questa solitudine feroce. Stiamo passando da un epoca che ci ha promesso mille cose, le promesse sono state tutte false. Gli idoli sono caduti. C’è ancora qualcuno che cerca di ingannare il mondo, dicendo che fra due giorni magari tutto ricomincerà come prima. Non è così, un grande cambiamento si prepara e dipende essenzialmente dal modo in cui noi vivremo la nostra esperienza quotidiana. Non come un momento raro di un’illuminazione, ma come una testimonianza continua del bisogno che abbiamo di essere amati e di amare. Grazie

CAMILLO FORNASIERI:
Beh, è tutto ben riassunto, sia dall’intervento di Rondoni che di Barcellona. Io avrei la tentazione di farti quattro, cinque domande, però non so se è tempo… forse solo una, che magari permette di ribadire quello che hai già detto. C’è nel libro anche una analisi della unità di Italia, che ci riporta al lavoro che è stato fatto sulla mostra; su un tema, la necessità di ripartire dalla storia, c’è un interessante tuo giudizio su chi ha distrutto la umanità, che, come dicevi adesso, come dire, non sa più star vicino alla persona, nelle grandi città. Lui non dice “è stato qualcuno che non si sa chi è”, è stata una cultura, – tra l’altro Barcellona fa anche dei nomi e cognomi – o anche la politica, che dice non esserci più, ma la sua posizione non è quella dell’antipolitica dei popoli verdini, viola o altro. La questione è più profonda, perché questo è un invito ad andare a leggere, a iniziare a discutere la sua esperienza e riflessione. Volevo che appunto potessi congiungere questo finale del libro, come accennava Rondoni, col fatto che bisogna ripartire da un Dio che si è reso presente, da una possibilità amorosa, e non ancora da un’idea che noi possiamo avere del mondo, della vita; congiungere insomma questa indicazione che tu dai come punto da cui ripartire, su cui aprire un cammino, con la lettura che fai di quello che si è perso.

PIETRO BARCELLONA:
Ci penso molto, il problema sul quale io cerco di mettere l’accento è che quello che si è perso non è che si è perso per una specie di fatalità naturale, si è perso perché qualcuno ha lavorato per farcelo perdere: difatti io ho scritto in altre circostanze una riflessione sul furto dell’anima. Il furto dell’anima è proprio quello che è accaduto, e quando c’è un ladro c’è anche una vittima, ma la vittima non può blaterare contro l’intero mondo, deve individuare chi è stato il ladro. Ora, noi abbiamo subito veramente una specie di lavaggio del cervello; Ceronetti ha detto l’altro giorno sul Corriere una cosa molto interessante, ha detto: il nostro cervello è stato fecalizzato, cioè riempito di feci, insomma, lo sterco del diavolo, ha scritto Le Goff a proposito dell’usura

DAVIDE RONDONI:
Se mi permetti, così per dibattere un po’, Ceronetti è uno degli autori di questa fecalizzazione.

PIETRO BARCELLONA:
Eh, lo so, ma purtroppo anche… cioè, una delle cose che ho fatto sempre io, è che quando ho sbagliato me ne sono pentito pubblicamente. La maggior parte degli intellettuali italiani sbaglia sempre ma non se ne pente mai, questo bisogna dirlo come premessa.

DAVIDE RONDONI:
No, perché io mi ricordo a proposito di cervello fecalizzato, la cosa orrenda e vergognosa che Ceronetti ha scritto, pretendendo di dar voce a Eluana Englaro che implorava la morte. Altro che fecalizzazione! È da vergognarsi per trent’anni, secondo me.

PIETRO BARCELLONA:
Guarda, se devo dire… non posso farlo in questa sede, se no faccio anche danno a lui, ma io stimo pochissimo gli intellettuali italiani, perché sono chiacchieroni e trasformisti, e sono tutti alla ricerca di un successo strumentale. Sapere camminare da soli, rischiando di non essere graditi più da nessuna parte, è una cosa che io mi son preso, come dire, il vizio di praticare, perché alla lunga ti dà la soddisfazione di sentirti libero, di sentirti indipendente. Ora, il punto è sapere che il nemico è importante. Io voglio fare un breve racconto di un… mi ricordo, quando nel ’73 ci fu la grande crisi petrolifera, la prima crisi, il partito comunista di cui io facevo parte mi mandò a spiegare agli operai, anche a Sesto San Giovanni, perché bisognava combattere contro la crisi. In una grande assemblea a San Giovanni Val d’Arno, mi ricordo, si alzarono alcuni e mi dissero: “Barcellona, ma cos’è ‘sta crisi? Si può combattere contro un’astrazione?” e una delle cose che mi colpisce sempre – credo che sia nel senso della domanda che mi hai posto – è che noi, quando c’è il crollo di borsa, sentiamo dire che sono stati bruciati miliardi, e naturalmente uno che sente “bruciati i miliardi” ha l’impressione che qualcuno abbia preso un cerino e abbia acceso della carta. I miliardi bruciati sono quelli che perdiamo noi e che guadagna un altro, e quindi quando c’è questa storia dei miliardi bruciati c’è qualcuno che se ne sta avvantaggiando, si stanno spostando. Ora, non c’è dubbio che ci sia stato un grande lavaggio del cervello, e ciò che è stato attaccato è l’uomo, e questo, per certi versi, nonostante i discorsi non mi abbiano molto convinto, è il tema di Monsignor Leuzzi, che conosco bene perché abbiamo fatto delle cose insieme a Roma, il tema del nuovo umanesimo, che è decisivo. L’offensiva neo-liberista che c’è stata, è in realtà molto legata a un’offensiva oggettivista-meccanica, in cui l’uomo viene svuotato dei suoi affetti di passione, di relazionalità, di irriducibilità, e ridotto a un puro meccanismo. Cioè, non è che… cioè, quando esce un articolo come quello di ieri di Boncinelli, “abbiamo trovato l’origine della vita” e tutto viene spiegato in termini di pura evoluzione, e non c’è nessun riferimento a una possibile trascendenza… badate, io, dicono che mi sono convertito, in realtà a undici anni ero uno che diceva la messa e poi sono stato da giovane anche presidente dell’Azione Cattolica, questo non lo sa… però appunto, la cosa che mi colpisce, per esempio, anche nel discorso che questo filosofo francese ha fatto, è che tutto si concilia armoniosamente, mentre non è così! Noi siamo continuamente abitati da qualcosa che ci trascende e che non possiamo afferrare; questo qualcosa che ci trascende certe volte è un aspetto negativo, io dico che noi abbiamo anche un sé luciferino che abita dentro il mio…, che prova invidia, che prova rancore, che vuole… appunto questo ego… ma abbiamo anche tutta una parte di apertura, di generosità, di disponibilità, di ascolto, un io maturo, che non è così egoista e auto… La cultura non è neutra, cioè non è che la cultura con cui abbiamo a che fare è soltanto informazione, spesso è deformazione. Ora, sulla stampa, sistematicamente, avviene da almeno vent’anni un bombardamento per togliere dalla mente di ciascuno di noi l’idea che ci sia qualche cosa che somigli all’anima, alla psiche, allo spirito, e che tutto si può ridurre a puri meccanismi, impulsi, scariche, soddisfazioni immediate. L’uomo di oggi sta cancellando completamente la memoria, perché cancella tutta la parte di sé che è depositata nella sua personalità intera. Io non amo molto l’io, preferisco la parola persona, e l’ho usata quando non era tanto di moda, anche perché Roberts ha scritto Psicoanalisi della persona, per dire “guardatevi dall’io, che è arrogante, presuntuoso, la persona è molto più complessa, è molto più in relazione, è molto più comunità”. La persona è anche comunità, non è solo individuo. Ecco, io ho voluto, con queste parti che ho richiamato adesso, sottolineare questo punto: non vi fate abbagliare da questo discorso apparentemente neutro, bisogna sapere leggere criticamente anche la pubblicità sulla salute. Oggi ci spiegano che molte cose si risolveranno coi farmaci. Il primo farmaco è la capacità di guardare se stessi; il secondo farmaco è simile al primo, è amare la persona che troviamo come il prossimo tuo.

CAMILLO FORNASIERI:
Grazie, concludiamo con questo spunto, il libro termina appunto con “aprire le porte a una nuova cultura della vita”. È questa vibrazione della vita, questa febbre, che si sente in Barcellona, che oscilla tra un limite che sente di sé e un desiderio di speranza, di costruttività nuova. Io penso che nell’analisi che contiene il libro, si possa dire che già nella frase di Darwin che diceva “prima si crea una mutazione in natura, e poi avviene una sostituzione”, quel grido d’allarme che lui ha lanciato consiste appunto nell’andare anche a vedere che sono state cambiate le parole, il senso e l’esperienza indicata da alcune parole, e che continuamente si propone il loro surrogato, vale a dire ritroviamo realmente cosa vuol dire cuore, io, inteso come persona, come legame. Quindi questo lavoro che tu suggerisci è un punto aperto di cui condividiamo anche, come dire, i primi punti di analisi e anche di battaglia che hai indicato. Grazie, leggiamolo, e siamo con te nel proseguimento del cammino. Grazie Rondoni, arrivederci a oggi pomeriggio.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2011

Ora

11:15

Edizione

2011

Luogo

eni Caffè Letterario D5
Categoria
Testi & Contesti