DATI DAL CIELO, PER RIPORTARE IL MONDO AL CIELO. I PORTOGHESI NEL TEMPO DELLE SCOPERTE (1415-1580)

Presentazione della mostra. Partecipano: Henrique De Sousa Leitão, Ricercatore al Centro di Storia delle Scienze all’Università di Lisbona; Joao Seabra, Docente all’Università Cattolica Portoghese. Introduce Stefano Alberto, Docente di Introduzione alla Teologia all’Università Sacro Cuore di Milano.

 

MODERATORE:
Buonasera a tutti. Benvenuti a questo incontro, che presenta la mostra dedicata ai portoghesi nel tempo delle scoperte dal titolo affascinante, dato da un verso del grande poema di Camoes: “Tu dia poi del mundo una gran parte al cielo”. Perché sono qui a presentare questa mostra? Perché, in un certo senso, ho una piccola responsabilità nel fatto che questa mostra è nata. Racconto l’episodio che ha, come dire, iniziato a far maturare l’idea. Ci trovavamo in riva all’oceano, in una posizione molto bella, vicino a Lisbona, un tramonto di grande bellezza, un grande silenzio di alcuni amici interrotto improvvisamente dalla voce profonda di padre Joao che ha cominciato a recitare dei versi, di cui naturalmente apprezzavo la musicalità della bellissima lingua, ma non conoscevo il significato; lui subito dopo gli ha tradotti: sono versi di Pessoa, riportati anche nel catalogo della mostra: “O salso mare, quanto del tuo sale sono lacrime del Portogallo? Per solcarti quante madri piansero? Quante figlie pregarono invano? Quante promesse spose restarono promesse, perché tu fossi nostro, o mare? Valse la pena? Tutto vale la pena se l’anima non è angusta. Chi vuole andare oltre Capo Bojador deve passare oltre il dolore. Dio dette al mare pericolo e abisso, ma è nel mare che rispecchiò il cielo”. Questo verso “tutto vale la pena se l’anima non è angusta”. Ecco, io ho scoperto di fronte a quell’oceano che l’animo di un uomo, il mio cuore non è angusto, perché è fatto per il desiderio di felicità, desiderio di un destino grande. È vero che la storia la scrivono i vincitori, e noi siamo abbacinati, fin dalle elementari, con la scoperta dell’America, la scoperta, sembra, degli Stati Uniti, 1492, 12 ottobre; pochi sono al corrente della grande storia che si è sviluppata a partire dal 1415. Per darvi un’idea è una data interessante: nel 1415, tutti avete visto il film Enrico V, tutti sapete il “Non nobis”, avviene la famosa battaglia di Azincourt, gli europei non avevano di meglio da fare che scannarsi a ripetizione. La storia europea è segnata da conflitti, scontri: francesi, inglesi, francesi e inglesi alleati contro i germani, così fino alle guerre mondiali. Come mai, invece, nell’ultimo lembo d’Europa, un popolo non numeroso, appena un milione di abitanti, aveva un altro orizzonte, un orizzonte fatto di un impeto di scoperta, di un impeto di avventura, che ha portato a tracciare rotte sempre più ardite, ad aprire il mondo, dal Mediterraneo all’Africa, fino al Capo di Buona Speranza, poi a una delle grandi scoperte dell’epoca moderna, il passaggio tra l’Atlantico e l’Oceano Indiano, l’India e la Cina, e poi all’incontro con civiltà ignote, quelle africane, e con grandi civiltà di tradizione plurimillenaria, come quella indiana e cinese? Pensavo oggi, lo dico da italiano, quindi non si può accusarmi di grandeur nazionalistica, le cose che più ci hanno fatto commuovere finora in questo Meeting e non solo, nella storia della nostra vita, pensate all’intervento di Cleuza e di Marcos, pensate a Rose e Vicky, se non ci fossero stati quei primi che con dolore hanno passato Capo Bojador – sapete che Capo Bojador, lo dico per i non portoghesi presenti, è il Capo dove l’Africa improvvisamente sparisce, fa quella grande rientranza, fino ad allora sembrava che tutto potesse finire lì, che si scivolasse nel nulla, invece si è aperta la nuova rotta fino al Capo di Buona Speranza – ecco, forse se non ci fosse stato tutto questo, tutto sarebbe stato molto diverso da come lo viviamo noi ora. Questa mostra è un aiuto fondamentale a renderci conto di che cosa ha mosso quegli uomini, non una nostalgia, non un revival nazionalistico, ma una coscienza più profonda di quello che tocca vivere a ciascuno di noi. Ci aiuteranno questa sera in questa presa di consapevolezza, padre Joao Seabra, ci sarebbero innumerevoli titoli ma ci limitiamo a quello essenziale, responsabile di Comunione e Liberazione in Portogallo, e Henrique De Sousa Leitão, ricercatore al Centro di Storia delle Scienze all’Università di Lisbona. Innanzitutto padre Joao.

JOAO SEABRA:
Nei cento anni che vanno dal 1415 al 1515, dalla conquista di Ceuta nel nord Africa alla morte del grande Alfonso de Albuquerque, di cui parlerà il mio collega e amico, i portoghesi hanno conquistato nel nord Africa un grande numero di città fortificate, Ceuta, Arzila, Tanger, Seguer, hanno scoperto e popolato le isole Atlantiche – l’arcipelago di Madeiraa, in tutto 26 isole nell’Atlantico, fino ad allora totalmente sconosciute – hanno esplorato la costa occidentale dell’Africa, costruito nel golfo di Guinea il forte di san Giorgio da Mina, un castello bellissimo che ancora è lì, fatto alleanze politiche – culturali con i regni situati nell’attuale Ghana, nell’attuale Nigeria, nell’attuale Angola e Congo, hanno navigato l’atlantico del sud scoprendo il Brasile, hanno passato il Capo di Buona Speranza, sono arrivati in India e hanno costruito in India un impero che durerà 400 anni, perché è finito nel ’60. Nei cento anni seguenti hanno mantenuto e difeso questi imperi d’Oriente, sono entrati in rapporto con centinaia di popoli, regni di diverse culture e religioni e allo stesso tempo hanno popolato e evangelizzato il Brasile e hanno fatto crescere il territorio sudamericano. In un’opera recente, molto bella, molto interessante, uno scrittore – giornalista inglese ha chiamato il Portogallo “The first global village”, il primo villaggio globale. Un popolo piccolo, lo ha detto don Pino, un milione di abitanti circa, un milione di abitanti vuol dire 500 mila uomini, perché le donne rimangono a casa a piangere, a pregare, come diceva il poema. Era un popolo piccolo, in un territorio che era stato duramente riconquistato ai Mori nei due secoli anteriori, infatti la frontiera di terra con la Castiglia era stata fissata alla fine del ’200, nel 1297. Io non credo che ci sia nel mondo un altro paese che abbia la stessa frontiera terrestre immutata da 500 anni, se ce ne è uno ditemelo, che vado a conoscerlo, ma dall’altro lato la frontiera del mare non aveva limiti: l’immenso e impossibile oceano, di cui parla il poeta, provocava con i suoi segreti un popolo di marinai – pescatori. Ma per comprendere l’avventura, l’avventura del 400 del Portogallo, c’è bisogno di mettersi nella prospettiva della storia della chiesa. Perché è della storia della chiesa che si tratta, non si tratta della storia di un gruppetto di bravi che sono andati per conto loro, ma si tratta proprio della storia della chiesa. Bisogna capire che la riconquista della penisola era stata una causa comune dell’Europa cristiana, dei 200 anni che antecedono le crociate di Terra Santa. Nell’Europa c’era questa coscienza, che la lotta che si faceva nell’occidente peninsulare era la stessa che si faceva intorno al Sepolcro di Gesù. Il più famoso ordine cavalleresco, l’ordine dei Templari, subito dopo la prima crociata, si è stabilito in Portogallo, il primo paese dove i Templari hanno avuto castelli fuori dalla Terra Santa. I Templari hanno giocato un ruolo importantissimo nella riconquista del sud del Portogallo, fino ad Algarve. Ebbene quando nel 1314 il papa Clemente V ha fatto fuori l’ordine dei Templari, il re del Portogallo ha obbedito al papa, ha estinto l’ordine e ha sottomesso i Templari al giudizio del tribunale ecclesiastico. I Templari però sono stati assolti, non sono stati trovati colpevoli delle accuse che rivolgevano loro in Francia e dunque il re, cinque anni dopo, ha aspettato che morisse Clemente V, e al suo successore Giovanni XXII ha domandato il permesso di fare un ordine nuovo, l’Ordine di Cristo. A questo ha dato tutti i beni, tutti i castelli dell’Ordine templare, ha fatto entrare, nell’ordine, tutti i cavalieri templari portoghesi. L’Ordine di Cristo non è dunque altro che l’Ordine dei Templari, lo stesso. Sarà l’ordine di Cristo che sostenterà la navigazione, la conquista e la “missione” portoghese durante tutto il secolo XV. La croce dei crociati, la croce rossa con le punte triangolari e una croce bianca dentro, la stessa che i Templari avevano portato con coraggio sulle loro vesti combattendo e morendo davanti alle mura di Gerusalemme, è la stessa che attraverserà il mondo nelle vele delle caravelle portoghesi. E quando il governo ecclesiastico si regolarizzerà e saranno definite le diocesi, inizierà la tradizione, che durerà molti secoli, secondo la quale i vescovi di oltre mare, come croce pastorale, portano la croce di Cristo, la croce dei crociati. Enrico di Aviz è un crociato che deve essere messo nel lignaggio di Riccardo Cuor di Leone, di san Luigi re di Francia. Nominato da suo padre gran maestro dell’ Ordine di Cristo quando aveva 18 anni, si è trovato alla testa di un grande patrimonio di terre e castelli e di un grande esercito di uomini, cavalieri, scudieri, consacrati a Dio. E tutti questi beni e genti ha lanciato nell’esplorazione dell’Atlantico, nella navigazione, nella conquista e nella evangelizzazione dell’Africa. Dal 1416, quando fa il primo viaggio, fino a 1460, quando muore, l’Infante condurrà la navigazione portoghese, manderà i suoi uomini in navi fragilissime a esplorare l’Atlantico sconosciuto, passerà successivamente il Capo Nao e, il Capo Bianco, scoprirà tutte le isole dell’Atlantico. Dopo la sua morte i portoghesi arrivano in Sierra Leone. Si dovrebbero citare i nomi di tutti i navigatori cavallereschi dell’Ordine di Cristo, che hanno lasciato il loro nome legato a l’Infante ma per cortesia verso il mio pubblico nomino solo Alvise Cadamosto, un italiano, veneziano, che conosceva bene l’Atlantico per le navigazioni commerciali che la Serenissima faceva e che l’Infante aveva chiamato e mandato ad esplorare Capo Verde. Capo Verde era stato scoperto 12 anni prima ma non era stato mappato. Allora Cadamosto ha fatto la descrizione precisa di tutte le isole del Capo Verde per conto dell’Infante. Ma oltre a questi pochi nomi illustri, ognuno collegato a un posto nella costa di Africa o a una isola nel mezzo dell’Atlantico, c’è una quantità enorme di sconosciuti, di caravelle che hanno naufragato in alto mare o che sono finite sugli scogli, gente morta di fame, di malattie, di violenza. Il secondo grande protagonista della storia marittima del Portogallo è il re don Joao II, che per 21 anni, dal ’74 al ’95, condurrà con grande energia e determinazione l’esplorazione della costa africana fino all’Oceano indiano. Di lui si racconta che avesse rapporti con il re del Congo, che chiamava nella corrispondenza cugino, re del Congo che poi lavorerà per la conversione del Congo, il quale diventerà il primo regno cristiano a sud dell’equatore. Le grandi nazioni cattoliche dell’Africa, l’Angola e il Congo, lo Zaire, l’antico Zaire, sono eredi di questa spinta missionaria di don Alfonso I, quel re del Congo che il re del Portogallo chiamava cugino nel 500. L’altro grande protagonista è Bartolomeo Diaz, quello che ha doppiato il Capo di Buona Speranza. Fino ad allora il Portogallo è presente nell’Atlantico solo fino al passaggio del Bojador, ma don Giovanni è un grande politico e lo dimostra in occasione della contesa sui mari con la Spagna. Un’antica querelle con la Castiglia aveva portato nel 1480 al trattato di Toledo, che affermava che apparteneva al re del Portogallo tutto quello che era a sud del parallelo delle Canarie. Ma la conquista di Granata da parte dei re cattolici liberava la Spagna, la grande potenza Spagnola per l’avventura atlantica. Era evidente che la tentazione di andare in India ed entrare in concorrenza con Portogallo era grande. Per questo Giovanni II voleva mandare gli spagnoli altrove. Così la regina Isabella ha inviato Colombo a trovare l’India per la via d’occidente. Quando Colombo torna da Santo Domingo, prima di andare dai re cattolici, si ferma da Giovanni II, con cui aveva buoni rapporti. Dopo aver sentito il racconto di Colombo, Giovanni II manda a dire ai re cattolici che era molto contento per quelle scoperte, perché secondo il trattato di Toledo tutte le nuove terre scoperte da Colombo erano sue, appartenevano alla corona portoghese, essendo a sud del parallelo delle Canarie. Pare che Ferdinando di Aragona ne sia rimasto un po’ arrabbiato, ed abbia domandato subito al papa Alessandro VI di definire in forma nuova la ripartizione delle nuove terre. Nell’anno 1493 il papa emette una bolla che afferma che la nuova ripartizione non si faceva più a in base a un parallelo ma a un meridiano, e che a oriente del meridiano era tutto Portoghese, mentre a occidente del meridiano era tutto spagnolo. E fissa questo meridiano cento leghe a ovest delle Azzorre. Giovanni II ne uscì penalizzato e allora tramite trattative riuscì a far spostare la linea di demarcazione a 370 leghe ad ovest di Capo Verde. In tal modo Giovanni riuscì a inserire nella zona portoghese il Brasile.
Morto Giovanni II nel 1495, diventa re don Manuel, O Venturoso, sotto il cui regno operò Vasco de Gama. Il merito di don Manuel è nullo, perché tutto era stato fatto da Giovanni II, ma lui, che era lì per raccogliere i frutti, è passato alla storia col titolo di O Venturoso. Cosa vuol dire venturoso? È quello che ha la ventura, che è fortunato. Manuel I il fortunato. Fu veramente fortunato. Di Vasco da Gama parlerà Henrique, io dico solo che al riguardo si è parlato addirittura di “era gamica”. Era Gamica vuol dire che con Vasco da Gama iniziò un’era nuova. Henrique Leitao spiegherà perché. Io passo avanti. Il miglior protagonista del secolo, del regno di Manuel I, è Alfonso de Albuquerque, che ha conquistato Malacca e con questo ha aperto la porta alla Cina, facendo dell’oceano indiano un lago portoghese. Don Manuel prende così il titolo re di Portogallo e signore di Guinea, conquista l’Etiopia, l’Arabia, la Persia e l’India. Gli succede Don Giovanni III, che è un grande re, perché ha una grande preoccupazione. In Africa e in India, fin dal principio, vanno non solo gli uomini di Cristo ma tutti, ordini medicanti, francescani, domenicani, carmelitani. Tutti sono in giro per l’Africa, per l’India, per il Brasile. Ma le notizie che arrivano non sono buone. Lo stato della chiesa e la vita cristiana nelle colonie lasciano molto a desiderare. Giovanni III è molto preoccupato per lo stato della evangelizzazione. Allora, dopo qualche tentativo di riforma, scrive direttamente al papa e gli dice: mandatemi quello che c’è di meglio nella chiesa per fare l’evangelizzazione. E il papa si è messo d’accordo con Ignazio de Loyola e gli ha mandato Saverio, Francesco Saverio. Saverio parte per l’oriente come ambasciatore di Giovanni III e legato del papa. Sant’Ignazio lo farà anche provinciale di tutto l’oriente per la compagnia di Gesù. Il passaggio di san Francesco Saverio per l’oriente è un fatto incomprensibile per le categorie del razionalismo storico. Perché in dieci anni, sono poco più di dieci anni, lui attraversa distanze immense, annunzia l’amore, la misericordia di Cristo a popoli di lingue, culture, religioni diversissime, converte e battezza migliaia di persone. Trattando alla pari con re e potenti, ma predicando nella strada ai bambini, ai poveri, ai malati, porrà le basi di comunità cristiane che durano fino ad oggi. Il suo desiderio più grande è evangelizzare la Cina. È morto distrutto, consumato di stanchezza, di malattia nell’isola di Cologne, alle porte della Cina, offrendo la sua vita per la conversione del popolo cinese. E questa presenza dei gesuiti, nell’oriente, nella mostra voi la potete vedere molto ben descritta nella cronologia.
Nello stesso tempo Giovanni III si lancia nell’evangelizzazione del Brasile. La evangelizzazione del Brasile è tutta un’altra storia, è grandissima. Io non la racconto perché devo terminare, racconto solo la storia dei 40 martiri del Brasile che mi piace tantissimo. La troverete anche nella mostra. Ignazio de Azevedo è stato un grande, grande missionario portoghese in Brasile. È stato provinciale del Brasile e ha fatto un lavoro bellissimo. Ma aveva pochi mezzi. Allora è tornato in Europa e ha chiesto il permesso per andare a Roma e ha detto al provinciale, al generale di allora, dico, che bisognava andare in Brasile in forza. Il generale gli ha dato il permesso di portare tutti i gesuiti portoghesi che volesse. Tornato in Portogallo ha fatto il giro delle case dei gesuiti e radunato 61 missionari: professori di teologia, grandi filosofi, scienziati, matematici, fratelli laici che facevano i falegnami, che erano artisti. Ha preparato questa gente per mesi e dopo è partito. Arrivato a Madera ha avuto un sogno e ha chiamato tutti: ho sognato, il Signore mi ha parlato. Moriremo tutti. Nessuno di noi arriverà in Brasile. Dunque meglio non partire. Io vado perché la mia vita l’ho donata a Dio, ma chi ha un progetto per il Brasile, chi vuole andare in Brasile per fare questo o quello, torni indietro. Vada in Portogallo che sarà più utile, perché in Brasile, se è vero quello che ho sognato questa notte, non arriveremo mai. Tutti gli han detto, no veniamo con te. La nostra vita è affidata a te. La “S. Giacomo”, su cui navigavano, salpata da Madera il 30 giugno, poté navigare agevolmente con i venti a favore, ma arrivati a nove miglia dalla costa, nell’arcipelago delle Canarie, verso la metà di luglio 1570, dovette fermarsi per la bonaccia. Qui fu attaccata da cinque navi corsare, guidate da ugonotti, comandati dal corsaro francese Giacomo Souríe; i corsari ebbero l’ordine di risparmiare l’equipaggio ed i passeggeri ma di sterminare gli odiati gesuiti. Sono stati beatificati solo 40 per ragioni di identificazione. Li chiamano “i martiri del Brasile”, anche se in Brasile sono totalmente sconosciuti, non sono mai arrivati lì, con il Brasile non c’entrano niente, hanno solo dato la vita per l’evangelizzazione del Brasile.
È una storia di vinti, che non si scrive perché la storia la scrivono i vincitori, ma è una bella storia.

MODERATORE:
Si resterebbe ore intere ad ascoltare padre Joao, non solo perché è un grande raccontatore ma non di favole, di storie reali, di una storia che, vedete, fa un po’ girare la testa, perché con la povertà dei mezzi a disposizione, praticamente tutto un popolo si è dedicato per secoli alle scoperte. Adesso Henrique Leitao ci completerà, provvisoriamente, questo enorme affresco che si sta dispiegando davanti ai nostri occhi. Lo ringraziamo perché parla in italiano, che ha voluto appositamente imparare per questa presentazione.

HENRIQUE DE SOUSA LEITAO:
Io non dovrei essere qui, perché non parlo in italiano, mi faccio comprendere in italiano e questo è una cosa differente. Ma mi hanno detto che dovevo fare una presentazione con don Pino. Non ho semplicemente rifiutato di venire per alcune ragioni, primo perché io volevo venire al Meeting e questa è una forma di venire al Meeting, fare una presentazione, però anche perché c’è un sentimento di giustizia per me importante, perché l’Italia fu sempre il paese che ha dato più attenzione alla scoperta portoghese. I portoghesi forse non lo sanno e forse neanche gli italiani lo sanno, ma i primi resoconti delle scoperte portoghesi furono scritte in Italia, furono stampate in Italia e furono divulgate per tutta l’Europa partendo dall’Italia. La cartografia italiana è la cartografia europea che per prima ha ricevuto e compreso l’importanza delle scoperte portoghesi e partendo dall’Italia queste novità sono state trasmesse per tutta l’Europa. Dunque per me venire, dire questo in Italia era una cosa di giustizia, sei secoli di giustizia, che io volevo fare. Anche il fatto che questa mostra sia fatta al Meeting non è una coincidenza, perché questi due fatti, l’importanza dell’Italia e la divulgazione delle notizie sulle scoperte portoghesi, e, adesso, il fatto che al Meeting c’è una mostra sulle scoperte portoghesi, non è una coincidenza. Perché? Perché il problema con la storia del Portogallo e, soprattutto, con la storia delle scoperte, è che è una storia che una spiegazione strettamente razionalistica non sa spiegare. Dunque è necessario un luogo dove la storia sia studiata, approcciata, valorizzata con tutti gli strumenti intellettuali degli storici, ma anche con un’apertura ad altre possibilità, e questo è il problema dei portoghesi: non riusciamo a fare conoscere la nostra storia perché immediatamente i limiti di comprensione strettamente razionalista diventano chiari, ma qui al Meeting no. Capite quello che voglio dire? Qui i visitatori, voi tutti, sono capaci, sono in condizione di apprezzare questi eventi affascinanti, perché non subite la limitazione strettamente professionale di uno storico, siete aperti ad altre cose. Non so se mi sono fatto capire, ma per me è veramente una coincidenza che l’Italia del ’400 e poi del ’500, ma soprattutto del ’400, e il Meeting di Rimini siano luoghi dove questi avvenimenti sono divulgati. Bene, siccome dovevo parlare in una presentazione con don Pino e padre Joao, io ho preparato un testo, una cosa un poco accademica, ho fatto il professore, però poi alla mostra, parlando con la gente, facendo visite per due giorni, ho cambiato idea. Adesso leggo alcune cose, però farò alcuni commenti, nonostante il mio cattivo italiano. Una cosa che mi colpisce al Meeting, è l’attenzione dei visitatori. Io ho fatto moltissime mostre in Portogallo su altre cose, io conosco bene chi è il visitatore delle mostre e, veramente, i visitatori del Meeting sono un’altra cosa. Voglio cominciare facendo alcune considerazioni sull’ambito e i limiti di questa mostra. In questa mostra, l’avventura dei portoghesi al tempo delle scoperte, cerchiamo di fare una descrizione dell’avventura dei portoghesi, un tema vastissimo, impossibile da trattare in maniera generale, facciamo, quindi, importanti limitazioni che importa considerare. Primo, il periodo cronologico considerato, dal 1415 fino al 1580, benché sia giustificato per varie considerazioni storiche, bisogna intenderlo come una determinazione pratica e discutibile. Per fare solo un esempio, lo storico inglese Charles Boxer, il grande storico dell’impero portoghese, nel suo lavoro considera il periodo fino al 1825, e ci sono ragioni che potevano suggerire una storia, non dico imperiale, ma certamente oltremarina dei portoghesi, fino al 1975; dunque per primo bisogna comprendere che il termine del 1580 è una riduzione temporale enorme dell’avventura della scoperta portoghese, dell’impero oltremarino portoghese. Un’altra cosa. Questa non è una mostra sulle scoperte e l’espansione marittima europea – questo è chiaro, deve essere chiaro – il nostro scopo è più limitato e concentrato solamente e esplicitamente sulle scoperte portoghesi; una mostra più generale non poteva omettere non solo le importantissime navigazioni della Spagna, ma anche di francesi, italiani e, più tardi, l’espansione marittima irlandese e inglese. La quasi totale assenza di elementi su queste scoperte degli europei non riflette, quindi, nessun tipo di giudizio sull’importanza storica di questi altri avvenimenti, ma soltanto una scelta pratica. Questo bisogna dirlo chiaramente. Tuttavia speriamo che diventi chiaro che le scoperte dei portoghesi in questo periodo presentano problemi specifici che non solo giustificano un esame isolato, ma segnalano una situazione storica molto propria, molto specifica. Nelle scoperte portoghesi, don Pino ci ha già parlato un po’ di questo, la sproporzione tra risorse umane, materiali, organizzative e la dimensione dell’impero costruito, questa sproporzione è molto più drammatica di quella di altre nazioni europee. Questo presenta delle domande e degli interrogativi che sono parte centrale di questa storia, e questo è un punto importante: parlare delle scoperte portoghesi in questo periodo, è parlare di un enigma storico. Non sono solo io che utilizzo questa espressione “enigma storico”, lo fanno anche gli storici portoghesi, tutta la storia internazionale che analizza questo fenomeno parla di “enigma storico”, questo non si capisce bene. Il titolo fa riferimento a un tema centrale della navigazione portoghese, in cui la coscienza dell’aspetto religioso fu sempre presente, anche se questa non è una mostra specificatamente sulla missione e sulle attività missionarie, non è l’aspetto centrale. Bene. La vastissima estensione dell’impero marittimo che i portoghesi hanno creato dopo il ’440 è un avvenimento storico unico, che suscita i più grandi interrogativi negli storici. Come è stato possibile che un piccolo popolo, all’epoca di circa un milione di abitanti, senza grandi mezzi economici e una struttura amministrativa e militare forte, sia riuscito in questo sorprendente compito? Dopo il 1415 il Portogallo ha iniziato un processo di espansione marittima al di fuori delle sue frontiere, che ha assunto proporzioni geografiche di enorme portata. Un secolo dopo i navigatori portoghesi hanno percorso sistematicamente la costa africana, entrando in latitudini sconosciute e che all’epoca si credeva fossero insopportabili per la vita umana. Rifiutando le tradizioni geografiche dell’antichità, eccetera, affrontando leggende immaginarie e pericoli reali, hanno portato alla conoscenza dell’Europa, come ha detto un loro contemporaneo, “nuove terre, nuovi oceani, nuovi cieli e nuove stelle”. Hanno scoperto, e già avevo sentito parlare di questo, il totalmente sconosciuto legame tra l’Atlantico e l’oceano Indiano, una scoperta che Adam Smith ha considerato, insieme alla scoperta dell’America, uno dei più grandi ed importanti avvenimenti nella storia dell’umanità. Io volevo fare un commento su questa scoperta e sullo statuto di scoperta geografica. Cos’è fare una scoperta geografica? Vuol dire vedere, guardare altro che non si è visto mai. Questo è successo tantissime volte, ma circumnavigare il sud dell’Africa non ha precisamente questo statuto, perché non è solo fare una cosa che non era mai stata fatta, ma questo è una rivisitazione diretta del sapere antico, questo ha uno statuto totalmente differente. Il legame tra l’Atlantico e l’oceano Indiano vuole dire che Tolomeo e la tradizione geografica di tutta l’antichità è sbagliata; con questo viaggio una tradizione intellettuale potentissima crolla in Europa. Questo è il punto essenziale. L’impatto di questa scoperta fu enorme. Io vi suggerisco di guardare le carte geografiche, le mappe, che le guide, che sono bravissime, vi spiegheranno, su queste scoperte del Sud Africa, perché l’Europa diventa assolutamente affascinata da questo fatto. Nel 1488 i momenti più notevoli di questa prima fase di esplorazione sono la navigazione nelle regioni equatoriali, credute impossibili da vivere, esplorazione di isole atlantiche, esplorazione sistematica della costa dell’Africa. Nel 1434 i portoghesi hanno passato il Capo Bojador – come don Pino ha commentato – e questo molto prima di attraversare il sud dell’Africa. Questo è importante perché il passaggio del Bojador ha un significato importante, sia dal punto di vista tecnico che da un punto di vista mentale. Questo era il limite considerato possibile da vivere; diciamo che passare il Bojador è una prima indicazione che le descrizioni antiche hanno problemi. Esse dicevano che in quelle zone faceva moltissimo caldo e le descrizioni antiche di Strabone, di Plinio, e quelle medievali di Sacrobosco e di altri, dicevano che non si poteva vivere a quelle latitudini. Passare il Bojador è anche dimostrare che sì si può vivere a quelle latitudini. Questo è solo un aspetto mentale, c’è anche un aspetto fisico che dice che dal nord verso il sud non è difficile procedere per una nave, ma il ritorno non si può fare vicino alla costa africana. Per ritornare bisogna entrare nell’oceano aperto e allontanarsi dalla costa, e questo è il segreto della navigazione atlantica. Però il segreto della navigazione atlantica, differentissima dalla navigazione mediterranea, è che bisogna conoscere prima la situazione generale dei venti e poi che non si può combattere contro i venti, bisogna utilizzarli per fare le rotte. Lascio all’immaginazione quello che questo vuole dire in termini organizzativi. Vi hanno già parlato del navigatore Bartolomeo Diaz, che nel 1488 circumnavigò il sud dell’Africa rendendo possibile la connessione via mare fra Europa ed Asia, una connessione che cambierà totalmente la storia dell’Europa. Pochi ani dopo, nel 1497, partiva da Lisbona l’armata di de Gama, Vasco de Gama, e nel 1500, in viaggio per l’India, il navigatore Cabral, Pietro Vasco Cabral, arrivava in Brasile. Due elementi emergono come centrali in questa prima fase, cioè fino all’inizio del cinquecento: primo, il dominio dell’oceano, un elemento fondamentale in questo periodo, che apriva al dominio di regioni e di spazi vastissimi. Il secondo fattore è il contatto, l’incontro con regioni, popoli e con una natura totalmente nuova, totalmente sconosciuta, non descritta nei classici, nel sapere antico. Questa prima fase è veramente un’apertura sia fisica sia mentale alla varietà e alla grandezza della terra. Voglio sottolineare che la scoperta di una natura totalmente sconosciuta, affascinante, ricchissima, di una esuberanza che non si immaginava, è un fatto importantissimo per il pensiero europeo, perché diventa chiaro al mondo europeo che la terra è molto più ricca, e a questo punto la storia – dire la terra vuol dire la terra creata per Dio – è molto più ricca, molto più affascinante, molto più complessa di quello che tutti i classici, tutti gli autori antichi, tutti i pensieri avevano scritto e commentato. Questo è un punto molto importante. Questa prima fase va a cambiare drammaticamente con l’avvento del cinquecento, perché si introduce qui un altro elemento, il contatto con civiltà antichissime e molto potenti, molto grandi. Negli anni successivi del ’500 i portoghesi stavano in contatto con alcune delle più forti e più sviluppate civiltà asiatiche, i vari regni dell’India, la Cina, il Giappone. In una successione di eventi veramente vertiginosi, in poco più di 10 anni, i portoghesi controllarono l’oceano Indiano e nel 1511 conquistarono l’importane città di Malacca, punto nevralgico delle più importanti rotte dell’oceano indiano e che connetteva la navigazione, il commercio tra le regioni più occidentali di questo oceano Indiano, con l’Estremo Oriente. Con la conquista di Malacca, nel 1511, tutto il centro di gravità dell’espansione portoghese, l’avventura portoghese diventa soprattutto orientale, verso l’Estremo Oriente. Si iniziarono relazioni diplomatiche con la Cina e questo è un fatto nuovo nella storia europea, non parlo di avventurieri, non parlo di fenomeni episodici, ma parlo di ambasciate, parlo di contatti regolari e continui di centinaia e centinaia di europei con cinesi e autorità cinesi. A metà del Cinquecento i navigatori portoghesi avevano fondato agenzie commerciali, rotte commerciali che andavano dalle coste del Brasile, le tante isole atlantiche, fino alle più distanti regioni dell’Estremo Oriente, passando attraverso l’Africa, l’India e le isole del sud – ovest asiatico. Oltre gli aspetti commerciali, militari e missionari, che tutti conosciamo, il Portogallo ha promosso l’incontro e il contatto con queste civiltà, un incontro di proporzioni mai viste. “I portoghesi sono stati non soltanto i primi europei a stabilire, da un punto di vista europeo, le frontiere del mondo moderno, ma anche, in un modo mai raggiunto da nessun’altra nazione nello stesso periodo, ad entrare in contatto e ad iniziare interscambi e rapporti con persone di un’enorme varietà di origine, razza, cultura, religioni e nazioni”. A questo punto bisogna rendersi conto che parliamo, come padre Joao ha detto, di un milione di abitanti, un milione di abitanti che devono risolvere tutti i problemi associati, problemi militari, amministrativi, logistici, il problema dei missionari. Come fu possibile fare questo? Spiegare le condizioni e i meccanismi che sono stati all’origine e che hanno sostenuto un fenomeno storico simile, non è un compito facile, anche perché gli interrogativi non si limitano esclusivamente al piano della densità geografica. Questo vuole dire che la presenza portoghese nel mondo ha avuto forme di rapporti con i popoli molto peculiari. Per esempio, queste considerazioni demografiche e strutturali sono sufficienti per riconoscere che la tradizione protestante della leggenda nera non può essere vera, perché non è possibile che pochi uomini abbiano avuto come forma di presenza quella di imporsi sugli altri. Come possono pochissimi portoghesi imporsi in Cina? In Cina non si possono imporre. In India? In Giappone? Non può essere una storia di violenza sugli altri, non può esserlo strutturalmente. Io non nego la storia negativa e gli episodi di brutalità e di violenza, questo è vero, assolutamente vero, però questo non è la struttura del fatto, questo è episodico, perché è impossibile con questa sproporzione formare questo evento storico. Due idee per terminare. Primo: qual è l’aspetto centrale che risalta come la conseguenza più importante delle scoperta portoghese? Su questo gli storici sono d’accordo, non è possibile una risposta a una tale domanda, però tutti gli storici che esaminano questi eventi, affermano come aspetto centrale la dimensione planetaria della scoperta, il suo carattere di apertura improvvisa, esplosiva, a livello planetario. Essa rappresenta l’esperienza della terra a un livello globale, veramente planetario, e questo si può dire senza problemi. Guardate la mostra, guardate le carte ed è evidente che l’esperienza della terra a livello globale, planetario fu fatta in questo periodo, in queste linee commerciali, in queste rotte, da questi uomini. L’esperienza antica era locale. Questa è la prima considerazione riconosciuta dalla storiografia. Ma poi c’è un’altra considerazione da fare, che la storiografia non riconosce così bene. Come è stato possibile? Non è possibile trovare una risposta e l’enigma dell’espansione portoghese non si può spiegare facilmente, però possiamo identificare elementi fondamentali per una risposta. È evidente che l’elemento fondamentale è il fatto che la cultura portoghese di questo periodo conteneva idee – mi riferisco evidentemente al cristianesimo – una certa visione del mondo, della terra, dei popoli, che faceva sì che la fragilità, i limiti, la sproporzione non fosse vissuta come una determinazione finale. La sproporzione, la fragilità, la limitazione, fu vissuta come un punto di partenza. Questo è quello che possiamo dire di questo periodo: la limitazione dei mezzi materiali e degli uomini non fu vissuta da questi portoghesi come la parola finale: “Non possiamo fare, non lo faremo”. La risposta piuttosto fu: “Non lo possiamo fare, lo faremo”. Grazie.

MODERATORE:
Allora voglio concludere con un invito e un’osservazione. L’invito è questo: prendetevi tempo, se restate ancora qualche giorno al Meeting, qualche ora, ritornate a guardare la mostra, a guardarla, a rendervi conto di quelle sottili linee che sono le rotte, attraverso il vastissimo mare, dei passaggi che hanno segnato non solo scoperte geografiche, ma passaggi epocali e culturali, e poi fermatevi sull’ultima frase, quella che vi accompagna all’uscita, la frase del grande apostolo del Brasile, Padre António Vieira, così legata a questa piccola terra e così aperta all’infinito: “Nascere piccolo e morire grande è arrivare a essere uomo. Per questo Dio ci ha dato così poca terra per nascere e tante terre per il sepolcro. Per nascere poca terra, per morire tutta la terra. Per nascere Portogallo, per morire il mondo”. Miracolosamente continua nei secoli che segnano l’inizio della modernità, l’inizio dell’uomo misura di tutte le cose, l’inizio dell’epoca che vorrà cacciare Dio fuori dal reale, fuori dalla storia, continua l’avventura, la curiosità dell’uomo medievale, attraverso questo piccolo popolo. Non a caso nel catalogo troverete i versetti dedicati a Ulisse nell’Inferno, canto XXVI, quando, davanti alle Colonne d’Ercole, Ulisse ricorda qual è la natura del cuore d’ogni uomo: “Fatti non foste per viver come bruti – come calcolatori, come istintivi – ma per seguire virtute e canoscenza”. Questa è, però, l’avventura di ciascuno di noi, non è un caso – guardate bene le rotte. Oggi, all’inizio del terzo millennio siamo di fronte, in circostanze molto diverse, ci sono i jet, si può andare velocemente dappertutto, ma il problema culturale è lo stesso: siamo davanti all’Oriente, Cina e India rappresentano due grandi potenze emergenti. Anche la storia del nostro movimento: abbiamo appena doppiato il Capo di Buona Speranza, Brasile, Africa, ma, attraversato, abbiamo davanti la Cina – qualcuno, come i primi gesuiti, c’è già atterrato -, abbiamo davanti l’India, abbiamo davanti tutto il sud – est asiatico, abbiamo ancora davanti il mondo, il mondo conosciuto, quello di casa nostra, dei nostri affetti, e il mondo che ancora ci aspetta. Guardando le vostre facce pensavo: “Chissà che una circostanza come questa non sia scelta da Dio come tanti secoli fa, quando Dio scelse uomini per mandarli non allo sbaraglio, ma alla scoperta di ciò che vale veramente la pena vivere e morire”. Chissà che non nasca nel cuore di alcuni di noi un nuovo suggerimento, uno spunto per una nuova avventura, perché il vero protagonista è chi sa cogliere, riconoscere e obbedire alle grandi circostanze o a quelle più piccole, ma vedere tutto alla luce del disegno di un Altro. L’augurio con cui ringraziamo i nostri amici portoghesi per questa fatica, ma l’augurio a ciascuno di noi, è il verso di Pessoa con cui abbiamo iniziato: “Tutto vale la pena se l’anima non è angusta”. Grazie e buona serata a tutti.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

26 Agosto 2008

Ora

19:00

Edizione

2008

Luogo

Sala B7
Categoria
Incontri