Edizione 2004

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Il nostro progresso non consiste nel presumere di essere arrivati, ma nel tendere continuamente alla meta

La prossima edizione del Meeting è la 25ª; coincide con il 50° della nascita di Comunione e Liberazione, ricorrenze importanti che lasciano spazio alla possibilità di rievocarne la storia. Tutti coloro che hanno partecipato e partecipano alla realizzazione del Meeting - oltre duemila persone all’anno - sono entusiasti di celebrare con slancio questo venticinquennale dalla fondazione: con slancio, con gioia, con la certezza di aver fatto progressi, senza però pretendere di essere arrivati alla meta.

Ecco allora che l’esortazione contenuta in una lettera di san Bernardo ai monaci benedettini di Saint Bertin, alla quale si ispira il titolo del prossimo Meeting, è particolarmente adatta a celebrare questo anniversario: l’incitamento che essa contiene è, infatti, a non fermarsi mai. «Correte fratelli, perché arriviate allo scopo. Il che avverrà se comprenderete che allo scopo non siete ancora giunti».
Qui si parla di scopo, di fine, e se ne sottintende il proposito, l’impegno. Ogni meta presuppone un impegno: sia l’uomo desto nel perseguirla, con l’intelligenza e la libertà che gli sono concesse, ma non sia, per così dire, mai soddisfatto di ciò che ha raggiunto. Tale febbrile e fecondo muoversi - il contrario dell’immobilismo soddisfatto e ipernutrito - si alimenta nella certezza che la meta non è qualcosa di cui impadronirsi; ma anche nella certezza che la fatica di progredire sarebbe inutile, se non fosse accompagnata da un traguardo supremo verso il quale ci si impegna a muoversi. Esistenzialmente, infatti, la condizione della pace non viene dalle fortune accumulate, ma dallo scoprirsi in rapporto con l’Infinito: significato, origine e traguardo della nostra vita.

L’uomo si domanda se qualunque conquista, pur nel positivo contributo al miglioramento delle condizioni umane, sia capace di placare l’insaziabile desiderio di bene che è in lui. In tal senso il progresso non può consistere nel presumere di essere arrivati, ma nel tendere sempre di più alla conoscenza del Mistero che genera e governa la vita.

Riconoscere la pretesa cristiana - che questo Mistero, Dio, è diventato uomo - è ciò che permette di accettare una tensione continua. «Riconoscere e seguire Cristo genera così un atteggiamento esistenziale caratteristico per cui l’uomo è un camminatore eretto e infaticabile verso una meta non ancora raggiunta, certo del futuro perché tutto poggiato sulla Sua presenza» (don Giussani).L’immagine dell’uomo in cammino, che nel Cristianesimo si traduce nella parola viator, pellegrino, è la più esplicita espressione della nostra forma esistenziale.
La certezza di essere sulla strada giusta è ciò che rende ragionevole sperare: sperare di arrivare alla meta. Ma la certezza di essere sulla strada giusta rende il presente pienamente fecondo; il cammino stesso diviene fecondo, la stessa insoddisfazione diviene vitalmente feconda, perché positivo è il suo imperterrito cercare; insaziabile la sua curiosità, ardente il desiderio di vagliare tutto il possibile e di trattenere ciò che è buono, con spirito critico e costruttivo. Tutto questo è dato al cristiano. Per lui la forza di significato della sua vita si manifesta nella densità del tempo.

Di conseguenza il valore della libertà, bene oggi frainteso o misconosciuto, consiste nel mettere in campo tutte le forze a disposizione per desiderare il proprio compimento nel tempo, di fronte all’Infinito, senza presumere di poterlo possedere, né misurare.