Henri Moore

 

‘Questa mostra comprende un gruppo straordinario di disegni di Henry Moore che fanno parte della fondazione Moore, che per gli inglesi è un’istituzione importante quanto il British Museum; essa rappresenta l’artista più significativo del ‘900 per gli Inglesi. Henry Moore è qualcosa che va al di là del mito, della leggenda, per quello che ha per anni significato la storia della sua patria e della tragedia vissuta nelle due guerre mondiali. Moore, a una domanda che chiedeva cosa significa l’arte, se sia attività intima e discreta o un modo di comunicare, ha risposto: “La creatività è attività personale, la sua comunicazione e diffusione non può essere altrettanto intima e discreta… La pittura, la scultura aiutano la gente a usare meglio i loro occhi per ottenere più piacere e significato dalla loro vita, anche un sospiro o una foglia sono un messaggio”. Il fiato poetico dell’opera di Moore ha inizio dalla vita, qui e ora, come l’opera di un grande poeta inglese, Thomas Eliot. Nell’opera di Moore si rivela il mondo come natura, come memoria preistorica, come storia quotidiana e si rivela la vita come amore e grido, disperazione e salvezza, speranza e coscienza della finitezza della vita stessa. L’esistenza per Moore è un frammento di solitudine o una briciola del rapporto con l’amore, e la vita stessa è donazione e ricettività, è rischio e prudenza, è la voglia di lavorare la pietra, di renderla concava o convessa a seconda dell’operazione di creazione che è in atto per lui. Nei disegni, in particolare quelli che riguardano questa mostra, nulla è racconto autobiografico, tutto è narrazione, descrizione del suo stupore, del suo sguardo che scopre di volta in volta e apprende, sorprende. Importante, in questi disegni, soprattutto il discorso sul segno che Moore mette in evidenza, riannoda e rapprende in una visione della sua esperienza col mondo e il suo turbamento emotivo, viscerale, il suo stupore, la sua incredulità; il suo vacillare davanti allo spettacolo del mondo è nei confronti dell’incommensurabile spesso impossibile a descrivere, ma vicino per lui, importante a rappresentare nelle opere la condizione umana. Il segno, la cancellatura per mezzo di un gessetto sull’acquarello, sulla matita, è segno, è rimando di un universo pullulante di segni che sta dentro di lui… L’opera di Moore non rimanda a William Blake, come molte volte è stato scritto, ma piuttosto a Oscar Wilde: le cose stanno di fronte all’artista con o senza nome, ma restano soltanto sole, presenti a se stesse, esse sentono tutte le cose come qualcosa che ha un cuore e batte all’interno dell’immagine stessa. La storia è narrata da Moore ma non è mai oggettiva: è la coscienza dell’artista che la assume tutta su di sé. Carmine Benincasa’

Data

21 Agosto 1983 - 28 Agosto 1983

Edizione

1983
Categoria
Esposizioni Mostre Meeting