INVITO ALLA LETTURA

In terra sconsacrata
Presentazione del libro di Alessandro Zaccuri, Giornalista (Ed. Bompiani).
Partecipa l’Autore. Introduce Davide Rondoni, Poeta e Scrittore.

 

MODERATORE:
Buonasera, ben trovati, siamo qui per fare due chiacchiere, per presentare il libro di Alessandro Zaccuri che è questo signore pericoloso – dopo vi dirò perché – che è qui al mio fianco e che tra le altre cose ha pubblicato da poco un libro per la Bompiani, che si chiama “In terra sconsacrata”. E’ un librettino che si legge velocemente, io ricordo di averlo letto attaccato alla spalletta di un fiume, a Torino, in un posto di spaccio molto forte di ragazzi maghrebini. Alessandro Zaccuri è noto anche come giornalista, conduce su Sat 2000 una trasmissione quotidiana dedicata alla televisione e poi su “Avvenire” scrive sia di cultura che di società. Ha pubblicato da poco anche un romanzo. Vi dicevo che è un tipo pericoloso perché ha appena fatto un romanzo su Leopardi, m’ha detto che il prossimo romanzo che vuole fare è sul Festival Di San Remo. Il sottotitolo di “In terra sconsacrata” è “perché l’immaginario è ancora cristiano”, frase per la quale ha rischiato di esser messo in galera, magari in manicomio, immediatamente, perché hanno detto: “come fai a dire una cosa così”? Che l’immaginario sia ancora cristiano sembra una frase assurda, eppure questo libretto, a mio avviso, in maniera provocatoria anche nel suo aspetto sintetico – del resto Zaccuri, pur essendo molto colto si guarda bene dal fare un mestiere che non è il suo, cioè non fa né il teologo né il filosofo, pur essendo preparato sia in teologia sia in filosofia, ma fa lo scrittore e l’indagatore più che il giornalista – lo dimostra in modo convincente. Zaccuri sceglie una strada che non quella del lamento o dell’accusa, ma fa un altro lavoro, cioè prova a entrare realmente nell’immaginario contemporaneo – in questo libretto si parla di film che normalmente girano, di canzoni che normalmente girano – prova a entrare e a fare un esercizio di intelligenza, cioè a guardare senza fermarsi alla superficie e guardare veramente dentro più di quanto anche altri normalmente fanno. La mia domanda è questa, primo: chi te lo fa fare?, perché non è semplice, è un lavoro che costa anche una certa fatica. Secondo: che cos’è che aiuta a fare questo esercizio di intelligenza che in questo caso, come vedrete leggendo il libro, non è un’intelligenza che mira a dimostrare qualcosa in modo capzioso, cioè non è un’intelligenza che si affida alla capziosità per dimostrare che l’immaginario è ancora cristiano. Noi tutti cristiani dovremmo essere avvertiti da un terribile epigramma di Pasolini, che se la prendeva con i critici cattolici, dicendo che sono bravissimi a trovare sempre la citazione giusta, a cristianizzare gli autori trovando la citazione giusta, estrapolandola dal contesto e lavorando così in modo capzioso. L’intelligenza di Zaccuri è non – di lavorare in modo capzioso, ma di andare in profondità, viaggiare per archetipi invece che per capziosità. Allora dicevo ecco, che cosa ti aiuta di più a fare questo lavoro che qui ha un esempio piccolo ma denso e che anche normalmente nel tuo lavoro di indagatore e di giornalista fai?

ALESSANDRO ZACCURI:
Beh intanto grazie per la presentazione, grazie a voi per essere qui. Penso che la domanda “chi me lo fa fare” venga dalla persona sbagliata, perché in realtà è un po’ il lavoro che tutti noi che bazzichiamo con le parole, bazzichiamo con la letteratura avendo un’appartenenza forte, una convinzione di fede – per quanto possibile, per quanto umanamente possibile- forte e motivata, ci troviamo a fare; è lo stesso motivo per cui Rondoni fa un sacco di cose, parla di poesia da un sacco di parti.

MODERATORE:
Beh questa non è una risposta però! È una risposta capziosa!

ALESSANDRO ZACCURI:
Beh una tantum è capziosa, sì!

MODERATORE:
Io lo faccio per fame!

ALESSANDRO ZACCURI:
Tu lo fai per fame, io lo faccio per desiderio di semplicità, nel senso che, trovandomi come tutti a fare una vita in cui capitano molte cose, in cui si è indotti, costretti, a vedere, leggere, incontrare situazioni diverse, a un certo punto viene il desiderio di fare un pochino di sintesi, di vedere se in questa grande diversità e complessità delle forme alla fine non ci sia qualcosa di semplice, qualcosa di semplice che rimane e che è un po’ quest’immagine del titolo, la terra sconsacrata. Noi abbiamo sempre questa sensazione di vivere un po’ in un territorio ostile, in un territorio confuso, in un territorio in cui si sono persi i punti di riferimento e le possibilità di ricostruire le mappe, di ricostruire la storia. In realtà già dire di un luogo, di una terra che è “sconsacrata”, vuol dire fare memoria in qualche modo di qualcosa che c’è stato prima, di un elemento sacro che in qualche misura persiste sempre. Io all’inizio del libro ho messo un po’ provocatoriamente una battuta di Tinto Brass, un altro che sembra che c’entri poco con questo tipo di argomenti. Tinto Brass era stato in Spagna – la Spagna come sapete è presentata come l’unico paese europeo davvero all’ avanguardia eccetera eccetera – e dice: “la Spagna è un paese civilissimo perché hanno proiettato un mio film in una chiesa sconsacrata”. Allora, perché gli interessava così tanto che proiettassero un suo film in una chiesa sconsacrata? Una volta che è sconsacrato un edificio non dovrebbe essere uguale ad un altro? In quest’atteggiamento polemico nei riguardi della Chiesa, a me sembra di vedere in qualche modo la cattiva o la buona coscienza, la memoria anche involontaria del fatto che su alcuni temi, su alcuni racconti originari in realtà il cristianesimo non è stato superato, non è stato neanche rimosso, è stato in parte dimenticato forse, questo sì. Io credo che sia particolarmente interessante quando il cristianesimo passa dal parlare dell’anima, che è stato uno dei furibondi argomenti di confronto, scontro, approfondimento di quest’anno culturale appena trascorso, a parlare di quello che alla fine è il territorio proprio del cristianesimo, cioè del corpo, perché il cristianesimo nasce dall’incarnazione, nasce dal dare al corpo il valore più alto. C’è un episodio molto bello del Vangelo che nel libro non commento – il libro parla in parte della cultura pop, chiamiamola così, dei nostri anni, compreso “Il codice Da Vinci”, compreso “Matrix”, comprese alcune cose magari più antiche, perché poi un minimo di discorso storico tenta di farlo – è un episodio che secondo me spiega anche come molto dell’umorismo sia cristiano in origine: è quello del paralitico, quando tirano giù il paralitico, scoperchiano la casa e Gesù dice cosa sarebbe più difficile a questo punto, se dirgli “ti sono perdonati i peccati” oppure “alzati e cammina”. Gesù fa tutte e due le cose, gli perdona i peccati, lo fa alzare e lo fa camminare. Ecco, io credo che questo rapporto col corpo vada riscoperto proprio per quanto riguarda gli immaginari. Noi ci stiamo raccontando da un po’ di anni la favola che la materia non esiste più, che è tutto virtuale, che è tutto immateriale, che l’economia terziaria non produce le cose ma trasmette soltanto sensazioni, che il terziario molto avanzato è quello che alla fine ci salverà eccetera. Ma questa è un’illusione, ciascuno di noi lo sperimenta quando alla fine della giornata ha fame e sonno. Ecco, io credo che quando tocca i temi del corpo, l’immaginario ancora oggi risente molto del cristianesimo, il modo per esempio in cui si racconta la sofferenza del corpo. E’ impressionante vedere come per esempio i film horror non fanno altro che riprendere l’immagine che noi per secoli abbiamo avuto del martirio cristiano, pretendendo di togliergli il significato e sostituendo a quel pieno di significato che c’è nella raffigurazione dei martiri il vuoto del nulla, dell’immotivato. “Funny Games”, questo film che è stato rifatto come remake da un regista molto bravo, molto lucido, austriaco, narra di due ragazzi belli, eleganti, puliti, biondi con gli occhi azzurri che arrivano e portano la violenza in una famiglia senza motivo. Quello che ci spaventa veramente è il senza motivo. Ed è esattamente il motivo invece che ci ha permesso per anni di contemplare nelle chiese i San Sebastiano, i San Bartolomeo, le Sante Lucie, tutti questi corpi sottoposti al martirio, dove però c’era una senso, dove c’era qualcosa di forte, di riconoscibile. Da una parte il dolore, dall’altra il piacere. Il racconto del piacere del corpo è un racconto ossessivo nella nostra società, però quando poi si va a vedere quali sono le parole, con quale tipo di linguaggio viene mimato questo tipo di piacere del corpo, sorprendentemente molte volte si ritrova un linguaggio di tipo religioso, anche lì magari cambiato di segno, anche lì confuso eccetera eccetera. E tutto questo secondo me e secondo anche quella che è l’esperienza di tante persone che hanno provato a riflettere su questi argomenti, va poi a convergere sul punto finale che ci riporta un po’ al discorso sull’anima. Che cos’è l’anima? L’anima è un soffio vitale, un qualcosa di energia che poi si ricomporrà in una energia cosmica più grande. La promessa del cristianesimo è una promessa diversa ed è una promessa che ha a che fare ancora con il corpo, è la promessa del corpo di gloria. Io credo che all’origine di tanta parte della letteratura medievale ma anche contemporanea, vi siano i racconti della resurrezione. In questo libretto provo ad analizzarne due: uno è il “noli me tangere”, è l’incontro con la Maddalena, dove l’importanza del corpo, del corpo glorioso di Cristo viene sottolineata proprio impedendo di toccarlo. E’ lo stesso corpo che viene dato nell’eucaristia, però in quel momento non può essere toccato, perché è andato oltre. Quello che permette alla Maddalena, in quel racconto straordinario, di riconoscere la vera presenza di Cristo in questo giardiniere che incontra, è un movimento che nel testo greco originale è contemporaneamente fisico e spirituale. La Maddalena si volta e voltando il corpo qualcosa dentro di lei scatta, è come un meccanismo. Il secondo racconto che io trovo straordinario è il racconto di più grande speranza che un cristiano possa leggere oggi, è quello dei discepoli di Emmaus, dove di nuovo è in scena il corpo di gloria di Gesù, questo corpo che non viene riconosciuto immediatamente, in cui accade esattamente quello che l’immaginario contemporaneo che si crede scristianizzato cerca di fare. I discepoli di Emmaus spiegano al viandante che cosa è successo sul Golgota, che cosa è stata la passione, chi era Gesù di Nazareth, fanno quest’esercizio, che molta cultura contemporanea fa, di spiegare Dio a Dio, e anche qua la suprema ironia, l’affettuoso umorismo di Gesù nei confronti dei discepoli è di lasciarglielo fare, di lasciarglielo fare per molto tempo. Io credo che gran parte della cultura contemporanea, dell’immaginario contemporaneo sia in questa situazione, di essere convinto di spiegare a Dio stesso o a chi in qualche modo cerca di praticare la fede, di attraversare questa terra sconsacrata senza dimenticare che può ancora essere consacrata e che lo è stata, di scandalizzare il mondo dei credenti con qualcosa che in realtà all’esperienza dell’uomo, quindi all’esperienza della Chiesa, è molto ben conosciuto. Io come ultimissima figura del libro ho voluto mettere il Curato d’Ars, questo prete francese di poca cultura, di grande umanità e di straordinari doni spirituali, che sostanzialmente non faceva altro che confessare tutto il giorno. Io, ogni tanto, quando trovo gli artisti di arte contemporanea che vogliono fare le cose scandalose, oppure quando esce un film particolarmente pruriginoso, mi diverto a pensare quante ne sapeva il Curato d’Ars, in quindici ore al giorno di confessionale. Ma volete che ne non sapesse più di Tinto Brass? Però non cambiava niente, non cambiava niente perché c’è questa scienza dell’uomo, che è la poesia, la letteratura, che è l’arte in genere, che racconta in un modo più esatto della scienza e che credo sia ancora molto legata all’esperienza del cristianesimo. Anche qui al Meeting ci sono molte mostre che cercano un po’ di aiutare a capire a che punto siamo nel rapporto tra la nostra fede e quello che la scienza scopre, che la scienza dice – noi però in questo modo dimentichiamo che la scienza, in realtà, procede per errori. La cosa straordinaria della poesia, della letteratura, della presentazione artistica è che è esatta fin dall’inizio; magari ci dice delle cose che non gradiamo dell’uomo, non ci piace l’idea che all’inizio della letteratura occidentale ci sia un uomo che si arrabbia, perché non sta bene arrabbiarsi, quindi Achille non dovrebbe prendersela così, però è vero, quello è un pezzo di verità dell’uomo. Ecco io credo che l’immaginario del cristianesimo vada proprio a toccare questa verità dell’uomo che non cambia, cambiandola dal di dentro, però, e arricchendola di senso, arricchendola di umorismo, arricchendola, più che altro, di speranza, che è quello che manca agli immaginari contemporanei che sono sempre più sofisticati, sempre più attraenti, ma che alla fine, se devono trovare un senso, difficilmente riescono a trovarlo al di fuori di questa tradizione che si vuole altrimenti contestare.

MODERATORE:
Una piccola parentesi su questa cosa della scienza e, invece, dell’arte e della letteratura: un poeta importante, che si chiama Arthur Rimbaud, diceva: “La scienza è troppo lenta per noi”, indicando una differenza di metodo, cioè di lentezza. Sia la scienza che l’arte hanno come oggetto della propria indagine la conoscenza dell’esperienza umana, ma la scienza, dovendo procedere per analisi, per errori, ci fa vedere molte più cose, ma ci mette più tempo; l’arte e la letteratura procedono invece per sintesi, per analogie, per corrispondenze, come diceva il grande Baudelaire, di cui parleremo l’ultimo giorno, va più veloce, va più rapida. Gli scienziati ci hanno fatto vedere dopo molto tempo, nel Novecento, che la realtà è fatta di un’energia che si muove, Dante aveva già scritto che “amore muove il sole e le altre stelle”, lo aveva già scritto, aveva già dato il nome a quella energia. Ma vorrei ritornare al tema principale. L’’immaginario che cos’è? L’immaginario è questo fissarsi, in una costellazione di immagini riconoscibili, di un racconto di cui si capisce il significato e il senso. È bello l’esempio che facevi prima: il corpo di un martire ti richiama subito a una sofferenza che ha un significato, è un’immagine chiara, un emblema chiaro, tanto è vero che, se pensate, anche normalmente si dice: “i martiri di Nassirya”, anche se non c’entra niente con la tradizione cristiana. Lo si dice perché si indica una sofferenza che ha avuto un significato. È vero questo, ed è vero che persiste, come tu indichi nel tuo libro, un immaginario cristiano di riferimento. Però anche se ci si rifà a un immaginario cristiano, il racconto non lo si capisce più. Per farla breve, è vero che possiamo consolarci, tra virgolette, pensando che il curato d’Ars sapesse mole più cose di quelle che hanno dato vita a certi film o ad altri, ci si può anche consolare così, però è anche vero che nella maggior parte della vita di oggi anche i più elementari segni del cristianesimo non sono compresi, perché non è più compreso il racconto, cioè non è più compresa l’esperienza di quel racconto. Pensate, banalmente, lo stesso segno di croce, che vediamo fare normalmente in milioni di momenti sportivi, politici, istituzionali, quanto sia diventato una specie di segno scaramantico, invece che il segno che contiene le dimensioni del mondo. Questo problema c’è, per fare un po’ l’avvocato del diavolo. Cosa me ne faccio di un immaginario ancora cristiano se il racconto non lo capisco più, se l’esperienza non la faccio più?

ALESSANDRO ZACCURI:
Che il problema ci sia è chiarissimo. Io credo che ci sia, però, un problema ancora prima, che riguarda più il mondo dei credenti, che è il fatto di ricordarsi che all’inizio il cristianesimo è un racconto, all’inizio è una storia. Noi a volte abbiamo questo pregiudizio, pensiamo che Gesù, potendo, sarebbe andato all’ONU, avrebbe fatto un bellissimo discorso – tipo quello di Gandhi, che è stato pubblicato – che sarebbe andato bene a tutti. Invece non essendoci ancora l’ONU e trovandosi lì in mezzo a pescatori ignoranti avrebbe provato a spiegargli un po’ di teologia ma non ce l’avrebbe fatta e così gli avrebbe raccontato delle storielle. È assolutamente sbagliato questo. Io l’ho messa in barzelletta, però, se andate in giro, è un po’ questa l’idea che c’è. C’è tutto un livello di pensiero sofisticato e poi c’è un cristianesimo…Ci sono quelli che si mettono in fila per padre Pio e non si capisce perché…. Una brevissima cosa autobiografica, che c’entra poco, però poi in realtà è il motivo per cui ho scritto questo libro. Io ho scritto questo libro perché mi sono un pochino stufato, frequentando altre persone che si occupano di libri, di comunicazione, di sentirmi dire: “Beh, tu, anche se sei cattolico, credente, ne capisci di queste cose”; oppure gente che ti chiama e ti dice: “Guarda, è uscita la Passione di Mel Gibson, però tu ovviamente, siccome sei intelligente, non sarai d’accordo con quel tipo di rappresentazione lì”. Allora, non potendo spiegare ad uno per uno a queste persone, che sono anche amici, alla fine ho provato a mettere nero su bianco – qualcuno mi avrà tolto anche il saluto – per cercare di dire: a noi cristiani, proprio come storia di famiglia, questa dimensione del raccontare ci appartiene, perché il Logos è anche un racconto e la doppia parte dell’incarnazione del Logos, quella che lo porta ad essere corpo ma continua ad essere parola…Sì, certo, c’è stata la Passione sul Golgota, ma voi pensate quante passioni ci sono state del Logos incompreso: le eresie, le manipolazioni, dire che il Logos non è più il Logos, ma va tradotto in un altro modo, non è più il Verbo, ma la relazione…E di tutto questo, di questa dimensione originale del Logos, della parola che è azione, il racconto è fondamentale. Se uno torna ai racconti delle parabole e ancora di più a quei racconti di parabole in azione che sono, per esempio, i racconti della Resurrezione, i racconti dell’infanzia, trova qualcosa che è vero e che da un punto di vista di cultura diffusa oggi sembra meno conosciuto. Ma è anche vero che basta una storia come quella del paralitico – è più facile perdonare i peccati…- basta raccontarla una volta e non viene più dimenticata. Tanto è vero che la si trova nelle situazioni più strane. Faccio un esempio molto stupido, apparentemente: c’è un momento molto emozionante di Spiderman 2 – io ho la fortuna di avere figli adolescenti, quindi me li vedo tutti i film di supereroi, facendo finta di vederli con i figli; a me piacciono molto, perché ci trovo molto di queste cose. Se uno va a vedere le prime immagini di Nembo Kid, di Superman sospeso lì sulla città, sono esattamente le immagini che uno trova nella pittura di devozione napoletana del Seicento, quando appare san Gennaro e ferma la peste. Proprio la stessa figura, il santo sospeso per aria che blocca. In Spiderman 2 il momento più emozionante è quello in cui non succede niente, è quello in cui Spiderman fa una cosa da fumetto, ovviamente impossibile, ferma un treno in corsa con il suo corpo, nella metropolitana, e viene sollevato come in una deposizione: il corpo prende la forma della croce. Quella cosa lì la capiscono tutti, non ti sapranno riconoscere la conversione di Paolo da un altro tema pittorico, non ti sapranno dire magari che cosa è successo, ma quell’immagine lì è l’immagine che non può essere sconsacrata, e quello è il motivo per cui la Chiesa non viene mai sconsacrata del tutto. L’immagine che provo ad usare nel libretto è questa: noi abbiamo parlato tanto di secolarizzazione e la secolarizzazione è qualcosa che cancella qualcosa d’altro. Io ho l’impressione che ci sia più una sconsacrazione che assomiglia un po’ al decadere delle sostanze radioattive. Il sacro in qualche modo permane, continua ad irradiare in maniera sottile, in maniera a volte non riconosciuta – è vero, non si riconoscono più i racconti. Se dovessi dire qual è il mandato del cristiano, è quello di tornare a raccontare molto, cioè di tornare a capovolgere quell’impostazione che un po’ scherzosamente, polemicamente dicevo prima. Rendersi conto che all’inizio ci sono stati i racconti e non ci potevano essere altro che i racconti, perché poi, quando Paolo va ad Atene, e prova a fare quello che noi vorremmo che avesse fatto Gesù, cioè un gran bel discorso filosofico, gli ateniesi non si emozionano per niente, dicono: “Ma sì, dai, questo lo sentiremo un’altra volta, tanti ne abbiamo che vengono a raccontarci quelle cose”. Gesù con le parabole non ha mai fallito, invece, magari è stato preso a sassate, magari è stato frainteso, però, comunque, ha sempre diviso, ha sempre colpito, è sempre andato nel segno. Questo vuol dire qualcosa anche per noi.

MODERATORE:
Il rischio che noi abbiamo, lo abbiamo in generale nella prevalenza del discorso sul racconto. Un racconto, se è vero, è come una scena teatrale, ti obbliga a connettere il particolare con tutta l’infinità della scena che vedi, per questo ti comunica una visione; infatti un racconto può comunicare una visione cristiana anche quando apparentemente di cristiano non c’è niente, solo alcuni emblemi fondamentali. Narnia è un esempio di questo. Poi, come dicevo prima, c’è tutto il problema, che anche tu adesso affrontavi, della capacità della lettura, dell’educazione alla lettura. Sicuramente è più invitante un racconto e la visione che si comunica in un racconto o anche in un’opera d’arte, perché anche un quadro è un racconto in questo senso qui, anche una poesia ha un procedimento di visione, cioè tiene insieme il particolare e il tutto. Io credo che in questo senso la potente testimonianza di Giovanni Paolo II è stata formidabile, perché se andate a rileggere certe cose di Wojtyla, come le poesie, come le riflessioni sull’arte, vedrete che sono straordinariamente attuali e future per la Chiesa, forse ancora più future che attuali. Tutto questo per arrivare all’ultima domanda che volevo farti: stiamo assistendo come a una specie di scontri colossali tra grandi racconti, tra grandi epiche. C’è Harry Potter, il senso della magia, del mistero senza trascendenza o di una trascendenza obliqua, e dall’altra parte c’è la risposta di Narnia, c’è il Codice da Vinci e c’è il Signore degli anelli. Siamo in un momento in cui si stanno confrontando come dei grandi racconti del mondo. Volevo sentire la tua.

ALESSANDRO ZACCURI:
E’ un po’ come quando nel ’89 Fukuyama pubblicò la “Fine della storia” e cadde il muro di Berlino. La critica per anni, appunto, disse che sarebbe esistita solo la scrittura e non più il racconto. Dopo di che, però, esplodono questi grandi racconti popolari, che nascono da una fame, nascono da un bisogno, nascono da quella verità vera dell’essere umano che ha bisogno di farsi raccontare storie, ma non per essere distratto e consolato. Tu citavi il Signore degli Anelli, ebbene, proprio all’inizio delle Due Torri, c’è un episodio molto bello che in due righe dice la poetica di Tolkien, ma dice la poetica cristiana di Tolkien e di che cosa è la visione per i cristiani. La compagnia dell’anello si è smembrata, è rimasto Aragorn che con qualcun altro, non ricordo con chi, incontra per la prima volta i cavalieri di Rohan e dice: “Voi chi siete?” “Io sono Aragorn”. Aragorn era un nome leggendario, perché lui ha vissuto per anni nascosto, mascherato. I cavalieri lo guardano e dicono: “Credevamo di galoppare sui verdi parti non nelle favole” e Aragorn risponde: “Si possono fare entrambe le cose”. Un racconto quando è vero ci fa fare entrambe le cose, cioè ci fa tenere i piedi sui verdi prati della realtà e intanto ci dà anche lo strumento, ci dà anche lo sguardo, ci dà anche la visione per capire. Tutti i grandi racconti popolari di questi ultimi anni, con l’eccezione del Codice da Vinci, portano dentro un dato caratteristico dell’immaginario cristiano che è la realtà del peccato. Tutti i grandi eroi dell’immaginario di inizio millennio hanno una parte oscura, ce l’ha ovviamente Harry Potter che non sa fino alla fine se è buono o cattivo, ma ce l’ha anche Frodo nel Signore degli Anelli ed è la ferita, la ferita che riceve ad un certo punto che non si rimargina. Anche questo fa parte della verità vera dell’uomo ed è completamente diverso da un tipo di racconto di immaginario collettivo dove invece c’è una parte che ha sempre ragione e una parte che ha sempre torto. Questo senso del peccato, questo senso della complessità della realtà, questo senso della difficoltà di decidere, per esempio, di riconoscere il bene e il male, quindi questa necessità di un discernimento, di un giudizio, sono tutti temi che non dico che siano sempre, come nel caso di Tolkien, come nel caso di Lewis, che siano sempre intenzionalmente cristiani – perché poi parliamo di narratori che sono stati anche volutamente apologeti – però, anche quando non si arriva all’apologetica in maniera diretta, si parla comunque quel tipo di linguaggio. Ci sono molte cose discutibili in Harry Potter, ma non si può negare che in Harry Potter si parli molte volte in un linguaggio teologico, di un teologia raffazzonata, da best seller, molto veloce, eccetera…Se dieci anni fa ci avessero detto: “Scriveranno un romanzo sulle origini della Chiesa e sarà il più grande successo planetario di tutti i tempi, il Codice da Vinci, non ci avremmo creduto, neppure io. Evidentemente qualcosa è successo, evidentemente si è smosso in qualche modo un bisogno che era stato rimosso, che era stato negato per molto tempo, e credo che sia una grande stagione non solo per il racconto popolare, per queste cose che dicevamo, i supereroi, ma una grande occasione di racconto per la Chiesa. Da questo punto di vista è verissimo il richiamo a Wojtyla, il poeta, il pensatore, lo scrittore Wojtyla, che non a caso, nel Trittico Romano, finisce proprio nella contemplazione dei corpi: i corpi degli sposi, quindi i corpi nel momento del piacere e i corpi nel momento del giudizio, i corpi raffigurati da Michelangelo nella Cappella Sistina. Questo legame c’è, e non è uno scherzo, e l’unico modo per dare un senso al racconto del corpo è quello di sapere che è un racconto, di sapere che non è qualcosa che accade a pezzi, pezzi e bocconi, ma che accade con una sua unità. Ed è per questo, insisto, che questa idea finale del corpo di gloria, che sono le ultime due cose che noi diciamo nel Credo: “Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”, è l’apertura a ogni possibile immaginario. Si mangia tutta la fantascienza, ha dentro tutta l’epica, ha dentro tutte le possibilità, ma non perché è qualcosa soltanto di fantasia, ma perché è qualcosa che siamo sicuri che diventerà reale, se già non lo è.

MODERATORE:
Io ringrazio Alessandro per il suo lavoro, per questo libretto che credo si può acquistare anche qui e anche in libreria nei prossimi giorni, perché, oltre al lavoro che sta facendo normalmente in televisione e sul giornale, dà un’indicazione di metodo, come dicevo prima, che è un modo di lavorare sulla cultura contemporanea, che non si siede nel lamento, che è il più facile degli sport e anche il più inutile e anche il meno appassionante, e che invece si assume il rischio di una scommessa, di una intelligenza e di un’interpretazione. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

24 Agosto 2008

Ora

19:00

Edizione

2008

Luogo

eni Caffè Letterario D5
Categoria
Incontri